«Lo farò bene». Rispose così Vittoria alla chiamata, inaspettata, a governare sul Regno Unito. Lei che non aveva ricevuto una educazione a regnare perché non aveva molte speranze di salire al trono, essendo quinta in ordine di successione. Eppure, una volta presa la corona, la tenne per ben 63 anni, sovrana di un Pese che, sotto di lei, divenne la prima potenza mondiale.
Orfana di padre (il duca di Kent morì prima che la figlia compisse otto mesi), sembrava destinata a essere poco più di un giocattolo nelle mani di sua madre, Vittoria di Sassonia-Coburgo-Saalfeld, e del suo presunto amante, sir John Conroy, e solo quando divenne erede al trono le vennero insegnati in fretta e furia l’inglese e il francese, mentre fino ad allora parlava solo il tedesco.
Il suo vero nome era Alexandrina Victoria, Drina per i familiari. Ma lei odiava il nome Alessandrina e uno dei primi atti da regina fu quello di omettere per sempre quel nome. E da allora sarà per tutti solo Regina Vittoria.
Nel 1836 conobbe e si innamorò di suo cugino, Alberto di Sassonia Coburgo Gotha, e lo chiese in sposo. Ebbene sì, non molti lo sanno, ma la richiesta ufficiale di matrimonio dovette partire da lei, lei era di rango superiore a quello dello sposo e spettava a lei avanzare la richiesta di matrimonio. Nozze che furono celebrate nel febbraio del 1840.
La loro fu una delle delle storie d’amore più appassionanti dell’aristocrazia di ogni epoca, l’emblema e la rappresentazione della teoria dell’armonia degli opposti: lei drammatica, lui poetico; autoritaria lei, ossessivo e puritano lui.
E non fu certo tutto rose e fiori: litigavano spesso e furiosamente, al punto che la regina arrivava anche al punto di scagliare addosso al marito quanto aveva a portata di mano. Mentre il consorte si ritirava nelle sue stanze, per poi presentare alla moglie una lista dettagliata di rimproveri.
Eppure, insieme diedero vita a un modello di vita familiare esemplare per il popolo.
Il suo regno, tuttavia, è stato per buona parte sancito dal lutto, quello stretto in cui si chiuse alla morte precoce del suo sposo avvenuta nel 1861, e che la rese in parte simile a Giovanna “la Pazza”: si chiuse nei ricordi, fece realizzare una scultura del “piccolo orecchio” di Alberto per poterlo continuare ad accarezzare, e per decenni, tutte le sere, il valletto doveva comunque preparare nella stanza del marito gli indumenti per la notte e ogni mattina si doveva continuare a portare acqua calda e vestiti puliti nella camera del defunto. Un’abitudine inutile che si ripeté fino alla morte della Regina.
E fu questo suo modo di vivere il lutto che la rese forse invisa all’opinione pubblica britannica: trascurava le funzioni cerimoniali per dedicarsi eccessivamente al lavoro politico, creando e agevolando un clima di simpatie repubblicane.
Durante tutto il periodo della vedovanza, dovette fare i conti con il figlio, suo erede, Alberto Edoardo, che lei affettuosamente chiamava Bertie. La sovrana gli rimproverava le amanti, la vita oziosa e frivola, la sua “incapacità” a tenere, in futuro, le redini del regno. E per questo lo tenne sempre in disparte dai ranghi e dai ruoli del potere. Ironia della sorte, Alberto Edoardo, sarebbe stato un sovrano molto brillante.
È stata non solo la sovrana del Paese più avanzato del pianeta, ma anche colei il cui impero si estendeva su un quarto della Terra intera. Dal centro di Londra, la città all’epoca più prospera del mondo, poteva far arrivare la sua influenza fino agli angoli più remoti della terra.
Il suo impero non aveva eguali in termini di civiltà e progresso che fosse nel campo delle scienze (Charles Darwin), della letteratura (Charles Dickens) o delle esplorazioni (Stanley e Livingstone). Modello di monarchia costituzionale – tuttora vigente – in politica eccelse tra figure politiche di grande spicco come i primi ministri Disraeli e Gladstone.
Nemici intimi tra loro, entrambi ebbero una profonda relazione con la regina, anche se fu Disraeli a guadagnarsi il favore di Vittoria, mentre il rapporto con Gladstone si attestò su temperature polari. Primo, ma anche unico, governante ebreo del Regno Unito, Disraeli fu una colonna portante del regno di Vittoria. Fu Disraeli, astuto e perspicace, a lusingare di più la sovrana con un “dono” graditissimo: il titolo, nel 1876, di imperatrice delle Indie. Cosa che portò Vittoria, già amante di tutto ciò che era legato al subcontinente indiano – dalla cucina al servizio domestico –, a studiare con estremo entusiasmo le lingue hindi e urdu.
Ma lo splendore del suo impero non finiva lì, Vittoria fu prima in parecchie cose.
Prima regina a risiedere a Buckingham Palace, anche se trascorreva lunghi periodi a Balmoral in Scozia, a Windsor e a Osborne House sull’Isola di Wight.
Prima sovrana (e donna) a sposarsi totalmente in bianco (cosa di cui abbiamo parlato durante il nostro mese storico dedicato al matrimonio), colore che fino ad allora era, per le regine, il colore del lutto.
Prima a sovvertire questa abitudine e a indossare il nero come colore del lutto.
Tra le prime donne a sperimentare l’anestesia con l’etere: nel 1853, per il parto del figlio Leopoldo, si fece anestetizzare, scandalizzando il clero per il sovvertimento del biblico “partorirai con dolore”.
Eppure, tutta questa modernità in realtà era solo apparente: l’età vittoriana fu un’epoca di società pudica, rigida e moralista. Osteggiò apertamente le suffragette e la loro battaglia per il diritto al voto delle donne.
Solo quando la sua vita si avviò verso il tramonto, il suo carattere si ammorbidì, divenendo più mite e pacifico, mostrando a tutti quella serenità maestosità che le erano naturali.
Morì nel 1901 lasciando il passo allo splendore dell’età di Edoardo, prima della Grande guerra che avrebbe insanguinato l’Europa.
Una delle curiosità più strane furono le sue ultime volontà per il suo funerale e la lista di oggetti che voleva con sè nella bara. Un elenco di ben 12 pagine che non doveva essere mostrato ai suoi familiari.
Carbone sul fondo della bara, per evitare odori e perdite dovute alla putrefazione; sopra a questo doveva essere posto un mantello di Alberto, ricamato dalla figlia Alice, (forse la più amata dei suoi 9 figli, ma anche la prima a morire dopo aver dato alla luce Alexandra, futura zarina di Russia) e su questo doveva essere adagiato il suo corpo vestito completamente di bianco, con il suo velo da sposa e fra le mani un bouquet di erica, (tipica pianta scozzese). Tutto doveva essere coperto di fiori, a celare questi suoi vezzi agli occhi di tutti, familiari compresi.
Volle che le fossero messi molti gioielli, tutti con grande valore sentimentale, ma i più importanti erano all’anulare sinistro, la vera nuziale del matrimonio con Alberto, e a quello destro, dove volle la vera nuziale della madre del suo servitore John Brown, che lui stesso le aveva donato. E di Brown volle con sè anche una foto, una ciocca di capelli e alcune delle lettere che si erano scambiati, e che sembra fossero molto intime. Figura controversa questa di John Brown, al quale era legata da un rapporto molto profondo, molto più che un amico, un consigliere. Se si sia trattato di vero amore o meno, non è dato saperlo, ma è certo che Edoardo VII (Bertie) fece distruggere tutti i ricordi che aveva conservato sua madre e spostare tutte le statue di Brown, erette da Vittoria, in posti meno visibili e di prestigio.
Non volle esposizione pubblica, e la sua camera ardente a Windsor fu aperta solo ai parenti.
Fu sepolta nel mausoleo di Frogmore, dove già riposava Alberto.
Se volete approfondire l’epoca vittoriana, navigando nel blog troverete diversi articoli dedicati a questo argomento (vi lasciamo un link di esempio, ma se cercate con la lente, ne troverete diversi)
Se invece volete leggere di più su di lei, allora eccovi una carrellata di libri, tra saggi e romanzi, su questa grande sovrana.
È l’alba di un mattino nel giugno del 1837, e nella periferia di Londra una ragazza di diciotto anni, ancora in pantofole, viene incoronata regina d’Inghilterra. Si apre così il regno di Vittoria che, da giovane principessa accolta con affetto dal popolo e dal Parlamento, era destinata a diventare l’icona della tradizione inglese per eccellenza, simbolo di determinazione e continuità in un’epoca di grandi progressi. Sono gli anni della rivoluzione industriale e dei fermenti sociali, ma anche della decadenza di un’aristocrazia affetta da numerose contraddizioni, figlie di un severo moralismo. Jacques Chastenet, storico e giornalista, ci porta nel secolo in cui l’Inghilterra cambia volto, dai primi anni da regina di Vittoria, tra l’infatuazione per Lord Melbourne e il matrimonio con Alberto di Sassonia, fino all’incredibile successo dell’esposizione industriale del 1851, nello splendore del Palazzo di Cristallo a Hyde Park. È il secolo che vede la Gran Bretagna raggiungere il massimo della sua ricchezza e potenza, fino alla fine di un’epoca di transizione ancora inquieta e all’inizio di una nuova Inghilterra sicura del suo passato.
Londra, 1870. La capitale inglese ribolle di scontento e sedizione. Sono passati trentatré anni da quando Victoria è salita al trono, nel tripudio popolare, il 20 giugno 1837: una diciottenne non bella, così piccola e rotondetta, gli occhi blu un po’ sporgenti, ma vivace, intelligente e con modi accattivanti. E soprattutto, un temperamento volitivo. Le doti che, insieme al sostegno dell’adorato marito Albert, ne hanno fatto a lungo una sovrana ammirata. Chi la riconoscerebbe oggi nella tozza dama infagottata negli abiti neri del lutto, che dalla morte di Albert vive ritirata sull’isola di Wight o in Scozia, e si rifiuta ostinatamente di mostrarsi al suo popolo e di presenziare alle cerimonie nella capitale? Così, mentre il figlio ed erede Bertie consuma le notti al tavolo del baccarat o nel letto della demi-mondaine di turno, il prestigio della Corona affonda e il trono vacilla sotto i colpi dei repubblicani. Sarà questo l’epilogo di un regno iniziato magnificamente? In un romanzo di grande respiro, dove trovano spazio scandali e passioni erotiche, i fasti delle dimore nobiliari londinesi e le sanguinose lotte dei comunardi parigini, le trame di Corte e gli intrighi dei politici – Melbourne, Gladstone, Disraeli – che hanno fatto la storia britannica, Antonio Caprarica compone attorno al complesso personaggio di Victoria l’affresco di un’epoca. Con l’aiuto di un’ambientazione accuratissima e di una scrittura brillante, mette in scena l’eccitazione di serate scintillanti e banchetti sontuosi, le ricchezze dissipate dai cortigiani e la miseria abietta degli slum e, sopra tutto ciò, la determinazione di una donna capace di risollevarsi a ogni caduta, di sfidare pregiudizi e critiche, di fare del proprio Paese una potenza coloniale, e di conquistare infine la corona di imperatrice.
Vittoria ha solo diciott’anni quando, nel 1837, la morte dello zio Guglielmo IV la innalza al trono d’Inghilterra. Esce da un’adolescenza malinconica, e nei suoi primi giorni da regina viene guardata a vista dalla madre e dall’onnipresente e ambizioso Sir Lord Conroy, che esercita una grossa influenza sugli affari di stato e si sente minacciato dal carattere indipendente della giovane sovrana. Sebbene il potere la seduca fin da subito, le prime mosse dell’inesperta Vittoria sono però piuttosto avventate, soprattutto quando solleva pesanti sospetti contro l’inseparabile dama di compagnia di sua madre, accusata di intrattenere una relazione con l’odioso Conroy. Questo e altri passi falsi gettano una luce sinistra sulla regina, che non piace né al parlamento né ai sudditi. Gli scandali si succedono, insieme agli intrighi della corte per ostacolare la sua ascesa. Inoltre, agli stentati inizi sembra che stia per aggiungersi un matrimonio di pura convenienza dinastica. E invece… Le nozze con il cugino Albert si riveleranno il felice punto di svolta della vicenda pubblica e sentimentale di Vittoria d’Inghilterra, destinata, grazie alla non comune abilità politica e all’intrepida personalità, a segnare l’Ottocento britannico e a diventare una delle più grandi figure femminili della storia.
Il regno di Vittoria coincise con il massimo splendore dell’Impero Britannico, gli anni della Rivoluzione Industriale e della Grande Esposizione. Un’epoca attraversata da profondi cambiamenti, ma al tempo stesso segnata dal ritorno di una morale rigida, di cui la famiglia reale inglese era l’esempio e l’emblema. In questo libro Lytton Strachey ricostruisce la vita della sovrana, dagli entusiasmi e turbamenti dell’adolescenza, alle tenerezze della vita coniugale, al dolore sordo della vedovanza. Senza sentimentalismi, ma con occhio benevolo, l’autore descrive con garbata ironia le virtù e debolezze di una donna. Intorno alla regina ruotano i protagonisti della politica della nazione: l’amato principe Alberto, William Gladstone, Benjamin Disraeli, Henry John Palmerstone e John Russell. Scritto nel 1921, La regina Vittoria ha segnato una svolta nel genere biografico ed è valso a Strachey il premio letterario James Tait Black Memorial.