Recensione a cura di Raffaelina Di Palma
Una lettura, “L’Ingorda”, della quale si respira l’atmosfera bohémienne della Belle Epoque parigina.
Questo romanzo può sembrare una lettura veloce e leggera e in effetti lo è, ma poi nel prosiéguo si scopre che contiene un profondo dinamismo attraverso cui, Louise Weber, riesce a compiere il miracolo sull’unico terreno dove ha una piccola speranza di realizzare il suo sogno: quello del ballo.
Quando si parla di Belle Epoque è quasi scontato, impossibile non entrare in quell’atmosfera di mondanità, di charme, di sinuosa civetteria, si viene trasportati a Montmartre, il quartiere dell’arte per antonomasia, che fu un periodo di grande fermento culturale, artistico e tecnologico soprattutto a Parigi.
La Belle Epoque fu, però, soltanto un periodo di pace apparente che nascondeva questioni insolute pronte a riesplodere con violenza: c’erano, infatti, molte tensioni internazionali, dovute alla concezione imperialistica che le potenze europee avevano della politica estera. In questo contesto nacque e visse la prima infanzia Louise Joséphin Weber ( 1866-1929 ), nata a Clichy-la-Garenne, nel basso Reno, da Madelain Courtade, lavandaia e da Dagobert Weber, carpentiere.
Barbara Chiappa, ripercorrendo la vita di questa stella del palcoscenico, salita al vertice del Moulin de la Gallette prima e del Moulin Rouge poi, ci fa immergere nel pieno della Belle Epoque: in una Parigi che vive sentimenti contrastanti, in pieno sviluppo sociale che scopre il piacere di uscire dopo cena, chiacchierare nei caffè, ad assistere a spettacoli teatrali e lo fa anche attraverso la vitalità e le vicende della donna che ne fu il simbolo: Louise Weber.
Chiuse gli occhi, trattenne il fiato, gonfiò guance e stomaco e immaginò di costruirsi ancora una volta intorno a sé la sua grande bolla trasparente. “Sono magica,” pensò.
Per la piccola Louise, questo “espediente”, se così si può chiamare, diventa una sorta di rituale: quando deve superare quei momenti di immenso vuoto che ha dentro si chiude nella sua bolla trasparente.
Non è bella la piccola Louise. La vita non è stata generosa con lei.
Quel corpo goffo, acerbo, privo di finezza e di armonia, lontano dagli standard della leggerezza propria delle ballerine eppure, quel corpo, sprigiona un’impavida, affascinante fierezza: emerge con forza, con prepotenza e mentre cerca, con fatica, di conquistare quella femminilità che le dia una sorta di liberazione si guadagna la stima e l’ammirazione degli altri, ma niente riesce a riempire quel vuoto che ormai è diventato suo compagno di vita.
Diventò l’emblema di un’epoca non solo nella storia parigina. Debuttò bambina in una rappresentazione per l’infanzia, sostenuta dall’attrice Céleste Mogador e dal già celebre Victor Hugo, manifestando un innato talento per il ballo.
Quel vuoto lasciato dalla sua infanzia che si manifesta in lei in maniera prepotente per quell’amore che ha elemosinato e che non le è stato concesso, soprattutto dalla madre Madelaine la quale non si rassegna e non accetta il suo misero destino mentre scioglie con rabbia il sacco di biancheria da lavare per le ricche signore: quel rancore misto al fiele che le si rivolta dentro quando entra nelle loro belle case.
Con lo stesso rancore ha messo al mondo i suoi figli, Henry, Marie Anne e Louise: dei tre Louise, l’ultima, è la meno desiderata. Proprio lei per uno strano gioco del destino è la più bisognosa d’amore.
Neonata, le azzannava i capezzoli in cerca di cibo, poi, sazia, le si assopiva addosso, pelle a pelle, per ore. Gattonando, le cozzava contro il capo come un ariete pronto ad abbattere un portone e quando la raggiungeva le acchiappava le caviglie senza lasciarle più; Madelaine provava a scrollarla di dosso agitando la gamba indispettita, ma Louise rideva pensandolo un gioco. Poi la piccola aveva iniziato a camminare: barcollava sulle sue gambette grasse in cerca di un appoggio, c’erano sedie, tavoli, bordi di muro. Quasi mai la mano della mamma.
Sullo sfondo della vita di Louisa Weber, con contorni ben marcati, si profila una Parigi ricca di fascino che promette prosperità economica, tranquillità sociale, ricca di fermenti artistici: sono gli elementi chiave che caratterizzano la Belle Epoque. Un periodo che segna la rinascita un po’ in tutta l’Europa, che ebbe inizio con la Francia della terza Repubblica nel 1870 e terminò con lo scoppio della Prima guerra Mondiale.
Pittori squattrinati, bohémien per natura, girano per le strade di Parigi alla ricerca di modelle, spesso prostitute, fasciate in guaine di seta dalle increspature fosforescenti: la stessa Louise posa per Renoir, per Henry de Toulouse-Lautrec del quale fu lungamente amica, colui che la porta nel nuovo Moulin Rouge; il regno della bellezza e della seduzione. Le donne della Belle Epoque assumono le sembianze sinuose delle femme fatales; nasceva il desiderio e i primi aneliti di affrancamento dal maschio, spesso a metà tra il reale e l’agognato.
Quando rientrò nel camerino era ormai una donna. Aveva perso anche l’ultimo grammo di pudore della piccola Weber. Ora era la Goulue, l’ingorda, senza decenza. Si mise davanti allo specchio e vide che sul lato sinistro della fronte era spuntato un piccolo solco. Ci passò sopra un dito, poi una punta di cerone per cercare di coprirlo, ma chissà perché sembrava accentuarsi.
Louise Weber avvince il suo pubblico con le spumeggianti rouches bianche, attraversa quel mondo rutilante di luci e di lustrini nella ricerca eccessiva del piacere: sesso, cibo e non solo, gli ammiratori le danno il nomignolo <<la Goulue>>, l’ingorda; un aggettivo che si adatta al suo fisico prosperoso, con quel viso rotondo sfodera un sorriso burlone e benevolo dietro il quale nasconde le sofferenze che la vita non le ha risparmiato. Barbara Chiappa, l’autrice, sottolinea il profilo di una donna, amata da uomini e donne di ogni estrazione sociale, che ha un bisogno vitale del consenso degli altri per colmare quella fame d’amore che, come un fardello pesante, si trascina dall’infanzia.
In breve tempo la Goulue, da regina del Moulin Rouge e del can-can, è diventata un pasto “succulento” per Charles Zidler, il suo impresario, e per quelli, uomini e donne comprese, che se ne servono per “nutrirsene” e per privarla di ogni autonomia, ma senza mai soddisfare quella sua sete d’amore. In quella “bolla trasparente” c’è una sua strada interiore: è struggente.
L’atmosfera di questo libro coinvolge molto: si gusta il sapore dei cibi, si percepiscono gli odori dell’aria di quelle strade, dove i sentimenti transitano controcorrente, per dirci che nessuna epoca è perfetta e felice; si sente come propria la struggente nostalgia della protagonista per quella sua fame d’amore che ancora aspetta e spera di ricevere.
Trama
Louise è una bimba paffuta, goffa, ma con un gran talento nel ballare. A questo si aggrappa per cercare la sua strada, e magari un po’ di felicità. Scappa via sgambettando da una famiglia ignorata dall’amore, per avventarsi sugli scarti di una Parigi di fine secolo. L’arma è il suo corpo. In quel grande vuoto che sente dentro trova tutte le sue munizioni. Finirà i suoi giorni più in basso della buca da cui era partita. Ma prima avrà posato per Renoir, sarà stata la protetta di Toulouse Lautrec, avrà tenuto tutta Parigi inchiodata sotto la sua gonna, avrà inventato il can-can, avrà mangiato e ballato. Senza riempirsi mai. Romanzo ispirato alla vita di Louise Weber, “La Goulue”.