Recensione a cura di Laura Pitzalis
Chi ha letto i libri, “La macchina anatomica” e “Cuore di ragno”, sa che Lucio Sandon ha un’“impronta” caratteristica e personalissima che ritroviamo, naturalmente, anche nel suo ultimo libro pubblicato da Bertoni Editore, “Il teorema della spada”.
In tutti i libri abbiamo, infatti, una parte con ambientazione temporale antecedente la nascita di Cristo, che a prima vista, sembra essere un racconto a se stante ma che andando avanti con la lettura scopriamo avere un nesso importante.
Ne “Il teorema della spada”, Lucio Sandon ci porta nel III secolo e ci fa conoscere Annibale Barca uno dei più grandi generali e strateghi della storia. Tutti conoscono le eccezionali imprese militari che ha compiuto contro Roma negli ultimi decenni del III secolo a.C., imprese che hanno creato intorno alla sua figura una vera e propria leggenda. Aveva un grande coraggio tanto che osò portare in Italia il suo esercito, con un certo numero d’elefanti, attraverso le Alpi. Marciava contro Roma per proteggere Cartagine dal suo espansionismo non con l’obiettivo di distruggerla ma d’indebolirla. E ci riuscì facendole conoscere uno dei momenti più tragici della sua storia, la sconfitta a Canne nonostante la sua netta superiorità numerica. Per Annibale fu una vittoria straordinaria, vero capolavoro di genio militare: adottò una strategia formidabile, la manovra a tenaglia, riuscendo a sconfiggere 86.000 Romani.
… Mi era stato riferito che tra i legionari romani circolavano diverse leggende sull’invincibilità di Annibale Barca, senza parlare di tutte le paure che il sottoscritto rappresentava. Per il loro popolo ero l’orco, il demone venuto di là dal mare, e spuntato come un lupo famelico dalle montagne.
Questa volta però per me era finita, pensai. Non avevo scampo: i nemici erano troppi. Quello sarebbe stato l’ultimo giorno, non solo per me, ma anche per i miei fedeli soldati.
Tutto questo Sandon, lo racconta nella prima parte del romanzo, anzi lo fa raccontare da Annibale perché sceglie come stile narrativo “l’Io narrante”. In effetti, sono due i personaggi che narrano, Annibale e Amilcare suo figlio, che si alternano nei capitoli. Una scelta che trovo geniale perché viviamo le scene da due punti di vista diversi, quello preoccupato e tenebroso del padre e quello più ingenuo e solare del figlio.
… Allora, quello che io non capisco proprio, è perché ora mio padre vuole mettersi in mezzo a questo impiccio di andare a fare la guerra a quegli accidenti dei Romani, con il rischio di venire sconfitto e crocefisso?
Io credo che mio padre sia un po’ matto.
Però gli voglio bene lo stesso.
L’Annibale di Lucio Sandon non è l’insensibile e spietato stratega tramandatoci dalla Storia, è un padre che vuole salvare il figlio ed è per questo che decide di marciare contro Roma.
Dopo diverse vittorie, viene sconfitto ma, si chiede Sandon, solo dalla sua sfortuna o, forse, dalla vendetta di Tanit divinità a lui avversa?
Altra “impronta” caratteristica dell’autore è il nome del protagonista, lo stesso in tutti i romanzi, Angelo Aquilani, così come il nome della sua compagna, Marianna.
Si potrebbe pensare a una serie letteraria, ma non è così poiché nella serie letteraria il/i protagonista/i hanno sempre la stessa ambientazione temporale, nei romanzi di Sandon questa cambia, come cambiano le caratteristiche fisiche, la situazione sociale, il vissuto, il linguaggio e la psicologia del protagonista. Persone diverse quindi che tuttavia hanno qualcosa in comune, (e questo è un’altra caratteristica): un tesoro antico, un monile, un’arma e la “cattivissima” Tanit, per i cartaginesi la “dea della luna”. Poiché la luna è mutevole nelle sue fasi, le vengono attribuite denominazioni antitetiche quali dea dell’amore e della morte, creatrice e distruttrice. Nei romanzi di Sandon rappresenta il male assoluto, la “cattiva” per eccellenza.
Angelo Aquilani, un ispettore di polizia penitenziaria nel carcere di Poggioreale a Napoli, è il protagonista di una delle due storie che formano la seconda parte del romanzo ambientato ai giorni nostri. Nell’altra storia siamo in piena guerra afgana, nell’ospedale da campo italiano, a Mofleh, dove presta la sua opera come pediatra Paolo Aquilani, il figlio di Angelo, e dove vengono portati Hanibal e i suoi fratellini dissotterrati dalle macerie della loro casa distrutta dai “missili intelligenti”.
Quando venne dissepolto dalle macerie della sua casa distrutta, insieme ai suoi fratellini, Hanibal era ancora svenuto e coperto di polvere e sangue. I soccorritori al momento pensarono che fosse morto anche lui come la maggior parte dei suoi parenti, ma poi si accorsero che il piccolo petto si sollevava impercettibilmente e cercarono di ripulirgli la bocca e le narici dalla polvere, così da farlo respirare meglio, lui però non riprese mai conoscenza durante tutto il tragitto e fino al ricovero in ospedale.
E sono proprio queste, le pagine dei capitoli nominati “Guerra umanitaria”, che ti fanno emozionare di più ma anche riflettere sulle atrocità della guerra e su come l’ignoranza e la povertà possa essere terreno fertile per chi dall’alto la pianifica.
L’inclusione, anche in questo romanzo, di personaggi che appartengono al mondo animale è un’altra “firma” di Lucio Sandon. Sono tre: un mastino da guerra che si chiama Uruk, che troviamo a fianco sia di Annibale che di Angelo; l’asinello Dumbo, un dolcissimo colosso con un paio di orecchie che “avrebbero fatto invidia all’elefantino disneyano”; Zeina e Abdel due piccoli tranquilli somarelli dal muso bianco destinati a trasportare l’inconsapevole Hanibal a immolarsi come kamikaze, per far saltare in aria la base degli italiani in Afghanistan.
Hanibal capì immediatamente quello che avrebbe dovuto fare: non doveva fare altro che guidare gli asinelli verso le tende dei diavoli stranieri, dei medici italiani, e quando fosse arrivato in mezzo a loro, premere il pulsante di quella piccola scatola nera.
In quel modo avrebbe potuto riabbracciare tutti i membri della sua famiglia e vivere felice.
Per sempre.
Ne “Il teorema della spada” abbiamo, quindi, diverse storie dove Sandon riesce a legare armoniosamente Storia e fantasia, azione e riflessione, atrocità e leggerezza con uno stile narrativo avvincente e scorrevole che riesce a coinvolgerci e a incuriosirci. Una scrittura bella, chiara, ricca di sfumature, dai dialoghi sagaci e ironici che alleggeriscono la tensione senza mai svalutarla. Un giallo dove l’intrigo è accompagnato da intonazioni magiche, alchemiche tra dei e leggende, dicerie e verità. Il tutto raccontato con una sintesi straordinaria senza inutili e tediose pagine di parole inutili.
Ho parlato di “giallo” … in effetti, non saprei inquadrare questo romanzo in un genere letterario preciso, perché è thriller, è romanzo storico, è fantasy, è avventura e azione …
Sandon ha saputo combinare sapientemente tutti questi generi creando una storia che non lascia indifferenti con personaggi schietti, ben costruiti e solidi: tanti personaggi, diverse ambientazioni e numerose situazioni adrenaliniche con un finale che fa intuire un sequel.
Notevole le descrizioni dei luoghi e i paesaggi che spaziano dall’ assolata campagna di Canne all’affascinante verde natura molisana con i suoi paesaggi incontaminati e indomabili.
Le sorgenti sgorgano dalle radici della montagna in una vallata irta di macigni, dirupata, selvaggia, e coperta da una spessa coltre di cerri, di querce, e profumata dalle ginestre. Le polle d’acqua scaturiscono disposte a ferro di cavallo e spezzano il bosco che le nasconde. I loro rivoli cristallini appena nati si riuniscono, formando il fiume cui antiche popolazioni diedero il nome di Vultur, il grifone, perché la sua corrente, così come il volo del rapace, volteggia rapida e tortuosa …
Quindi, se amate la Storia ed enigmi che si nascondono tra le increspature del tempo; se amate i finali incredibili; se amate immergervi nelle avventure e in atmosfere oniriche; se amate lo stile ironico, questo romanzo non vi deluderà.
Trama
Cosa possono avere in comune un maldestro ispettore di polizia penitenziaria, un bambino afghano, un clan camorristico e una dolce signora di campagna, con il leggendario condottiero Annibale Barca? Cos’è quell’oscuro monile che semina una scia di morte? Dalle verdi foreste del Molise e dalle pianure di Canne della Battaglia passando per il carcere di Poggioreale e tra le misteriose colline che sovrastano Cagliari, un crudele richiamo conduce fino al tesoro dei cartaginesi. Un thriller senza respiro, un eroe suo malgrado, due storie d’amore unite da venti secoli.
Un romanzo entusiasmante!