Recensione a cura di Donatella Palli
“Voleva apparire sicura, mostrare a tutti che sapeva quel che faceva con convinzione, ma era una forza fittizia e in cuore suo aveva più paura dei sei figli messi insieme”
Questa è la storia vera di una donna eccezionale, dei suoi figli e di tutti i suoi amici, raccontata dalla nipote Carolina.
La scrittrice Carolina Pobla, alla sua seconda esperienza, dopo aver pubblicato nel 2020, I gerani di Barcellona, la saga dei Torres, si cimenta adesso nel suo nuovo romanzo con un’altra saga familiare, quella di Ilse.
Siamo nel 1942 e Ilse, rimasta vedova dopo un matrimonio infelice, con sei figli decide di lasciare Monaco e rifugiarsi in un villaggio vicino nell’antica villa di famiglia. L’atmosfera in città stava cambiando e i valori si sgretolavano i bambini a scuola venivano indottrinati con termini pericolosissimi come superiorità, supremazia o purezza di sangue.
Nessuno poteva più fidarsi di nessuno.
All’arrivo al villaggio Ilse non trova più la sua casa che è stata requisita dall’esercito e adibita ad ospedale militare. Così deve accontentarsi di una piccola baita mezza diroccata e con l’aiuto di Johann e Ramona ,i casieri che l’hanno vista crescere, si adatta a vivere, tra le molte difficoltà, in un posto non attrezzato per una famiglia numerosa come la sua.
Un poco alla volta i suoi figli si abituano a quella diversa condizione di vita e Ilse comincia a sentire che, nonostante i sacrifici e le ristrettezze, non ha sbagliato a fuggire da Monaco. In campagna la guerra è lontana e percepita solamente dalle famiglie che hanno visto partire i figli soldati.
Guardata con curiosità e sospetto come la figlia della famiglia più importante del villaggio, a poco a poco Ilse riesce a farsi accettar
e dai contadini e fa la conoscenza di persone che risulteranno importanti per la sua vita come il dottore militare Dante Neumann, il maestro Paul, il colonnello Joaquim Hemmer, direttore dell’ospedale militare. Nel piccolo paese, dove si conoscono tutti, non si respira l’aria pesante del nazismo, fatta eccezione per il pavido sindaco e sua moglie, una vera arpia.
Il colonnello Hemmer, ufficiale di carriera, melomane, erede di una tradizione aristocratica non gradisce la compagnia di quella nuova élite nazista e aspira, soprattutto, a non aver noie con la popolazione non troppo incline a rifornire di cibo il distaccamento.
Il freddo inverno non consente alla famiglia di vivere nella baita e così inizia una gara di solidarietà che permetterà successivamente di fare migliorie alla costruzione a cui tutto il paese contribuisce compresi i soldati del distaccamento.
È proprio in questo periodo che Ilse trova un bambino ebreo nella foresta: è lacero, sporco e ha assistito all’arresto della sua famiglia; diventerà il settimo figlio che chiamerà Victor. A loro si unirà anche un orfano, Frank.
Sotto la guida di Ilse e Ramona, tutti si attivano per la sopravvivenza della comunità. La vita dei bambini è, nonostante tutto, spensierata. Le relazioni sono amichevoli e incentrate sempre sul senso forte di comunità.
È nel 1944 che gli abitanti del villaggio vengono a sapere che nei boschi intorno sono stati paracadutati dei soldati nemici.
“Fino a quel momento la vita di campagna si era mantenuta ai margini del conflitto vero e proprio. Era un periodo di ristrettezze, certo, di dettami patriottici da seguire, ma mai , fino ad allora, si erano trovati faccia a faccia con la realtà. Per la prima volta provarono le angosce della guerra”
I soldati vivono nell’ansia del nemico vicino “una passione indotta da mesi d’ indottrinamento (…) quella che si erano immaginati come una grande avventura che li avrebbe immediatamente ricompensati permettendo loro di tornare alla vita di prima con un avvenire radioso si era trasformata in anni di lontananza e solitudine, di sacrifici, paura e perdite”
Il colonnello informa Dante :“gli americani sono sbarcati in Normandia, stiamo perdendo la guerra”
Simon il figlio di Ramona, uno dei giovani del villaggio partito soldato, è ritornato a casa ma deve stare nascosto perché è disertore, fuggito da un campo di concentramento dove aveva la mansione di vigilante, confessa alla sua famiglia: “ho visto crudeltà senza limiti e tanta sofferenza(…) Sono diventato un mostro “.
Si avvicina l’epilogo: i tedeschi sono in ritirata lasciano il villaggio e devono abbandonare i feriti più gravi alle cure di Ilse e del dottore.
Arrivano gli americani e scelgono la casa di Ilse come campo base. All’esterno issano dei pannelli con delle gigantografie dei campi di concentramento. All’inizio gli abitanti sono increduli, le foto non possono essere vere, ci sono scene di pianto, di rabbia. All’interno viene allestita una sala per le proiezioni di filmati che mostrano tutto l’orrore dell’eliminazione di massa. Gli abitanti del villaggio devono visionarli perché sono ritenuti tutti responsabili di questa barbarie.
Questo è un romanzo corale in cui i protagonisti sono tutti gli abitanti del villaggio bavarese.
I personaggi sono tanti, come in tutte le saghe, ma l’autrice ha la capacità di caratterizzare ciascuno dandogli una propria individualità. La vita scorre nella quotidianità ma, per ognuno, c’è una storia che lo accompagna , che gli permette di confrontarsi e creare con gli altri legami profondi. Tutta la retorica razzista, nazista, sembra molto lontana ed è ritenuta inverosimile quando i vincitori arrivano in paese e mettono gli abitanti di fronte agli orrori dello sterminio.
L’autrice ci presenta Ilse come una donna indomabile, le sue relazioni con i figli, il suo spendersi nell’aiutare i feriti, gli orfani, una vera eroina che si muove ,senza alcun dubbio, sulla scia del bene con grande dedizione e, in qualche momento, il suo buonismo è un po’ stucchevole, ma niente toglie alla sua straordinaria energia.
Un profondo senso di speranza nella vita, un senso di fratellanza e solidarietà è il messaggio di Carolina Pobla con questo romanzo.
Trama
Germania, 1942. Appena fuori Monaco, i prati in primavera si riempiono di fiori di campo che ondeggiano dolcemente al soffio pigro del vento. Gli occhi di Ilse si riempiono di lacrime davanti a un paesaggio che sembra non essere cambiato da quando, ancora bam – bina, passava lì le estati. Eppure, è convinta di aver preso la decisione giusta abbandonando la città per rifugiarsi nella casa di famiglia, insieme ai sei figli. In un luogo dove l’ombra della guerra e delle divise brune sembra non essere arrivata. Pensa di essere al sicuro, fino a quando al villaggio si presenta un bambino sporco e denutrito. Ilse si accorge subito della stella sulla camicia. Sa che offrirgli un rifugio la metterebbe contro il regime. Eppure non esita un istante a prenderlo con sé e a proteggerlo come un figlio. Lei, che ha avuto una vita difficile, riconosce chi porta le sue stesse ferite. Il fragore degli spari e delle esplosioni si avvicina ogni giorno di più. A farne le spese sono soprattutto le figlie, i suoi piccoli boccioli: Margot, la figlia maggiore, rinuncia a suonare il pianoforte per occuparsi dei fratelli e dell’orfanotrofio; Betina deve ritirarsi in convento; Violetta fantastica di avventure esotiche, ma viene derisa dai fratelli. Tutte hanno dei sogni. E sono decise a non arrendersi, nonostante a pochi passi da loro infuri una battaglia che sembra senza fine. Perché anche nei luoghi più angusti i fiori possono sbocciare.