Recensione a cura di Maria Marques
Qual è il monumento archeologico più rappresentativo di Roma? Il Colosseo che, con la sua struttura ellittica e suoi archi, cattura l’attenzione degli innumerevoli turisti. Al suo interno, nell’arena, si svolsero molti combattimenti fra gladiatori, ma lo sapevate che “nell’Urbe costruire teatri stabili era vietato per legge fin dal 154 a.C., poiché si riteneva che gli spettacoli fossero nocivi per i valori che fondavano la società romana. Per avere il primo anfiteatro in muratura della città si dovette attendere fino al 29 d.C ”. E ancora, sapevate che gli edifici in cui si svolgevano gli spettacoli, ”erano chiamati spectacula, perché la parola anfiteatro ancora non esisteva. Fu l’architetto Vitruvio a coniare questo termine per definire una costruzione destinata a spettacoli con gli spettatori disposti tutto intorno”.
Raccontare il mondo dei gladiatori, significa immergersi in una realtà organizzata minuziosamente in tutti i suoi aspetti, anche quelli meno conosciuti, tanto che, a lettura terminata, si ribalta in parte l’idea che ci siamo fatti di questi uomini destinati alla morte per intrattenere il pubblico romano. Intendiamoci, l’intento dell’autore non è quello di ridimensionare che si trattasse di spettacoli cruenti, lo erano per certo, ma erano anche agoni sportivi con tanto di arbitri a vigilare il loro corretto svolgimento. Erano spettacoli che, passatemi alcuni termini, dovevano “divertire” gli spettatori e “danneggiare” il meno possibile “i beni” che ne erano gli attori principali.
In questo breve saggio i gladiatori sono analizzati sotto tutti gli aspetti, iniziando da chi fossero, a quali categorie sociali appartenessero gli uomini che entravano nell’arena, per passare a capire come il diritto romano si sia occupato di loro, come si svolgeva il loro addestramento per giungere infine a descrivere l’organizzazione dello spettacolo, dalla fase “pubblicitaria” sino alla sistemazione degli spettatori sugli spalti.
Per la maggior parte si trattava di schiavi, a questi seguivano i prigionieri di guerra e condannati dalla legge, ma non mancavano i liberi cittadini che sceglievano di arruolarsi liberamente.
Se, le prime due e la quarta categoria sono chiare, per la terza bisogna fare riferimento al diritto romano in particolare al giurista Ulpiano che distinse tra i condannati “ad gladium” e quelli al “ludum gladiatorum”. I primi, qualora fossero sopravvissuti agli incontri, sarebbero stati giustiziati comunque per decapitazione entro un anno, i secondi invece avrebbero potuto ottenere il congedo dopo tre anni e la libertà dopo cinque. Chi si arruolava volontariamente, pronunciando un giuramento, un “auctoramentum”, e perciò erano detti auctorati, subordinavano la propria persona al lanista, il padrone di una scuola gladiatoria, per mezzo di un accordo. In quest’accordo era ben specificato l’ingaggio, il periodo, il numero di esibizioni e la categoria entro cui sarebbero stati inseriti come combattenti. Un vero e proprio apprendistato, simile a quello applicato nell’esercito, avrebbe trasformato degli uomini in gladiatori e, se fossero sopravvissuti, sarebbero un giorno potuti diventare “doctores”: “I doctores erano ex-gladiatori che avevano ottenuto il rudis, la spada di legno simbolo del congedo dall’arena”.
Un saggio che si legge rapidamente, ricchissimo di curiosità, di riferimenti alle fonti epigrafiche, alla numismatica e alle ultime ricerche condotte da equipe di scienziati sui resti dei gladiatori, permette di avvicinarsi di più a quello che fosse il loro mondo. La storiografia moderna si è liberata delle visioni filtrate attraverso lenti deformanti, avvicinandosi alla gladiatura senza nessun preconcetto e scoprendo finalmente la realtà di questo mondo. Niccolò Arcangeli è riuscito a condensare nel suo saggio, cosa fosse l’arte gladiatoria, inserendola nel suo giusto contesto, senza mai scadere nel didascalico o nel noioso. Come indica il titolo, vi sono anche brevissimi paralleli con la società contemporanea che, mettono in luce, attraverso considerazioni, confronti, quanto quella romana fosse moderna e quanto di essa ancora oggi sopravviva dopo secoli. Lo stile adottato e la scelta di inserire le traduzioni di tutto quanto riportato in latino, fanno di questo saggio, una lettura adatta a tutti. Accompagnando iI lettore nella lettura di graffiti pompeiani, di pitture tombali, di steli epigrafiche attraverso cui ricavare ogni informazione possibile e inserendo anche il pubblico che assisteva ai giochi nelle arene, nel suo corretto contesto di rilevanza, si delinea uno saggio di agevole lettura. Atleti dunque, ma soprattutto, dietro ai soprannomi, uomini che sceglievano la strada della gladiatura, perché era l’unica loro permessa per uscire dall’emarginazione ma anche mariti, padri che riescono finalmente a narrare le loro esistenze e il loro mondo fatto di cameratismo, disciplina ed esercitazioni.
Trama
Quanto guadagnavano i gladiatori? È possibile fare un paragone con gli ingaggi di Cristiano Ronaldo e LeBron James? Come si svolgevano i combattimenti nell’arena?
Partendo dal mito ed analizzando fonti storiche e studi recenti, l’indagine tenta di dimostrare come un duello funerario sia diventato uno spettacolo di massa, dove il pubblico aveva il potere di vita e di morte sui protagonisti. Per la prima volta erano gli spettatori a “votare” e a decidere il finale. Insomma il primo esempio di Talent Show della Storia, uno spettacolo moderno e interattivo, in cui il popolo dell’Antica Roma si ritagliò il proprio spazio fino a sovvertire l’ordine prestabilito.
All’imperatore spettava il compito di ratificare quello che la folla chiedeva, con un gesto iconico che in seguito sarebbe stato reso immortale dal cinema: pollice in su o pollice in giù. Chissà se poi il gesto dell’imperatore era realmente quello che vediamo fare dai divi di Hollywood?