Recensione a cura di Laura Pitzalis
“Un medico a corte”, ultimo romanzo di Renata Stoisa, è un libro storico ambientato in un periodo molto circoscritto, 1631 – 1655, nel ducato di Savoia, alla corte torinese del duca Vittorio Amedeo I e la moglie Cristina di Francia, ricordata come la prima Madama Reale.
Ė una corte abbastanza vivace nonostante lo stato sabaudo sia molto piccolo rispetto agli altri stati europei, e, anche se gravita molto nell’area francese, ha un’autonomia abbastanza spiccata.
Ė qui che si muove il protagonista del romanzo, Michele, medico di fiducia del Duca e persona illuminata e progressista, sempre pronto ad aiutare qualsiasi persona abbia bisogno di lui, ricchi e poveri, e non solo dal punto di vista sanitario.
L’autrice sceglie come tecnica narrativa la terza persona e il tempo presente con lo scopo di far entrare il lettore nel vivo del racconto, ma io l’ho trovato un po’ didascalico, tipo giornalistico che si limita a riportare i fatti nudi e crudi. Nei molti feedback e riferimenti il tempo verbale cambia con l’uso del passato e qui la lettura, sempre a parere mio, diventa più fruibile, piacevole nonostante l’uso di termini dialettali del luogo e parole in lingua francoprovenzale che riusciamo tranquillamente a tradurre grazie ad un glossario posto alla fine del libro.
Quello che più mi ha colpito in questo romanzo è la capacità descrittiva della Stoisa che ho trovato magistrale, descrizioni superbe non solo dei luoghi ma anche degli usi e costumi del ‘600.
Ci descrive come i personaggi si muovono, come si vestono, cosa mangiano, le loro azioni quotidiane facendoci completamente immergere in quel periodo storico.
Tanti sono i personaggi che animano il romanzo, alcuni storici realmente esistiti, altri di fantasia, come il medico Michele con la sua famiglia e le sue amicizie, e l’autrice riesce in modo esemplare a far interagire questi personaggi fra loro, cercando di essere il più possibile coerente nel raccontare la vicenda storica e sbizzarrendosi in quella di fantasia. Un esempio? Il nostro medico di corte, Michele, che viene contattato dal principe cadetto della casa sabauda, Tommaso di Carignano, fratello minore di Vittorio Amedeo I, perché si prenda cura del figlio Emanuele Filiberto detto il “muto”, anche se il mutismo era la conseguenza della sua sordità.
Michele accetta e si occupa d’insegnare al piccolo il “linguaggio dei segni”, riuscendo con una procedura particolare, adeguata al suo stato, e con l’aiuto di suoi fidati collaboratori, a fargli articolare le parole. Tutto questo è una realtà storica. Ovviamente non Michele, personaggio di fantasia, ma altri medici, come il severissimo logopedista Miguel Ramirez de Carrion, riuscirono a ottenere questi risultati. Emanuele Filiberto riuscì a parlare e a leggere il labiale degli interlocutori potendo, così, partecipare alle conversazioni, e diventando, con la sua incredibile apertura mentale e la sua cultura, un protagonista importante della storia dell’epoca.
Tutto questo fu reso possibile grazie a delle menti illuminate che avevano capito qual era l’approccio educativo nei bambini disabili. Ricordiamoci che siamo nel ‘600 e la disabilità era considerata un marchio infame, e per questo i disabili scartati e discriminati. Un periodo dove comincia a farsi strada la ricerca scientifica, è il periodo di Galileo e Cartesio, quindi il progresso che però porta allo scontro tra rinnovatori e tradizionalisti.
Questo scontro tra vecchio e nuovo è ben rappresentato nel romanzo di Renata Stoisa con l’inserimento di concetti che sono legati ai vari personaggi.
Per esempio, Michele è un medico dalla mentalità particolarmente aperta e cerca, grazie alla sua intelligenza e la sua intuizione, d’introdurre delle novità sul modo d’approcciare la malattia e il malato, scontrandosi spesso con chi invece è legato alle vecchie tradizioni.
Michele si riteneva un empirico e amava osservare la natura. Sosteneva la virtù dell’acqua … Insisteva nel dire che il sangue che circola è in gran parte costituito da questo elemento, necessario all’uomo, come agli animali e alle piante … “Guardate quanti vasi portano il sangue nel nostro corpo, più scorre, più circola, più pulisce dalle scorie e dai veleni. Nel mezzo delle strade a che servono i canali che portano acqua? A pulire. Puliamo il nostro corpo come puliamo le strade e vinceremo molte malattie”. Gli amici tacevano: certo l’argomento era buono, ma chi li avrebbe pagati se, invece di salassi, avessero dato ai malati un bicchiere d’acqua o un brodetto? Via, questi non si potevano ritenere rimedi da medici, ma da serve.
Molto simpatico e divertente è l’incontro di Michele con monsieur Renard, il medico personale del re di Francia Luigi XIII, legato alle terapie tipiche dell’epoca, salassi e soprattutto clisteri e per questo sopranominato “il principe dei clisteri”:
Vedete, io sono del parere che il clistere sia un grande amico del medico. Dico sempre che Sua Altezza, il nostro amatissimo re Luigi, non sarebbe così in buona salute se non si purgasse spesso. Abbiamo a corte dei meravigliosi strumenti. C’è un modello graziosissimo, con il cilindro d’argento intarsiato, molto gradito alle dame, uno gigante, da cinque litri per i casi più ostinati e quello personale del re. Sua maestà ha voluto fossero incise le sue iniziali.
Questo conflitto tra innovatori e tradizionalisti non è esclusiva della medicina, l’abbiamo anche in politica e la Stoisa ce la racconta con riferimenti alle vicende private e politiche della duchessa Cristina, una delle più chiacchierate personalità di Casa Savoia, una donna forte ed energica che riuscì a concentrare per un trentennio il potere politico nelle sue mani, in un contesto, quello della corte sabauda, in cui le donne non contavano granché. Basti pensare che tenne testa a Richelieu e passò indenne una guerra civile voluta dai cognati, i principi Tommaso di Carignano e il Cardinal Maurizio.
Un libro storico di grandi contenuti, quindi, perché la Stoisa descrivendo i suoi personaggi, con i loro atteggiamenti, le loro scelte, le loro azioni, affronta varie tematiche, sanitarie, sociali, politiche lasciandoci messaggi importanti.
Introduce, per esempio, il concetto di medicina sociale: per la prima volta in questo periodo si comincia a pensare al popolo, ai poveri, e lo introduce attraverso i dialoghi tra Michele e Théophraste Renaudot, giornalista, medico e filantropo francese.
“ … la mia idea è di permettere anche a chi non ha denaro di curarsi. Di far sì che i lavoratori più poveri possano accedere a una forma di assistenza sanitaria gratuita … Vorrei dimostrare che questo tipo di intervento non è un costo per la comunità, ma un guadagno … Le epidemie, ne abbiamo avuta triste esperienza di recente con la peste, si diffondono rapidamente fra i lavoratori. Se le braccia si fermano, il danno non è solo del malato, ma anche per chi si serve del suo lavoro. Siamo di fronte a quello che io chiamo un danno collettivo».
Concetto importantissimo se si pensa che in quel periodo il medico curava per lo più quelli che potevano pagare. Altissima era quindi la mortalità nelle famiglie meno abbienti che non potevano permettersi le cure mediche, famiglie talmente povere che arrivavano a soffocare i neonati, soprattutto gli ultimi di una famiglia numerosa, pensando di regalargli il paradiso, mentre qui in terra potevano solo offrire miseria e fatica.
Un’ altra tematica che ci porta a riflettere riguarda il progresso che migliora la vita degli uomini:
“ … la scienza rende più facile la vita. Pensate alle novità in fatto di idraulica, si possono irrigare luoghi aridi. L’evoluzione degli attrezzi degli agricoltori e dei telai dei tessitori allevia la fatica”
ma può anche fare l’interesse anche del malvagio:
“ … I mugnai disonesti usano le nuove macine per polverizzare il gesso da mescolare alla farina. La diffusione della stampa permette di corrompere con scritti osceni lo spirito di molti e in guerra si uccidono più nemici con le nuove armi.”
Come vedete “Un medico a corte” non è solo un libro che intrattiene, diverte, incuriosisce ma un libro che ci fa riflettere su vari temi. Un libro storico che non è sganciato dalla realtà moderna perché purtroppo alcune problematiche che si avevano nel 1600 ancora oggi non sono del tutto risolte.
Tutto questo l’ho trovato molto stimolante e interessante e per questo ne consiglio la lettura.
Solo il medico vale quanto molti uomini. E anche in questo campo quanto più uno è ignorante, più è avventato, più è superficiale tanto più gode la fiducia delle teste coronate. La medicina, infatti, almeno come è praticata oggi dai più, non è altro se non, come la retorica, una forma di adulazione.
Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia.
Sinossi
Michele è il medico di fiducia del duca Vittorio Amedeo I di Savoia e della moglie Cristina di Borbone. A Natale del 1632 il medico raggiunge un borgo della Val Sangone per trascorrere le feste con due sorelle. Michele riceve l’incarico di insegnare la “lingua dei segni” al figlio del principe Tommaso di Carignano. A Torino la duchessa Cristina, sorella del re di Francia Luigi XIII, è al centro dell’attenzione. Si dice che sia l’amante di Filippo d’Agliè. La Duchessa è incinta e chiede a Michele di aiutarla a dissipare ogni dubbio circa la paternità del figlio, ma le cose si complicano quando un misterioso delitto sembra dar credito alle maldicenze. Durante la campagna militare del 1637, il duca Vittorio Amedeo I muore, vittima delle febbri malariche (o del veleno nemico). Si apre un nuovo capitolo della storia sabauda: la vedova si proclama reggente in nome del figlio minorenne. Seguirà la guerra civile, voluta da una parte della nobiltà capeggiata dai fratelli del duca defunto. A Torino torna la pace. Con la morte di Richelieu e di Luigi XIII, la Francia non rappresenta più un pericolo. Passano degli anni, Michele decide di ritirarsi e scrivere le sue memorie.