Un racconto a cura di Adriana Assini
Brume che sembrano nuvole di zucchero filato avvolgono Bruges già nei crepuscoli autunnali, quando, in pochi istanti, le voci si abbassano, le strade si svuotano, e i primi bagliori trapelano dalle finestre abbellite dai pizzi.
Intanto che vago in cerca del posto migliore per un breve ristoro, i miei pensieri fanno macchina indietro e tornano su quanto visto e sentito nella giornata appena trascorsa, a cominciare dalla Walplein, la piazzetta dove un tempo, nei giorni chiari, le merlettaie adornate di bianchissime cuffie lavoravano a tombolo fuori delle loro case dai tetti a gradoni.
Sospinta a tratti dalle brezze un po’ brusche del Mare del Nord, ho poi attraversato un ponticello di pietra approdando al Minnewater, il “laghetto d’amore” preso in prestito da un libro di fiabe.
Da secoli e secoli, nel suo specchio lucente si riflettono salici piangenti e schiere di cigni reali, a perenne ricordo delle fortune di Bruges quando, cuore pulsante dei commerci di spezie e di lane, attirava mercanti persino da Oriente, oltre a ricchi banchieri, tra cui pure i Medici, che avevano il Banco in un edificio dal lusso un po’ austero, la Hof Bladelin, tuttora in piedi.
Di meraviglia in meraviglia, proprio a un tiro di voce da lì, ho ritrovato quell’antico gioiello che è il beghinaggio della Vigna, una manciata di candide case a due piani raccolte attorno a un giardino fiorito di narcisi e tulipani perfino d’inverno.
Oggi, sono monache benedettine ad abitare quel luogo sospeso nel tempo, ma non era così al principio quando, nella prima metà del Duecento, fu una brigata di donne laiche e indipendenti a fondare quella comunità così singolare. Vedove o nubili, comunque spiriti liberi, vollero sottrarsi alla potestà maritale e alle gerarchie ecclesiastiche, guadagnandosi da vivere sfornando biscotti, filando e assistendo i malati, o prendendosi cura dei morti.
Con quelle vivide immagini impresse negli occhi, ho ripreso le vie dei canali, scintillanti nastri di raso che si dispiegano pigri un po’ dappertutto. Gira e rigira, alla fine sono sbucata nella pittoresca Piazza del Mercato, aspettando che le quarantasette campane della torre civica, il superbo Beffroi, scandissero le ore e ritemprassero gli animi con le note dell’Inno alla Gioia, firmato Beethoven.
Cammeo dopo cammeo, ho poi reso omaggio al divino Van Eyck: passata davanti alla sua casa di mattoni in pieno centro, ho infine guadagnato il Groeninge Museum, per ammirare il ritratto che fece a sua moglie, una Margaretha dall’espressione seria, ma alleggerita dal rosso fiammeggiante del suo abito di lusso.
Tornando al momento presente, decido di respingere l’umidità delle nebbie con una tazza di cioccolata bollente. M’infilo in un’ospitale botteguccia della Wollestraat. L’atmosfera è ovattata e, fra bricchi d’impronta barocca e lumi rétro, respiro l’odore di un tempo lontano, di un mondo perduto.
Distratta, aspetto la mia dose di nettare, ma ecco che un uomo mi apostrofa con tono profondo: <Posso farvi compagnia per qualche istante?>. Io esito e lui, senza averne il permesso, si siede.
Confusa, lo osservo. È un giovane dal bel portamento e lo sguardo sfuggente, ma a stupirmi è la foggia antiquata della sua veste scura, che mi induce a chiedermi chi diavolo sia e da dove diavolo venga: è forse diretto a una festa in maschera e non gliene importa di arrivare in ritardo? O, piuttosto, si tratta di uno di quegli irriducibili eccentrici che si dilettano a mettersi in mostra, prendendosi gioco del mondo?
Devo averlo già visto da qualche parte, ma non rammento né dove né quando. Lui è impaziente, si vede che ha fretta e che se ne infischia dei convenevoli, quindi va dritto al problema: <Greta du Glay, Ysengrine dei Tigli, Rose Van Triele, Anne, Sebile, Alix, Margot e la vedova De Dos desiderano incontrarvi.>
Sbalordisco: santo cielo, quei nomi! Sono proprio loro, sono le dame della Compagnia della Conocchia. Balbetto e l’intruso ne approfitta: <Vi aspetto a mezzanotte in punto alla Riva del Rosario> recita con voce roca. <Vi condurrò da loro con la mia vecchia barca a remi.>
Turbata, pretendo di saperne di più su quell’improbabile ritrovo.
<Glielo dovete, signora> ribadisce lo sconosciuto, aggrottando la fronte. <Avete forse scordato che ognuna di loro è uscita dalla vostra penna?>.
Insisto. Ma insomma, che storia è mai questa? Loro esistono soltanto tra le pagine del mio libro.
<Lo so bene, signora, sono ombre. D’altronde, io stesso lo sono, ma non mi pare un ostacolo, a giudicare dal nostro dialogo.>
Incredula, indago: <Potreste dirmi qualcosa di più sul raduno?>.
<In verità, eravate attesa fra Natale e la Candelora, ma il vostro anticipo ha costretto le dame a fare uno strappo alle regole…>. Stavolta, la riunione non prevedeva lo scambio dei vangeli e avrebbe seguito modalità straordinarie: <Sarete mie ospiti, sulla mia imbarcazione.>
Tra leciti dubbi e forti emozioni, accetto l’invito e lo congedo. In un battito d’ali, lui sparisce nel nulla da dove era venuto.
Socchiudo gli occhi: e se avessi sognato? Se quella nebbia, lì fuori, m’avesse intorpidito i pensieri, facendone fertili campi per visioni e chimere? In assenza di risposte sicure, non resta che andare a vedere.
Quando il carillon del Beffroi suona la mezzanotte, io sto già sull’antica Riva del Rosario, e tuttavia, non c’è più traccia del commercio di corone che in età medievale animava le sue sponde, dandole il nome.
Nel buio, scorgo il baldo nocchiero: senza timori, salgo sulla sua barca malmessa e m’appresto alla bizzarra avventura notturna.
D’un tratto, odo un fruscio e mi volto: è Greta du Glay, la vecchia dei saponi. Cinta in una tunica d’un bianco abbagliante, avanza con passi leggeri sul filo dell’acqua, però non si bagna. Sempre altera, mi concede un saluto poi, da vera matrona, si sistema a prua. L’emozione mi assale e non riesco a spiccicare mezza parola. Lei pare venirmi in soccorso, però come al solito è poco indulgente: <Vorrai farci mille domande, ma noi risponderemo a una sola …>.
Il tragitto sui canali prosegue, di tappa in tappa. È la volta del Quai Vert, dove la vegetazione trabocca dai tetti, scende dai muri e colora di verde le acque. Mentre cerco tracce remote dei tintori di robbia che un tempo avevano bottega in quel tratto di fiume, la mia memoria di colpo si accende: uno di loro, quello che adesso si presta a fare da nocchiero, allora si chiamava Robin Campin ed era pazzo di Rose Van Triele, la tintora di guado. Lei, l’innamorata, sopraggiunge quasi danzando e mi sorprende: avevo dimenticato quanto fosse bella con la sua lunga treccia bionda.
Mezzo miglio più avanti, tocca alla filatrice Margot saltare a bordo. La vedo e sorrido: ma che fa, si tinge ancora le chiome con l’inchiostro rubato al curato?
Più in là, la barca si accosta per far salire la fornaia: che dire? Nemmeno Ysengrine dei Tigli ha cambiato costumi e, come all’epoca, mentre cammina lascia una scia di farina.
La corsa sul pelo dell’acqua prosegue, finché su una banchina infestata dai rovi non appare Alix: trascina una sacca ricolma di erbe e decotti, ma non sembra più avere alcun peso sul cuore e risplende come la costellazione di stelle che dal cielo ci osserva.
Navighiamo silenti, e a un certo punto al nostro orizzonte appare la sagoma chiara del Beghinaggio della Vigna. Dal buio più nero spuntano Anne e Sebile: ignorando che “Lo specchio delle anime semplici” non è più fra i testi “all’indice”, continuano a nasconderne una copia sotto un grembiule di tela.
L’ultimo attracco del folle battello è nei pressi del granaio della vedova De Dos: lei sopraggiunge con passo solenne, scortata da un paio di piccioni, suoi fedeli custodi.
<Il cerchio si chiude> annuncia Greta du Glay dopo averci contate.
Sotto i colpi dei remi, la barca raggiunge un piccolo slargo e si arresta fra leggere correnti.
<Il tempo è tiranno e il giorno già incombe> rammenta la mercantessa dei saponi. Prima che albeggi, ognuna di loro dovrà rintanarsi nel luogo che le compete. Sono trascorsi i secoli, ma la segretezza di certi incontri non è venuta meno.
D’un tratto, Madama du Glay pronuncia il mio nome e una foglia scarlatta volteggia nell’aria, sospinta da un’eco vibrante. <Rammenta> scandisce lei, con piglio severo, <ti è concessa una sola domanda>. Una sola domanda alla quale avrebbe risposto, per conto di tutte, una delle otto sorelle.
Sospiro e scruto le mie Muse con occhi ammirati: sono un fascio di luce cresciuto nell’ombra; un corteo di fate ormai libere anche da me che le ho messe al mondo. Purtroppo, però, non mi è concesso attardarmi, è arrivato il mio turno. Mi schiarisco la voce e sussurro: <L’avete poi trovata quella terra felice, assente dalle mappe, dove governano le conocchie e non le spade?>.
<Sì, l’abbiamo trovata> conferma Alix. <Senza bisogno di fare i bagagli né di metterci in strada.>
<E dimmi, dov’era?>.
La medichessa di Saint-Gilles non tentenna: <Cercavamo fuori ciò che stava invece dentro ciascuna di noi. Per rendersi manifesta, quella terra a lungo sognata aspettava soltanto che il nostro sdegno s’armasse del giusto coraggio per poterci sfilare da sotto il tacco della stirpe di Adamo.>
<Dura battaglia, l’avete poi vinta?>.
Il tempo scade e non ottengo risposta. In tutta fretta, mi riconducono a riva e io, malinconica, resto a guardare le otto dame che se ne vanno assieme alle stelle.
All’indomani, non riparto senza prima correre alla Chiesa di Nostra Signora, per posare un ultimo sguardo su quella Madonna che il Buonarroti scolpì nel marmo per un ricco mercante fiammingo. Tiro poi dritto fra navate e cappelle, però mi soffermo un istante davanti alla tomba di una nobildonna incontrata nei libri: Maria di Borgogna, che proprio lì a Bruges diede alla luce il bell’Arciduca Filippo d’Asburgo, poi divenuto consorte e calvario dell’irrequieta Giovanna, a torto chiamata “La Loca”.
Non senza rimpianto, prendo infine commiato dalla perla più seducente delle Fiandre, ma con l’intento di farvi ritorno il prossimo autunno, per circondarmi di nuovo di tanta bellezza unita al mistero, e provare ancora una volta a varcare i sottili confini che separano la realtà dall’immaginario, le cose sognate da quelle vissute.
Il romanzo
È una luce abbagliante quella che attraversa i cieli grigi di Bruges, andando poi a planare sulle acque dei suoi cento canali, lungo le cui rive s’addensano le botteghe di eterni rivali: i tintori di robbia e quelli di guado. Il rosso e il blu. Su quel finire del Trecento, tra le incertezze provocate dal Grande Scisma d’Occidente, sono le continue rivalità tra i mestieri unite alle lotte sociali contro il potere dominante a tenere sempre alta la tensione nella ricca e melanconica città fiamminga. Mentre gli uomini si cimentano in proteste e guerre vere, alcune donne combattono in silenzio e senza armi ben altre battaglie: sono le dame della Compagnia della Conocchia che, in spregio dei pericoli e delle norme, s’incontrano di nascosto nelle fredde notti tra Natale e la Candelora. Si scambiano segreti e saperi, consigli e rimedi per la vita e sulla morte, ma soprattutto coltivano un grande sogno comune a tutte.