Recensione a cura di Roberto Orsi
“Cos’è il male per voi? Come nasce nelle nostre vite? Quando germoglia come pianta dannata? Nasce esso nei primi anni della nostra vita? O sono le esperienze successive a farne sviluppare il seme?”
Cos’è il male? Che estensione può raggiungere? E a quale scopo? Spesso ci si trova di fronte a queste domande quando si leggono gialli, storici o contemporanei che siano. C’è sempre il cattivo di turno, il pazzo, il fuori di testa che non ha senso della misura, esce dagli schemi della società. Si erge a vendicatore oscuro, per ristabilire l’ordine nel mondo, almeno quel mondo che lui vede e considera giusto.
La domanda che si pone l’autrice a un certo punto del romanzo, tramite il pensiero di uno dei protagonisti, coglie il punto nevralgico su cui l’uomo si interroga da sempre: il Male è insito dalla nascita o si sviluppa attraverso le esperienze di vita? Ci sono persone di per sé predisposte al male, caratteristiche che accomunano i serial killer come evidenziano gli studi di Cesare Lombroso?
Una certa soluzione viene data al termine di questo romanzo, almeno per quanto riguarda il colpevole di questo caso. Una definizione che lascio al lettore il piacere di scoprire, ovviamente. Ma riavvolgiamo il nastro e partiamo dal principio…
“Maurizio di Belmonte aveva una sola certezza a questo mondo: che l’uomo era un essere cattivo, che aveva sempre voglia di far scontare agli altri la propria cattiveria. In questa città specialmente, nella sua città, non c’era spazio per la misericordia di cui parlavano i preti nei sermoni.”
Palermo, 1783. Maurizio di Belmonte, nobile in esilio all’estero da qualche anno, viene richiamato dal Vicerè Domenico Caracciolo per indagare su un caso spinoso che sta angustiando la città. Giovani ragazze vengono ritrovate senza vita con evidenti segni di tortura. Sevizie che ricordano da vicino quelle perpetrate dalla Santa Inquisizione nel corso dei secoli ai sospettati di eresia. Eppure, il tribunale inquisitorio, che aveva sede in Palazzo Steri, è stato smantellato l’anno precedente da Re Ferdinando I di Borbone su suggerimento dello stesso Caracciolo. Chi sta cercando di emularne le torture?
La situazione politica in essere vede il Re delle Due Sicilie, nella città di Napoli, e il viceré a Palermo, che vengono ricordati come due sovrani illuminati, spinti da idee rivoluzionarie volte a sradicare un’impostazione filo nobiliare, con l’intenzione di limitarne, se non addirittura eliminarne, determinati privilegi. La chiusura della Santa Inquisizione con il relativo penitenziario di Palazzo Steri fu una delle iniziative che diedero un forte segnale di rottura con il passato.
Clero e nobiltà della prima ora non vedono di buon occhio il nuovo corso voluto dal governante. Lo scandalo delle giovani ragazze uccise, pur se di bassa estrazione sociale, è un dardo infuocato pronto per essere scagliato contro la reputazione del viceré e del suo governo.
“Bambine morte. Torturate e forse scannate, come si fa con i vitelli. Un’indagine fin troppo maligna per i suoi gusti. Ma si confortò pensando che le indagini erano sempre maligne.”
L’indagine rimesta nelle acque torbide della perversione. Le torture inflitte alle giovani donne sono di grande impatto, scene crude che restituiscono la misura della crudeltà. Maurizio di Belmonte ritrova al suo fianco un aiuto inaspettato: Sofia Schulz, la “pittora dei morti” chiamata in causa per eseguire il ritratto della terza giovane vittima che risulta ancora senza identità. Nessuno ne ha rivendicato la sparizione e uno dei metodi per poterla riconoscere è quella di affidare un ritratto allo strillone di quartiere sperando che qualcuno la possa riconoscere.
La partecipazione alle indagini da parte di Sofia, donna dall’intelligenza sopraffina e una bellezza straordinaria, ben presto diventa più di una semplice assistenza artistica. Belmonte, l’uomo del Vicerè, si trova faccia a faccia con la violenza, quella fisica e mentale.
La ricerca del colpevole lo porta nei quartieri più malfamati di una Palermo che rappresenta il suo passato, i suoi ricordi e il suo tormento. Un passato di disonore e vergogna ammanta la sua famiglia: il padre, oggi in pessime condizioni di salute, fu coinvolto in un processo che lo ricoprì di infamia. Da quel momento Maurizio, costretto a vivere all’estero, dovette ritrovare la propria dignità, riabilitare il nome della propria famiglia e l’offerta di diventare un uomo di Domenico Caracciolo può aiutarlo nell’intento.
Affiancato dal gendarme Pazienza, Maurizio di Belmonte non può tralasciare alcun dettaglio e presta attenzione a tutti coloro che in un modo o nell’altro risultano coinvolti nella vicenda: dai giovani delinquenti di strada che spesso sanno più delle stesse autorità, ai gestori dei lupanari che raccolgono le confidenze dei loro clienti tra un boccale di birra e l’altro; dall’omertà della badessa di un convento di clausura ai tentativi di screditamento nei suoi confronti portati avanti dal Capitano di Giustizia, geloso dell’incarico investigativo che gli è stato sottratto.
“Davanti a quella ragazza martoriata, il giovane barone pensò una sola cosa. Dio non esiste, questo è certo, altrimenti non potrebbe permettere certe nefandezze”.
In un mondo di fede e superstizione che spesso si intersecano e si inquinano l’un l’altra, dove le credenze popolari attecchiscono più della ragione, la Palermo del XVIII secolo rivive in queste pagine attraverso un’ambientazione accurata, impreziosita dall’utilizzo di termini desueti legati a quel mondo che sta transitando verso la modernità.
Una narrazione lineare, fluida e scorrevole, intervallata da abili flash-back che aprono una finestra sull’orrore delle torture, garantisce una lettura piacevole ma che allo stesso tempo può far rabbrividire.
Trama
Ci sono indagini e indagini. Alcune obbediscono alla logica e al distacco. Altre sono figlie di un grumo di peccati, attraversano il dolore, rendono inspiegabili le cose del mondo. Siamo nel 1783, in una Palermo rancorosa e fetida. La nobiltà è in lotta contro il nuovo Vicerè: l’illuminista e intellettuale marchese Caracciolo. Ma mentre accade questo vengono ritrovati i cadaveri di alcune bambine: martirizzate, torturate, uccise e poi abbandonate per strada. Atrocità macabre che sembrano arrivare da un mondo buio e feroce. Così il Vicerè manda a chiamare Maurizio di Belmonte, un nobile fuggito da Palermo e da lui incontrato a Londra. Maurizio torna di malavoglia a Palermo. Alle sue spalle c’è uno scandalo familiare e soprattutto il lungo amore con Viola Inzerillo, ora sposata con un francese. Le sue indagini si rivelano subito difficili: la società palermitana gli sbarra la strada, si mette di traverso e persino il Vicerè viene visto come il diavolo che porta il male. Ma presto con l’aiuto dell’avvocato illuminista Francesco Di Blasi qualcosa si muove. Le bambine uccise portano strane medagliette e tutte andavano a «parlare con i morti» da un barone seguace di Cagliostro. E le torture dicono una cosa chiara: sono assai simili a quelle dei monaci dell’Inquisizione. Ma chi applica ancora quelle torture alle povere disgraziate? Anche Sofia Schulz, «la pittora dei morti» come la chiamano in città, dà una mano alle indagini, non solo per umanità, ma anche per una passione improvvisa per il giovane barone di Belmonte. Ma per risolvere questo caso non basteranno i libri e la limpida ragione del Vicerè Caracciolo. Neppure l’arguzia e il fascino di Maurizio Belmonte. Si tratterà di affondare le mani nel male. In un male che una città intera si porta sulle spalle come fosse un antico supplizio.