Recensione a cura di Francesca Vannini
Non spaventatevi per la mole di questi 4 tomi, perché, ve lo garantisco, alla fine vedrete che la mole è un vantaggio. Non saprete più come staccarvi da questa saga assolutamente epica, e quando, purtroppo, dovrete rassegnarvi al fatto che è finita, non saprete davvero come consolarvi.
Di tutti i libri, a mio avviso, il secondo è di gran lunga il più bello. Negli ultimi, ovviamente, la tristezza degli eventi si fa un po’ sentire anche sul lettore. Tutta la saga è comunque davvero impeccabilmente scritta e condotta.
Per tutto il romanzo si percepisce chiaramente che questi uomini stanno facendo la Storia. Sì. Quella con S maiuscola. Per tutto il corso della narrazione il lettore sente che, se una sola cosa fosse andata diversamente, una pedina scambiata, un contrattempo, una battaglia perduta, la storia potrebbe non essere quella che conosciamo. Roma potrebbe essere solo una paginetta su un libro di storia e noi cittadini Cartaginesi. Che c’è mancato un soffio.
Tutto inizia in una Roma ancora arcaica, una Roma severa e ancora parzialmente rurale, lontanissima dai lussi e dallo sfarzo imperiale. È una Roma in cui la frangia più conservatrice, capeggiata da Quinto Fabio Massimo, il temporeggiatore e poi da Marco Porcio Catone, odia con ferocia qualunque influenza percepita come levantina e corruttrice dei costumi. È una Roma in cui i personalismi dei generali sono malvisti e mal tollerati e anche la nobile famiglia degli Scipioni, soldati valorosi da generazioni, ma con una pericolosa inclinazione ad apprezzare le opere letterarie ed artistiche greche e ad indulgere a rischiose mollezze quali il teatro, devono rendere conto ad un senato severo e fazioso. E nulla si può dare per scontato.
La saga segue tutto l’arco delle vite di Publio Cornelio Scipione, che sarà soprannominato l’Africano, dopo la vittoria di Zama. Fin dall’infanzia e dai suoi esordi in guerra, adolescente, alla sua morte. Parallelamente si snoda la vicenda del grande nemico di Roma, Annibale, figura poderosa e affascinante, che sarà l’antagonista di Scipione per tutte le loro vite.
Il tono è a tratti francamente epico. Posteguillo dà davvero il suo massimo nelle descrizioni delle battaglie, e battaglie ce ne sono a volontà, tutte corredate degli schemi degli schieramenti, così come sono stati tramandati. Gli echi delle vite di questi uomini, trascorse interamente in guerra, l’eroismo da entrambe le parti, i rapporti camerateschi, sono estremamente coinvolgenti. Generali e ufficiali sono vividi e ben descritti. La figura poderosa di Annibale, che arriva a minacciare la sopravvivenza stessa di Roma e passeggia davanti alle mura della città atterrita, coperto di pelli di lupo, con alle dita gli anelli di cinque consoli uccisi è semplicemente mozzafiato.
Ci sono anche alcuni scorci di vita quotidiana e famigliare, ma non molti. Le figure di donna, che pure sono presenti e i rapporti amorosi, non sono a mio avviso uno dei punti di forza di questo, peraltro davvero eccellente autore, tuttavia fungono da contesto e sostengono la narrazione.
Ho trovato molto interessante la capacità di Posteguillo di affiancare alla vita di Scipione quella di Tito Maccio Plauto, il grande commediografo, suo protetto. In qualche modo, questo consente di vedere la vicenda da due punti di vista distinti e avvicina il lettore anche a quella plebe che, di norma, ha scarsa parte nelle vicende della storia, così come vengono narrate. Inoltre, ci viene data una cronologia dell’opera di Plauto che si intreccia con la vita dei suoi mecenati.
Davvero strepitosi sono i villain della serie. Mai ovvi e mai scontati. E se la figura di Marco Porcio Catone era prevedibile che bucasse la pagina con la sua presenza, autenticamente insopportabile, che Quinto Fabio Massimo sarebbe stato anche lui perfetto nel ruolo di cattivo, non me lo sarei aspettata. Invece funziona benissimo.
Ed è bellissima proprio la parabola, di tutte le vite di Scipione e Annibale, sempre uno di fronte all’altro, sempre a combattersi con ogni possibile mezzo e stratagemma, sempre in guerra eppure pieni di rispetto reciproco e il parallelismo della loro ascesa e caduta, traditi dalle rispettive patrie.
L’autore è documentatissimo, attento ai minimi particolari e quando, come è ovvio, aggiunge episodi di fantasia, lo fa con una perizia che è davvero difficile distinguere cosa sia storicamente provato e cosa invece sia solo un dettaglio verosimile di finzione scenica (ho cercato su internet più di una volta per capire se un episodio o un altro che non conoscevo avessero fondamento storico e devo dire, che, per la maggior parte, le basi storiche del romanzo sono solidissime).
Personalmente è stato il miglior romanzo storico dell’anno. Consigliatissimo!
Roma, 235 a.C. Il senatore Publio Cornelio Scipione, avido lettore di tragedie greche, è pronto ad assistere a una delle prime rappresentazioni teatrali messe in scena nella capitale. Non sa che quel giorno si sta compiendo la Storia. Perché poco dopo l’inizio dello spettacolo, un servo arriva a chiamarlo. È nato suo figlio: si chiamerà come lui, Publio Cornelio Scipione, ma sarà ricordato nei secoli a venire con un altro nome: l’Africano. L’uomo destinato a salvare l’Impero, e impedire che la civiltà romana venga cancellata.
Perché Roma, in quell’ultimo spicchio del iii secolo, è in pericolo. A minacciarla c’è l’esercito più potente che la capitale dell’Impero si sia mai trovata a fronteggiare, guidato da uno dei condottieri più abili e spietati che la Storia ricordi. Annibale, che col suo esercito di soldati ed elefanti è pronto ad attraversare le Alpi, e a dare alla Storia un corso inimmaginabile.
Tra Scipione e Annibale si consumerà una battaglia all’ultimo sangue. In palio, c’è il destino di un mondo.
Un nuovo, ricchissimo romanzo storico dall’autore più amato di Spagna, che racconta con maestria narrativa e ritmo irresistibile le gesta di uno dei grandi uomini che hanno fatto la storia dell’Impero, e la nostra.
Lui si chiama Publio Cornelio Scipione, ma i posteri lo conosceranno con un solo nome: l’Africano. A lui – in un momento terribile per la Repubblica – il compito di rimettere la Storia sulla retta via e proteggere Roma dalla minaccia più grande: quella di Cartagine.
Ma i nemici si annidano anche a Roma, dove il senatore Quinto Fabio Massimo, con un colpo da maestro, obbliga Scipione ad accettare una missione apparentemente senza speranza: condurre le legioni V e VI, le cosiddette “legioni maledette” stanziate in Sicilia, in una campagna contro Asdrubale Barca, fratello di Annibale. Così Quinto Fabio Massimo pianifica, in realtà, di disfarsi dell’Africano. Ma il giovane Scipione ha più di una freccia al suo arco, e una disfatta apparentemente certa si trasformerà nell’inizio di un trionfo senza pari.
Da un autore da un milione di copie solo in Spagna, una saga straordinaria, che fa rivivere con maestria le gesta dei grandi di Roma, consegnandoci un romanzo epico e di grande respiro, come la Storia stessa.
Il mio nome è Publio Cornelio Scipione. Sono stato due volte console, censore e princeps senatus di Roma. Ho servito la mia patria con orgoglio e lealtà. Devo ammettere che mai avrei pensato di scrivere le mie memorie. Nella mia vita ho ottenuto successi encomiabili, alcuni di essi celebrati da poeti, pensando che sarebbero rimasti senza dubbio nella storia, ma per via delle circostanze attuali mi vedo costretto a lasciare per iscritto i miei sentimenti riguardo a tutto ciò che è accaduto a Roma negli ultimi anni: un periodo in cui la nostra città, dall’importante centro in Italia che era, si è convertita nella capitale di un immenso impero, un impero del quale io ancora non intravedo i confini. Tutto questo non sarebbe stato possibile senza di me. Il mio lavoro è stato epico, il mio sforzo improbo, il prezzo che ho dovuto pagare desolante. Ho perduto mio padre e mio zio, le due persone che mi formarono, per colpa di una lunghissima guerra alla quale io posi fine. Ho conosciuto l’orrore della guerra attraverso la mia stessa famiglia. Dopo di che, ho finito col contrastare proprio coloro che mi amavano, e a tutti loro ho recato danno. È questo, inevitabilmente, ciò che più mi ferisce.
È l’anno 201 a.C. Nel lungo ritorno a Roma, Scipione è acclamato in ogni porto per le sue vittorie contro Annibale. Ma dietro tanta adulazione, si celano i sospetti e il tradimento. Roma non sembra volergli tributare tutti gli onori che merita, e il Senato si trincera dietro una freddezza che sa di congiura.
In questo penultimo volume della saga di Scipione l’Africano, l’uomo che piegò Annibale e conquistò gli immensi territori africani, Santiago Posteguillo, come sempre, fa rivivere con straordinaria forza i giorni più epici della storia di Roma.
Publio Cornelio Scipione sa di essere arrivato alla fine. È il 190 a.C. La crisi siriaca è al suo culmine, e Roma, anche se sfinita da anni di guerra, ha deciso di fronteggiare il re di Siria, Antioco, costante minaccia ai confini orientali della Repubblica. Scipione è tra i legati inviati in Grecia a negoziare la pace, e anche se la missione è un successo, che porta a Roma di fatto l’incontrastato dominio del mar Egeo e ricchezze inestimabili, Publio Cornelio non viene salutato da Roma come crede di meritare. Lontano dall’essersi arricchito, è tuttavia accusato, insieme al fratello Lucio, di aver accettato doni e denaro da Antioco, per una negoziazione giudicata da Roma troppo mite. È così che Scipione l’Africano, l’uomo che aveva sottratto l’Africa ad Annibale, e che aveva fatto di Roma la sua ragione di vita, decide di ritirarsi a Liternum, in Campania, dove la morte lo coglierà nel 183 a.C.
Santiago Posteguillo racconta il maestoso ultimo atto della saga dedicata a uno degli uomini più grandi e forse meno capiti della storia di Roma, facendolo rivivere nei pensieri e nelle azioni, e negli ultimi momenti in cui, ritornando con la memoria alle gesta passate, Scipione si congeda dalla vita e dalla Storia compiendo un doloroso e commosso bilancio.