Recensione a cura di Claudio Musso
I miti non si rinnegano, anche quando deludono. E vanno raccontati. Così la ‘Florio Mania’ continua. Questa volta è il turno di Salvatore Requirez, cultore di storia siciliana locale, con un testo appena uscito dall’editore Piemme, che ha l’andamento del saggio e ammicca al romanzo storico nel racconto incalzante di un uomo, di una città e di un’epoca nel passaggio tra Otto e Novecento.
Il leone di Palermo, da non confondersi con un romanzo omonimo dello stesso autore, dipana infatti le vicende della terza generazione dei Florio che ha in Ignazio Florio Junior il suo simbolo. Questo giovane e aitante rampollo si mostra poco interessato alle dinamiche aziendali di un impero economico senza precedenti che ha in Palermo la sua capitale ma si gode appieno la Belle Époque in tutta Europa come un dandy, con la sua passione per gli yacht di lusso e lo spirito libero di chi, in fondo, può tutto. Ma ben presto il peso del nome che porta, la responsabilità degli impegni ad essi connesso e il passaggio di testimone improvviso da Ignazio senior a junior lo richiamano all’ordine, assumendo la guida di un alveare ricco e laborioso che tanto produce e a tanti dà da mangiare.
«Fu preso da un’angoscia sconosciuta che per la prima volta nella vita lo faceva tremare. Chi era adesso? Era lui, ora, l’unico Ignazio Florio in vita. Non avrebbe più sentito specificare ‘’il figlio’’ alla menzione del suo nome, nel mondo degli affari. Nel mondo di suo padre. Adesso che suo padre non c’era più sarebbe stato il suo mondo? Migliaia e migliaia di dipendenti in tutta Italia. Proprietà infinite. Chissà se qualcuno si sarebbe accorto presto che neppure lui stesso sapeva con esattezza quante fossero. Dov’erano? Le tonnare, le cantine, le zolfare, le case, i magazzini, i terreni, le partecipazioni azionarie? Chi le stava amministrando? E i vapori… In fondo era giovane, qualche incertezza era ammissibile, per i primi tempi, ma non si sentiva giustificato, né incoraggiato»
La ricostruzione di Requirez, accanto alle vicende del protagonista, è rigorosa sui numeri, di cui tiene sempre informato il lettore, sugli attivi e sulle perdite di Casa Florio la quale rende Ignazio a soli 22 anni erede di 425 milioni di euro attuali con un branco di lupi da tenere a bada sia interni sia soprattutto esterni. Perché anche altre città marittime, sulla scia dei Fiorio, spalleggiate da gruppi industriali e bancari agguerriti, hanno fiutato il business della navigazione su mare, forti anche della modernizzazione delle strutture che invece manca ai Florio. E così la concorrenza sfonda la porta del monopolio, dietro la quale c’è Ignazio pungolato da incertezza e azzardo e costretto a estenuanti gare di braccio di ferro con la politica e le varie banche per ottenere sovvenzioni e finanziamenti.
Venere gli si mette per traverso: nel momento in cui viene lanciato, senza alcuna preparazione, alla guida della più grande industria d’Italia, lo divora il dilemma di conciliare due amori concomitanti dentro di sé che sottraggono tempo al suo business: da un lato c’è la moglie, la nobile Franca Jacona, che ha un ruolo mediatico di primissimo piano per la sua bellezza e eleganza, sempre accanto al marito nelle occasioni ufficiali e mondane con teste coronate e magnati; dall’altro la semplice e colta Cristina che ne stimola tutte quelle qualità interiori se vuole veramente seguire le orme paterne.
Mentre ai vertici dell’azienda Ignazio lascia persone interessate al massimo profitto a discapito dell’ammodernamento tecnico, con la sterile prassi di un capo che delega ma non controlla, fa la sua scelta che deve essere la più comoda e la meno dolorosa. E così, tacitando la stampa italiana e estera che riempie le proprie pagine della sua movimentata vita sentimentale, lascia che a lavorare sia l’inerzia. E a fare da coscienza critica ad Ignazio ci penseranno prima i colletti bianchi e poi quelli neri.
Intanto il Regno d’Italia, da sempre per i Florio la slot-machine dei finanziamenti pubblici, stringe la borsa perché vuole arricchire prima la rete di comunicazione stradale e ferroviaria e poi quelle marittime. Palermo rischia così di perdere importanti commesse e il proletariato comincia a mugugnare anche per una progressiva presa di coscienza delle proprie istanze. Intanto Florio junior porta avanti, tra lusso, pranzi esclusivi, gite in barca, regate, il quotidiano culto dell’effimero, con spese personali di un monarca, che lo mette in relazione con monarchi veri, ma ritenute necessarie per l’immagine di ricchezza che vuole trasmettere a tutti i costi all’esterno. E le sue ville a Palermo sono due solitari che attirano lo sguardo di tutto il mondo come fari e potenti calamite.
I conti tuttavia non tornano: i numeri sono implacabili nella loro evidenza. Inoltre sarebbe riduttivo considerare Ignazio uno sprovveduto perché si rende conto che le Mura della sua Troia cominciano a sgretolarsi. E di certo non sono le Amazzoni che possono correre in aiuto. Occorre pertanto aprire, prima che l’Ulisse esterno si inventi qualcosa, nuove strade, uscendo dalla fortezza, anche perché le attività produttive interne sono arrivate al massimo della loro potenzialità. E, mentre tutti hanno gli occhi puntati su quel leone e sulle gazzelle che possono tramutarsi in iene se regna l’incertezza, cominciano nuovi progetti e iniziative, anche di sradicare vecchie mentalità imprenditoriali. Di questo fitto programma di investimenti e ripensamenti sono ricche queste pagine nelle quali tuttavia miseria e nobiltà si mescolano e rivelano come mettere su fortuna ci vuole fatica, impegno e tempo mentre per dilapidarla si fa piuttosto in fretta. Ignazio non dimentica che il leone è simbolo della filosofia imprenditoriale dei Florio, non si sente domato e dove può tenta, partecipa, agisce e azzarda:
«Dentro ognuno dei Florio c’era sempre stato un leone. Li portava a non avere paura delle imprese più difficili. A sbranare gli avversari. A incutere rispetto e a rispettare le regole del branco. Comandando sempre e comunque. Quel leone sarebbe cresciuto anche nel cuore di suo figlio. Era una questione ereditaria».
Forse i leoni in casa sono due. Perché c’è Vincenzo, fratello minore di Ignazio, grande appassionato di automobilismo che organizza gare con premi vertiginosi e spettacoli da sold-out, portando in Sicilia turisti e lavoro per le attività locali, invogliando il bel mondo a godere del clima e dei luoghi dell’isola inserendola nei tour più esclusivi, creando così la ‘Primavera Siciliana’. Fior di piloti, che avevano corso e vinto le più grandi gare d’Europa, sono pronti a scendere in Sicilia. Nasce così la Targa Florio, che esiste ancora oggi, ossia la magia di trasformare un lembo di terra obliata delle Madonie in teatro di battaglia sportiva di livello internazionale a cui partecipano anche i reali inglesi.
L’impulso di Vincenzo apre gli occhi ad Ignazio sul nuovo secolo con la sua febbre per la velocità e su una Sicilia che, nonostante tutti gli sforzi e progetti, è ancora troppo chiusa nella sua insularità. Ma Ignazio è rimasto sempre junior, la focale è corta. Perché, mentre gli eventi glamour e gli abiti di gala riempiono la città, migliaia di siciliani, ogni settimana, partono da miserabili, peraltro sulle navi dei Florio, a cercare lavoro e una nuova vita in America. Quello che manca a Ignazio è una serrata reprimenda di sé stesso: non serve osservare il traguardo semmai la partenza nei pressi della quale si sono accumulate montagne di debiti che mettono in ombra tutto il percorso costruito.
Requirez riesce, con una scrittura immediata e partecipe, a catturare l’essenza di Ignazio che, benché figura notissima, è in fondo un uomo solo che vaga per strade ignote e abrasive, incapace di gestire un’impresa più grande delle sue capacità, abbinata ad una smania di fare e a un desiderio di non rinunciare mai a nulla. La sua ‘parabola’, insegnamento ma anche ascesa e caduta, è un ulteriore esempio di passaggio generazionale tra genitori e figli che ancora oggi abbiamo sotto gli occhi.
Trama
La Palermo della Belle Epoque brilla come Parigi e Ignazio Florio è il suo dandy. Nel 1799 i Florio arrivano in Sicilia e costruiscono, pezzo dopo pezzo, un impero economico con pochi eguali in Europa. Novantadue anni dopo, Ignazio diventa l’uomo di punta della famiglia. Uomo capace di vivere appieno il suo tempo, travolto dal culto della bellezza e del lusso, vive come un re, tra intuizioni economiche e grossi sbandamenti imprenditoriali; investe in chimere, spende una fortuna tra regali alla moglie Franca e alle sue amanti. Incomprensioni ed errori finanziari, egoismi personali e tragedie familiari scandiscono il ritmo di una storia che naufraga tra delusioni, tradimenti, passioni distruttive, successi, fallimenti. “Il Leone di Palermo” è un racconto, dettagliato e accattivante, sulle gesta di un uomo, figlio della sua epoca. Un’opera che si legge come un romanzo e che offre al lettore un’entusiasmante cavalcata che ricostruisce amabilmente il “piccolo mondo antico” tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. Un tassello indispensabile per conoscere ancora meglio la dinastia Florio – che negli anni ha conquistato milioni di lettori – e gli splendori di una Sicilia memorabile ed epica.