Articolo a cura di Raffaelina Di Palma
Sfidare il mondo, ecco quale dovrebbe essere il nostro scopo, invece di vivere per accondiscendere alle sue pretese, come facciamo per lo più.
(Oscar Wilde)
Nessun altro pensiero racchiude meglio la personalità di Oscar Fingal O’ Flahertie Wills Wilde nato a Dublino il 16 ottobre 1854.
Dopo aver frequentato il rinomato Trinity College a Dublino e il Magdalen College, divenne presto celebre per la sua lingua tagliente, per i suoi modi eccentrici e per la sua brillante intelligenza.
Insolente, vizioso, dotato di una vivace inventività e creatività, acclamato re della conversazione al suo tempo, vi seminò così tanti bon mots (frasi argute e impertinenti) che, sebbene siano diventati leggendari, lasciano sorpresi a ogni rilettura, ritrovando in essi un significato diverso, sempre nuovo.
Era un uomo che attribuiva una grandissima importanza al proprio aspetto, dando valore soprattutto allo stile, alle belle maniere: era il dandy più famoso dell’epoca un’epoca, quella vittoriana, in cui la divulgazione della letteratura si ampliò grazie al potenziamento delle vie di comunicazione e ad un innovativo sistema di pubblicità per spandere, discutere, relazionarsi, per condividere nuovi pensieri e nuove idee con scrittori anche fuori dell’Inghilterra.
Wilde fu l’esponente principale del decadentismo inglese, come Baudelaire lo fu per la Francia e D’Annunzio per l’Italia; si può affermare con certezza che Wilde fu l’esteta inglese per eccellenza.
Ebbe molti problemi con la classe sociale borghese e più benestante della Londra che descriveva nelle sue pagine e non soltanto a causa della sua sessualità.
Nel 1884 sposò Costance Lloyd: un matrimonio più di pura apparenza che per amore.
Del resto, Wilde era omosessuale e viveva questa condizione con enorme disagio proprio a causa della opprimente morale vittoriana che dominava nell’Inghilterra dell’epoca.
Dopo la nascita dei suoi figli Cyryl e Vyvyan, si separò dalla moglie a causa della sua prima relazione omosessuale.
Nel 1888 pubblicò la sua prima collezione di storie per bambini “Il principe felice e altre storie”, mentre tre anni dopo pubblicò il suo primo e unico romanzo, “Il ritratto di Dorian Gray”, capolavoro che gli diede fama e successo, tanto che, ancora oggi, quando si dice “Dorian Gray” lo si abbina automaticamente a Oscar Wilde.
Con questo romanzo denunciò quella che era la morale vittoriana, rappresentata fondamentalmente dall’ipocrisia per la quale contava la stima, (apparente), come valore primario: bisognava fare apparire una faccia pulita pubblicamente, anche se nel privato si celavano manie indegne. Wilde stesso viveva questo stato, tenendo nascosta la sua omosessualità, quella parte di sé che, all’epoca, era ritenuta socialmente inaccettabile e avendo la peggio nel momento in cui questa sua particolarità venne alla luce.
Dorian Gray, quindi, rappresentava l’ineccepibile uomo vittoriano: infinitamente bello, infinitamente giovane, infinitamente affascinante, che nascondeva in soffitta la testimonianza delle sue perversioni.
Oscar Wilde cercò una via di fuga calandosi nel suo “io”: rilevando il conflitto tra le classi, il lignaggio dei ceti sociali e le contraddizioni del colonialismo.
Il culto del bello portò all’estremo tentativo di fuga dalla realtà: gli scrittori si immedesimarono con la loro epoca: combatterono contro le frustrazioni, le incertezze, contro l’utilitarismo che portava l’essere umano ad arrendersi invece che difendersi; di quell’utile individuale come motivo fondamentale dell’agire umano, non poteva non accordarsi con la utilità generale, contro le restrizioni morali, spezzando le convenzioni sociali. Oscar Wilde ne fu il principale portavoce.
Nella realtà e nell’esperienza umana c’è una visione edonistica onnipresente che nel “Il ritratto di Dorian Gray”rappresenta il concetto di peccato. Peccato da interpretare in modo metafisico: quel qualcosa che ti macchia l’anima.
L’aspetto peculiare del romanzo, oltre ad alcuni passaggi surreali, come quella del ritratto a olio che invecchia al posto del protagonista, cosa che non mancò di provocare l’ira della critica, la quale intravedeva nella prosa di Wilde la decadenza e la disgregazione morale sotto forma di provocazione.
Nel 1891, il suo “annus mirabilis”, pubblicò il secondo volume di favole “La casa dei melograni” e ”Intenzioni”; una collezione di Saggi tra i quali il celebre “La decadenza della menzogna”. Quello stesso anno scrisse il dramma “Salomè”, per la celebre attrice Sarah Bernhardt e ancora una volta il tema della forte passione ossessiva scandalizzò e non poteva non attirare le critiche della censura britannica che ne proibì la rappresentazione. Ne “Il ventaglio di Lady Windermere”, nascose la critica velenosa alla società vittoriana. La stessa che faceva la fila per vedere la commedia.
Entusiasta dei successi ottenuti lo scrittore produsse una quantità notevole di opere di pregio.
Con “Una donna senza importanza” affrontò lo sfruttamento sessuale e sociale delle donne, mentre in “Un marito ideale” incentrò la corruzione politica. La sua “verve” accattivante esplose ne “L’importanza di chiamarsi Ernesto”, un’altra pugnalata al cuore della falsa morale corrente.
E la società vittoriana non era propensa a tollerare e a vedere svelate le sue contraddizioni in maniera così lampante e beffarda.
A partire dal 1885, la luminosa carriera dello scrittore e la sua vita privata vennero in poco tempo distrutte. Nel 1895, fu condannato per omosessualità, processato e condannato per il reato di sodomia a due anni di carcere duro. Processato anche per bancarotta, i suoi beni furono messi all’asta.
Si spense a Parigi il 30 novembre 1900. Una morte accompagnata da rimpianti, segnata dal difficile rapporto con i genitori, da fughe e prigionie, di storie d’amore sofferte, come lui stesso racconta nella lunga lettera “De Profundis”, scritta in carcere e indirizzata all’amante Alfred Douglas.
Negli ultimi giorni di vita rifletté sulle sue scelte, sulla religione, sulla sessualità.
Il nome di Oscar Wilde è fortemente legato alla filosofia dell’estetismo: egli fu l’impeccabile esempio del dandy, un uomo di classe che fece della sua vita un’opera d’arte: alla ricerca spasmodica della sensualità, sconvolgendo il comodo “perbenismo” con le sue affermazioni scandalose.
Curiosità
Sebastian Melmoth e Sant’Oscar di Oxford, sono pseudonimi sotto cui a volte Oscar Wilde scriveva.
Quando lo condannarono a causa della sua omosessualità, moglie e figli vollero cambiare cognome in Holland per proteggersi dallo scandalo.
Aderì alla massoneria durante gli studi universitari ad Oxford, presso la Apollo University Lodge. Divenne anche Maestro massone, ma per mancato pagamento delle quote annuali venne espulso dalla loggia.
Se per anni la sua morte fu imputata alla sifilide, una revisione scientifica successiva ha identificato come causa della morte una suppurazione intracranica causata da un’otite media cronica ( leggi: “Oscar Wilde non è morto di sifilide”).
E’ seppellito nel cimitero di Père Lachaise a Parigi e la sua tomba, opera di Sir Jacob Epstein, è consumata da centinaia di stampi di baci sul basamento.
Si fece battezzare poco prima di morire.
Jane Erancesca Elgee, la madre, vantava inesistenti origini italiane. Per la precisione toscane.