Recensione a cura di Anna Cancellieri
“Brutale uxoricida”, “musicista ispirato”: questi i due estremi tra cui si muove l’esistenza del principe Carlo Gesualdo da Venosa, che l’autore ci racconta mescolando con sapienza storia e immaginazione.
Un titolo che contiene la parola “madrigale” promette musica: tanto è bastato a destare la mia curiosità di musicista. Confesso che non conoscevo i madrigali di Gesualdo ma, dopo poche pagine, non ho potuto fare a meno di cercarli e restare a bocca aperta. Per l’orecchio di quattro secoli fa, non avvezzo come il nostro a ogni tipo di modulazione, certi accostamenti cromatici erano sgradevoli o persino visti con sospetto.
Nei madrigali del principe le voci si intrecciano in modi inusitati, si avvicinano e indugiano anche alla distanza di un semitono, prima di allontanarsi nei loro percorsi armonici, creando nuove inaspettate dissonanze e lasciando in sospeso un risoluzione che arriva sospirata dopo lunghissima attesa. Musica “storta”, la definisce il servitore Gioachino. Ma per noi, pubblico smaliziato, è affascinante nella sua prodigiosa modernità.
Il romanzo inizia con il ritrovamento di una rarissima biografia presso una libreria antiquaria, nella quale due amici cercano riparo dalla pioggia.
Anche se l’espediente può sembrare poco originale, per me è stata una delizia scoprire che uno dei due, il futuro proprietario della misteriosa cronaca, è nientemeno che Igor Stravinskij! Come vedremo, la scelta non è casuale.
L’autore della biografia, un nano deforme, si dichiara servo del “principe mio” e depositario dei suoi più intimi segreti. Sarà lui a raccontarci in prima persona la storia del principe di Venosa, il suo amore per la bellissima Maria D’Avalos e lo spietato castigo per il tradimento di lei, un’esecuzione a cui Gesualdo è “costretto” dalle rigide leggi dell’onore e da cui, in virtù delle medesime leggi, sarà pienamente assolto.
A quest’evento, atteso e inevitabile, fanno da contorno scene granguignolesche piene di particolari disgustosi, frattaglie, autopsie, per non parlare del misterioso prigioniero chiuso nelle segrete in condizioni così disumane che, a rigor di logica, già da lunga pezza sarebbe morto di setticemia o scorbuto o altre piacevolezze del genere. Uno sfondo da romanzo gotico che rende ancora più cupe le vicende del principe.
La narrazione è scandita da intermezzi in corsivo, nei quali lo stesso Strawinsky commenta ciò che sta leggendo, e anticipa con qualche trepidazione la tragedia imminente: “Se Gioachino è così preciso… non so cosa aspettarmi dal racconto della macellazione dei due amanti. Anzi: lo so.”
In ogni caso ciò che più mi ha incantato sono le sue considerazioni di natura musicale:
“Il libro VI dei madrigali, questa meraviglia che chiude definitivamente il Rinascimento italiano… dopo di lui, non si può fare altro che essere barocchi.”
“Se quest’uomo, come dicono, fu Lucifero, fu un Lucifero portatore di bellezza, qualcuno che la sua musica l’aveva sottratta al paradiso.”
Alcune fanno davvero sorridere:
“È una musica a cui i cantanti si avvicinano con inquietudine, perché fa venire il singhiozzo.”
“Lei non può fingere di ignorare il potere sovversivo di una settima” (detto da un giudice che lo accusava di averla inserita nell’inno nazionale americano).
Ma altre suggeriscono un legame insondabile fra ispirazione ed espiazione:
“Avrebbe scritto Gesualdo della musica così ispirata, se non fosse prima precipitato negli abissi della colpa?”
“O mio unico amore mia grande follia” mormora il principe dopo il massacro. Come ci si può perdonare dall’aver dato la morte “per dovere” all’unico amore della propria vita?
Nei suoi commenti Strawinsky, instancabile sperimentatore, ammette di sentire Gesualdo come padre spirituale, al punto da volergli dedicare una sua opera, il “Monumentum pro Gesualdo da Venosa”, basata su tre madrigali, in cui le voci sono sostituite e rielaborate con una sapiente orchestrazione.
Fra i due ci sono altre sorprendenti affinità: Gesualdo amava Maria fin da ragazzo, ma essendo cugini di primo grado poterono sposarsi solo per dispensa papale; Stravinskij amava fin da bambino Ekaterina, sua cugina di primo grado, unione proibita anche per il rito ortodosso. Un prete compiacente li sposò alla presenza dei soli testimoni.
Il titolo ha mantenuto la promessa e ho trovato più musica di quanta mi aspettassi. Ciò non toglie che vi sia ben altro, soprattutto il mistero di un’anima tormentata che, dopo essere sprofondata fino all’inferno, cerca riscatto e redenzione spiegando le ali del suo genio.
Un uomo solo, tormentato, compie un efferato omicidio perché obbligato dalle convenzioni del suo tempo. Da lì scaturisce, inarginabile, il suo genio artistico.
Gesualdo da Venosa, il celebre principe madrigalista vissuto a cavallo tra Cinque e Seicento, è il centro attorno a cui ruota il congegno ipnotico di questo romanzo gotico e sensuale. Come può, è la domanda scandalosa sottesa, il male dare vita a tale e tanta purezza sopra uno spartito?
Per vendicare l’onore e il tradimento, il principe di Venosa uccide Maria D’Avalos, dopo averla sposata con qualche pettegolezzo e al tempo stesso con clamore. Fin qui la Storia. Il resto è la nostalgia che ne deriva, la solitudine del principe: è lì, nel sangue e nel tormento, che Andrea Tarabbia intinge il suo pennino e trascina il lettore in un labirinto.
Questa storia − è ciò che il lettore scopre sbalordito − ci parla dritti in faccia, scollina i secoli e arriva fino al nostro oggi, si spinge fino a lambire i confini noti eppure sempre imprendibili tra delitto e genio.
Con un gioco colto e irresistibile, tra manoscritti ritrovati e chiose di Igor’ Stravinskij − che nel Novecento riscoprì e rilanciò il genio di Gesualdo − Andrea Tarabbia, scrittore tra i migliori della sua generazione, costruisce un romanzo importante, destinato a restare.
L’edificio che attraverso Madrigale senza suono Tarabbia innalza è una cattedrale gotica da cui scaturisce la potenza misteriosa della musica. È impossibile, per il lettore, non spingere il portale. E, una volta entrato, non restarne intrappolato.