Recensione a cura di Raffaelina Di Palma
Quando mi è stato proposto di scrivere una recensione su una mummia il mio pensiero è andato immediatamente alle mummie egiziane: alle mummie di Christian Jacq, Wilbur Smith, Elizabeth Peters; mai avrei pensato si trattasse di un uomo, mummificato a 47 anni, il 10 marzo del 1836 a Livorno.
La “macchina umana” non ha una durata illimitata. A volte ha una durata che rientra nei limiti prescritti “dall’Autore” del creato: l’Onnipotente per chi ha fede, mentre per altri sono cause naturali. A volte sono eventi che si verificano troppo presto e allora l’uomo si mette “in moto” andando alla ricerca di una sorta di irreprimibile desiderio di immortalità.
La tecnica dell’imbalsamazione ha origini antiche e interculturali che variano da zona a zona e alle quali si attribuisce al procedimento di imbalsamazione, un valore religioso.
È noto che la civiltà egizia fu tra le prime a sviluppare le tecniche di imbalsamazione con notevoli risultati. Gli egizi ritenevano che la conservazione della salma potesse consentire allo spirito del defunto di riappropriarsene in tempi successivi.
Mentre fissavo il volto di quella mummia, pensavo che in quel corpo secco e ossuto, adesso arricciato come un macabro pupazzo di cartapesta, un tempo c’era stata vita, un cuore che batteva sangue che scorreva, organi vitali in funzione. Chissà quali ragionamenti, quali dubbi e quali sensazioni doveva aver provato quell’uomo quando era ancora in vita. Chissà quanto amore e quanto dolore doveva aver vissuto.
Si sa molto poco dell’uomo Gaetano Arrighi. Forse era un prigioniero politico? Di lui si sa che non aveva commesso reati gravi, quali stupri, violenze o altro altrimenti sarebbe stato qualificato come galeotto, finendo poi al supplizio e infine nel vicino cimitero dei senza Dio. Per saperne di più ci vorrebbero mesi, forse anni, di ricerche all’archivio di Stato, di quest’uomo che sta scontando le proprie colpe da 162 anni, dimenticato per tutto questo tempo in un sotterraneo.
Siamo nel 1836, il corpo di Gaetano Arrighi, morto di pleurite (?) viene mummificato. Fino all’avvento delle tecniche tranchiniane che rivoluzionarono il mondo scientifico, si continuava a ricorrere all’originaria tecnica egiziana.
Ma c’erano già stati esperimenti condotti dall’anatomista olandese, Frederik Ruysch, (1638-1731) nell’introduzione di liquidi conservativi nel sistema venoso dei cadaveri.
Nell’argomento centrale di questo saggio si parla di questi primi esperimenti: con Gaetano Arrighi si sperimentò proprio la possibilità di conservare i corpi nella loro integrità, organi compresi, allo scopo di usarli per la didattica. Le ricerche di Giuseppe Tranchina, quindi, diedero una grande svolta alla sperimentazione e permisero di affrontare e vincere definitivamente l’imbalsamazione per eviscerazione.
In alcuni trattati sono emerse notizie che anche Leonardo abbia fatto qualche importante esperimento.
All’epoca Livorno stava attraversando un momento storico particolarmente difficile. I francesi avevano lasciato da poco l’Italia, trafugando le opere d’arte più importanti : malgrado ciò, con l’arrivo dei Lorena, Livorno, si apprestava a vivere un nuovo Rinascimento.
Chi era Gaetano, un uomo politico? Un carbonaro? O soltanto un povero diavolo che si arrabattava per sbarcare il lunario? Secondogenito di sette figli, tre dei quali morirono subito dopo la nascita o nei primi mesi di vita: la percentuale della mortalità infantile era molto alta, soprattutto nelle fasce più povere della popolazione. Anche per gli adulti le aspettative di vita non erano migliori. Il colera, il vaiolo, la malaria: queste epidemie che falcidiavano le popolazioni si ripetevano periodicamente e se non riuscivano le epidemie ci pensava l’estrema povertà dei ceti più umili.
Anche nel civilissimo Granducato degli Asburgo Lorena la situazione non era diversa e fu questo il contesto nel quale ebbe inizio la vita di Gaetano Arrighi. La sua vicenda si divide tra giallo e curiosità scientifica. Non è ancora chiaro il motivo per cui fu mummificato. La sua famiglia non reclamò il corpo? Oppure, forse, acconsentì per cederlo alla scienza? O ancora, la condizione di un condannato a scontare una pena, per l’ufficio competente, il suo corpo diventava una sorta di proprietà su cui arrogava il diritto per la sperimentazione scientifica.
Ma ogni essere umano è stato importante per qualcuno, anche solo per un momento: siamo tutti irrilevanti e siamo tutti fondamentali. Mosso da questa consapevolezza e spinto dalla passione profonda che nutro per il passato come entità viva che alimenta il presente, mi appresto a raccontarvi la storia che si cela dietro la mummia di Livorno e a liberarla per sempre dalle inesattezze che l’hanno avvolta nel corso degli anni!
Bello questo passaggio sul quale l’autore del saggio, Daniele Monnanni, riflette e rileva che, dietro la mummia, c’è un uomo.
Non aveva ancora 13 anni quando, Gaetano Arrighi, entrò per la prima volta in un carcere: questa prima esperienza segnò il confine che separò il fanciullo dall’uomo. E’ accertato che la sua non fu una famiglia modello, all’epoca, la povertà imperava e queste condizioni di vita si davano per scontate.
Ciò che attirava la mia attenzione era soprattutto lo sguardo sofferente, disilluso; lo sguardo di chi è stato tradito e ha perso fiducia nel mondo. Chi era quell’uomo? Che cosa gli avevano fatto?
Anche solo dalla foto il suo sguardo ti attraversa come una freccia, ti colpisce al cuore ed è, più che uno sguardo sofferente, attonito, che ti trafigge: pieno di dubbi e di domande che sollecitano risposte; risposte che nemmeno la Storia ha saputo dargli.
Un saggio che, comunque, ha un doppio scopo: da una parte è una ricostruzione storica della società dell’epoca e di ciò che la mummia simboleggia; elencando i dettagli di un procedimento di imbalsamazione, quello tranchiniano, rivoluzionario per i tempi; dall’altra valorizza la persona di Gaetano Arrighi, confinato ingiustamente in quel sotterraneo alla mercé dei tarli e della polvere.
Uno sguardo il suo, alla fine, quasi rassegnato: da quel suo piedistallo possiamo sentire il brusio del suo tempo, della sua infanzia, della sua adolescenza, quando si aggirava per la campagna fiorentina affamato e sbandato, costretto fin da piccolo a vivere di espedienti, rasentando continuamente il tenue filo dell’illegalità. Analizzando la storia di Gaetano ho ripercorso la storia di quell’epoca che, forse, fu conseguenza del suo travagliato percorso di vita, ho percepito la sua sofferenza. Con quello sguardo silenzioso, pare voglia chiedere scusa: lui a noi…
Trama
La mummia di Livorno è uno straordinario esempio di conservazione di un corpo tramite il metodo tranchiniano, tecnica di imbalsamazione ideata dal Dott. Giuseppe Tranchina agli inizi dell’Ottocento. A quel tempo non era raro che il corpo di persone indigenti, non rivendicato da nessuno dopo la morte, venisse utilizzato per la sperimentazione scientifica. Questa fu la sorte che toccò a Gaetano Arrighi, un uomo qualunque, la cui mummia fu tenuta fino a pochi anni fa in una stanza nei sotterranei dell’ospedale di Livorno. Ma perché fermarsi alla superficie e all’analisi di ciò che quel corpo incartapecorito rappresenta? Perché non indagare la storia di Gaetano, ridandogli un volto e una dignità, ricostruendo il suo vissuto? Un saggio, dunque, che oltre a fornire uno spaccato della società del tempo, segue una duplice modalità di ricostruzione storica di ciò che la mummia di Livorno rappresenta : da un lato riportando tutti i dettagli di un metodo di imbalsamazione rivoluzionario per quell’epoca, quello tranchiniano: dall’altro ridando valore alla persona di Gaetano Arrighi, togliendola da quell’angolo buio e polveroso in cui il suo corpo ha dimorato per troppo tempo.