Recensione a cura di Claudia Babudri
Ho impiegato un po’ di tempo a trovare le parole adatte per descrivere questo romanzo. Mi sono chiesta a lungo come definirlo, nella ricerca meticolosa dell’aggettivo calzante. Intenso? Avvincente? Avventuroso? Toccante?
Nessuna di queste parole bastava perché Memorie di un’avventuriera di Emanuela Monti (Il ramo e la foglia edizioni, 2022), romanzo storico liberamente ispirato alla vita di Aphra Behn, è molto di più.
Ancora prima di Defoe, Richardson e Fielding c’era lei. Una donna moderna, dalla vita intensa, piena di colpi di scena. Omaggiata da Virginia Wolf, visse nella seconda metà del Seicento. Fu la prima donna della letteratura inglese a guadagnarsi da vivere come scrittrice d’opere teatrali ed in prosa.
“Fu soprattutto una drammaturga” precisa la Monti nella gradevole introduzione dell’opera. “Questo romanzo è un tributo che dovevo da molti anni ad Aphra Behn […] Un personaggio talmente straordinario che ben presto me ne invaghii e, così, fin dai tempi dell’Università, ho concepito il sogno di scriverne la storia”.
Ed è in virtù di questa lettura, attraverso gli studi storici dell’autrice, che ho avuto il modo di conoscere questa scrittrice straordinaria.
La Behn, drammaturga, visse in una epoca in cui “l’età dell’oro del teatro inglese, l’epoca elisabettiana, si era chiusa e i vertici shakespeariani erano ormai lontani”. Nacque “in una delle epoche più turbolente” che l’Inghilterra ricordi, segnata “dalla guerra civile e le violenze dei puritani”.
Sulla sua vita è stato detto molto (anche in modo controverso). Essendone ampiamente dibattuta l’esistenza, l’autrice ha optato per quel “liberamente ispirato”, narrandone le vicende sotto forma di memorie raccontate in prima persona o epistole, con uno stile personale, parlato, vivo, assolutamente coinvolgente. Al di là dell’onestà intellettuale dimostrata attraverso la spiegazione delle fonti (citate nella ricca bibliografia alla fine del romanzo) e l’approfondimento storico sulla vita della protagonista, lo stile adottato ne costituisce importante punto di forza.
È appassionato, pulsante di quell’amore e interesse che la Monti nutre nei confronti della Behn.
Come descriverne la vita piena se non in questo modo coinvolgente?
Una esistenza vissuta all’insegna delle passioni per la scrittura, per la ricerca della libertà e dell’anticonformismo dimostrato sin dalla più tenera età. La drammaturga, attraverso la narrazione della Monti, si ricorda bambina, nella bottega del padre. Bartholomew era un barbiere di Canterbury successivamente insignito di cariche pubbliche, poi inviato in Surinam, nei Caraibi, per conto della Corona inglese.
Da fanciulla, nell’attività paterna, Aphra restava “in mezzo a uomini che venivano dai luoghi più disparati, ognuno con una storia da raccontare”. Sua madre, sempre pronta a raccomandarle il corretto bon ton, la biasimava per questo. Quello che di lei si vedeva, quello che della Behn si giudicava era il suo essere donna, dunque soggetta a regole ferree. Ricordo che siamo nel Seicento: epoca difficile se non si rispettavano i limiti imposti. Parliamo di un mondo ossessionato da consuetudini definite, ben tratteggiato dall’autrice nel suo essere fonte di contrasto per i desiderosi di scelte non convenzionali.
Ma non solo. Il Seicento è anche l’epoca dei pregiudizi su persone e luoghi. “Non è adatto a una donna, tantomeno ad una gentildonna” pontificava Lady Elizabeth Willoughby sulle Indie “Si dice che da quelle parti vivano terrificanti cannibali […] In più molti europei vengono colpiti da malattie sconosciute, caratteristiche dei tropici. Così, le poche donne che si trovano là, in pratica, non escono di casa, ma solo per via degli indigeni e delle malattie.”
Lady Elizabeth, moglie dell’avido e odioso barone Willoughby, governatore delle Barbados, sempre pronto a mettere in cattiva luce Aphra – che mal lo tollerava pur lavorando per lui, come spia inglese in Surinam – non risparmiava nessuno “Neppure i nostri connazionali meritano di essere frequentati: nelle Indie si è riversata una tale accozzaglia di rifiuti umani!”. Parole fonte di tormento e ansia per la madre di Aphra, inizialmente riluttante al viaggio oltreoceano, al quale la famiglia della drammaturga fu costretta a piegarsi.
Anni vissuti lontani dall’Inghilterra, segnati dalla lotta per il potere tra Lord Willoughby e Robert Harley, cancelliere delle Barbados ma resi gradevoli dalla presenza di Anna, dama di compagnia della protagonista. Scrittrice, donna indipendente, viene tratteggiata tra il romanzato e il reale in modo minuzioso. Fu spia inglese: non solo in Surinam ma anche in Olanda, per controllare i repubblicani fuggiti alla giurisdizione della Corona. La sua vita, segnata dalla peste del 1665, dal grande incendio che colpì Londra nel 1666 e dalla reclusione in carcere, fu segnata da forti passioni e atroci delusioni sentimentali.
Dopo aver rifiutato alcune proposte di fidanzamento, costruendosi una pessima fama e nomea, alla soglia dei venticinque anni decise di cambiare rotta.
Dopo la morte del padre, conscia di essere prossima a diventare “lo zimbello del mondo” a causa dell’imperante mentalità, decise di arrendersi, addomesticando la sua natura, cercando di salvarsi dal giudizio scottante dell’opinione pubblica tramite il matrimonio. Si sposò con Johannes Behn, un uomo di origini olandesi, rivelatosi avido, meschino e gretto.
Terribile per Aphra fu il 1667.
“Bastarono pochi giorni di convivenza perché mi rendessi conto che Johannes mi lesinava persino gli spiccioli e poche settimane perché mi accorgessi che nascondeva e chiudeva a chiave i soldi e i documenti relativi ai suoi affari più importanti in una nicchia dietro ad un quadro, in camera da letto.”
Ma non solo, la stessa sorte toccava anche al cibo, nascosto nel medesimo luogo. “Attenta a come parlate” le intimò l’uomo, accusato da Aphra per il suo comportamento “Potete dirvi fortunata se sfamo voi, vostra madre e quell’impiastro di vostro fratello. Ricordatevi che non mi avete portato nulla in dote […] Il valore dei beni cambia, con l’uso” proseguì il gretto, alludendo alla giovinezza e bellezza di Aphra, all’inizio reputati sufficienti per sposarla al di là della dote mancante.
“Tutto si deprezza col tempo. Eccetto il vino buono. Una donna poi vale già poco di suo, quando l’hai avuta vale ancora di meno.”
Johannes, un personaggio squallido. Sono sicura che il lettore lo odierà in quanto abilmente descritto dall’autrice nel suo essere serpentino e viscido. Dopo la morte prematura, lasciò alla protagonista solo un cognome, il titolo di signora e una patina di rispettabilità. La vita sentimentale di Aphra, fu segnata da molte delusioni. Ho partecipato attivamente a questi rovesci in virtù dell’efficace descrizione psicologica della Behn e dei protagonisti del romanzo. Leggendo ho avvertito il dolore di questa donna, nonostante tutto risoluta a coltivare la passione della scrittura.
Ormai matura, dopo altre relazioni non andate a buon fine e l’essersi svenduta per far fronte a pressanti esigenze economiche, s’invaghì del giovane John Hoyle, futuro avvocato, preda di forti e fugaci passioni. “Prima di John non si può dire che non avessi mai conosciuto del tutto il mio lato istintivo. Con Philiph ero troppo giovane e troppo poche erano state per noi le occasioni per abbandonarci al piacere dei sensi; con Johannes Behn, nei tempi migliori, l’attrazione fisica mancava della profondità del sentimento” successivamente “William Scot si era tirato indietro adducendo una serie di scuse.” Hoyle sembrava diverso. “Fu John a farmi scoprire la femminilità” condividendo con la scrittrice un intenso rapporto fisico il cui ardore era destinato ad estinguersi ben presto, attratto da nuovi e vari interessi. Hoyle tornò alla carica due volte e per due volte lasciò Aphra in modo ignobile.
Memorie di un’avventuriera è un universo accattivante.
Vi invito ad immergervi in esso, in questa narrazione toccante frutto della penna di Emanuela Monti. Un filo sottile, unirà il vostro cuore ad Aphra Behn: la sentirete ridere, piangere, sarete al suo fianco, accompagnandola lungo il travagliato percorso di vita, apprezzandone carisma e personalità. Vi ho affidato le mie riflessioni eppure vorrei dire tanto altro, spinta da quella passione, quell’intensità narrativa che, sono sicura, apprezzerà anche chi, in questo momento, ha dedicato attenzione a queste mie parole.
Perché questo romanzo è vivo. Questo romanzo vibra d’un anelito libero e vitale, fonte di emozioni condivise, capace di creare suspence e attesa in virtù del colpo di scena finale.
Trama
Prima donna scrittrice di professione nel panorama anglosassone, celebrata da Virginia Woolf e dal gruppo di Bloomsbury, Aphra Behn vive una parabola straordinariamente avventurosa sullo sfondo turbolento dell’Inghilterra del Seicento, tra la rivoluzione puritana, il regicidio di Carlo I, la restaurazione e il tramonto degli Stuart. La vicenda di Aphra Behn è narrata prevalentemente sotto forma di mémoire in prima persona, con un linguaggio “parlato” diretto e attuale, pur con echi dello stile “storico”, e con un taglio psicologico che conferiscono al personaggio un carattere universale. Dal lavoro di accurata ricerca e dallo studio delle fonti primarie è scaturito un romanzo dalla struttura agile, in cui l’immaginazione dell’autrice, sia quando si arroga il diritto di colmare i “vuoti” biografici, sia quando si prende la libertà di scegliere tra le versioni contrastanti quella più adatta allo scopo, rimane sempre ancorata al principio della verosimiglianza e al valore della prospettiva storica.