Il salottino di TSD apre nuovamente i suoi battenti per accogliere la storica medievista Elena Percivaldi. Proprio qualche giorno fa abbiamo pubblicato la recensione a “I Longobardi. Un popolo alle radici della nostra Storia”.
Prima di iniziare con le domande conosciamo meglio Elena:
Elena Percivaldi, milanese, storica, saggista, divulgatrice e giornalista (Albo professionisti, dal 2002. Tessera Ordine dei Giornalisti n. 059290 – Lombardia).
Titolare dello studio Perceval Archeostoria, cura mostre storico-archeologiche e partecipa come relatore a convegni e seminari di studio in Italia e all’estero. Il suo ambito di indagine comprende la storia, la storia dell’arte e l’archeologia, con particolare riferimento all’età tardo-antica e all’alto Medioevo, ed è consulente di prestigiosi enti e centri di ricerca.
È inoltre ospite regolare del prestigioso Festival del Medioevo di Gubbio (Pg). I suoi interventi sono stati mandati in onda su TV2000 e RaiStoria.
È direttore del Notiziario Storie & Archeostorie e collabora regolarmente con alcune delle principali riviste di alta divulgazione nel settore storico e archeologico. Ha scritto e pubblicato quasi 30 libri, alcuni dei quali tradotti in varie lingue.
Buongiorno Elena e grazie per questa intervista. Dirigi da diverso tempo lo studio Perceval Archeostoria, che si occupa di consulenza e ricerca in ambito storico-archeologico e artistico-musicale e collabora con numerose testate e riviste di settore. Che cosa puoi dirci di questa tua attività?
Il mio studio è nato nel 2011 quando ho deciso di dedicarmi a tempo pieno non solo alle collaborazioni editoriali, ma anche alla curatela di eventi e mostre. Ho iniziato a piccoli passi, forte comunque di un’esperienza nel settore che era già all’epoca decennale, avendo pubblicato il primo libro nel 1998 e avendo passato l’esame da giornalista professionista nel 2002. Ad oggi posso dire di essere soddisfatta della mole di lavoro svolto, che si articola in una trentina di libri (alcuni anche tradotti all’estero), una dozzina di eventi di carattere co-organizzati e curati, centinaia di conferenze svolte in tutta Italia e diverse collaborazioni prestigiose come quelle con il Festival del Medioevo, il FAPAB Research Center di Avola (che si occupa di paleopatologia a livello internazionale) e il Centro Studi Longobardi.
L’attività ha subìto purtroppo rallentamenti, come per tutti, a causa dell’emergenza pandemica. Ma se gli eventi si sono inevitabilmente diradati durante lo stop, sono aumentate le collaborazioni editoriali e altri progetti sono nati dalla necessità di continuare (o riconvertire) le attività in versione online, soprattutto corsi e lezioni. Il bilancio è quindi positivo: ogni anno pubblico diversi libri (spesso con mio marito Mario Galloni, giornalista e anche lui parte dello Studio), collaboro con molte riviste di settore come BBC History, Archeo e Medioevo e con la ripresa della mobilità post-pandemia tornerò a fare eventi e conferenze dal vivo, un’esperienza che ritengo molto stimolante e assolutamente insostituibile. Ma a breve ci saranno anche altre importanti novità.
Hai una produzione molto ricca di testi saggistici soprattutto sul Medioevo. Che cos’è per te fare divulgazione storica?
Per prima cosa, è un modo divertente per raccontare il passato cercando di coinvolgere un pubblico non specialistico ma interessato (o potenzialmente attratto) alla storia. A farlo, è vero, sono oggi in molti e alcuni con nomi altisonanti, ma dato il ristretto spazio dedicato alla storia, all’archeologia e in genere alla cultura nei palinsesti tv e, in genere, sui mezzi di comunicazione di massa, il lavoro da fare è tanto e forse non sarà mai abbastanza. Naturalmente le modalità possono cambiare a seconda dei contesti e anche il mezzo conta perché impone tempi e linguaggi diversi: un conto sono le trasmissioni radiotelevisive oppure video, in cui la sintesi (e la semplificazione…) sono praticamente inevitabili, un conto è tenere conferenze o lezioni, nelle quali ci si può permettere di argomentare in maniera molto più ampia e dettagliata.
Anche il pubblico di riferimento può variare parecchio e bisogna essere in grado di adattarsi per non perdere efficacia. Insomma, è un lavoro difficile che si impara sul campo. In ogni caso, fare corretta divulgazione non è mai una cosa fine a se stessa ma qualcosa di fondamentale per contribuire a creare una coscienza storica diffusa. Serve ad evitare il proliferare di dannosi luoghi comuni basati su dicerie che nulla hanno a che fare con la realtà dei fatti (basti pensare ai logori cliché negativi sul Medioevo, che pure continuiamo a trovare ovunque a sproposito, ma anche alle inquietanti e pericolose fake news moderne).
E soprattutto serve a interrogarsi sul presente, a comprendere come e perché oggi siamo quel che siamo e ad affrontare le complessità del presente sforzandosi di comprenderlo. L’obiettivo dovrebbe essere quello di munirsi degli strumenti necessari per analizzare la realtà in maniera critica, senza cadere vittime delle mode o dei diktat del momento, e affrontare così in maniera positiva e consapevole le grandi sfide che ci aspettano.
Che fascino sprigiona l’età medievale e perché lo si studia ancora così tanto secondo te?
Le ragioni sono tante, ma credo in massima parte dovute a un equivoco di fondo. Evocando il Medioevo, molti pensano automaticamente a un’epoca caratterizzata da draghi, belle dame e impavidi cavalieri, un’epoca piena di affascinanti enigmi e inquietanti misteri, e con queste sovrastrutture sono spinti a leggere libri o a visitare mostre ed eventi sul tema credendo di ritrovarvi questo tipo di narrazione. Invece spesso restano delusi perché il Medioevo delle torture e delle streghe bruciate sui roghi, del terrapiattismo e dell’oscurantismo, dello ius primae noctis e delle cinture di castità, della schiavitù alla zolla e delle società blindate e dominate dalla paura del Diavolo e della fine del mondo, semplicemente non esiste: è frutto dell’immagine distorta nata e diffusa soprattutto nell’Ottocento e che si nutre, spesso e volentieri, di vere e proprie invenzioni.
Eppure è proprio questa immagine distorta ad essersi imposta nell’immaginario collettivo, al punto che oggi è difficile cercare di proporre una narrazione diversa e più aderente alle fonti. A costo di provocare qualche delusione, invece, il compito dello storico e del divulgatore serio è esattamente quello di raccontare le cose come stanno. E, nel caso dei medievisti, anche quello di provare a far capire che il fascino del Medioevo non sta nei presunti misteri, nei roghi delle streghe e nelle maledizioni dei Templari (tutte cose false), ma nel fatto che il Medioevo ha rappresentato la culla della nostra civiltà.
Ciò è ancor più vero per quanto concerne il periodo di cui mi occupo nello specifico, ossia quello del passaggio tra tarda antichità e alto medioevo: un periodo che da sempre è associato al culmine del “degrado” – i famosi “secoli bui” o “Dark Ages”, in inglese – in quanto coincidente con l’avvento di popolazioni alloctone rispetto all’impero che avrebbero distrutto la gloriosa compagine statale romana e aperto la strada a un millennio di barbarie e arretratezza destinato a terminare solo con l’avvento del Rinascimento. Invece il periodo tra il V e il IX secolo circa ha rappresentato un momento fondante della storia d’Europa perché proprio dall’incontro/scontro tra mondo “romano” e “barbarico”, tra popoli mediterranei e genti venute dal nord e dalle steppe, è nata, nel segno della trasformazione e del sincretismo, quella sintesi di valori culturali, politici ed estetici che sta alla base della futura identità del Continente.
Tra le tue pubblicazioni anche alcuni libri dedicati ai Celti e ai Longobardi. Quali sono le caratteristiche più importanti di questi due popoli del passato? Quali sono, se ci sono, i punti di contatto tra loro?
Beh, il tempo che separa Celti e Longobardi è lunghissimo e non solo non è possibile affermare che tra le due civiltà ci siano punti di contatto “diretti”, ma non ha senso nemmeno pensarlo. Si tratta di popoli diversi che in tempi e modalità differenti hanno abitato alcune zone dell’Europa, compresa l’Italia, lasciandovi ovviamente – soprattutto nel caso dei Longobardi – elementi artistici, linguistici, giuridici e culturali destinati a perdurare molto a lungo e a influenzare profondamente i secoli successivi.
Ma il risultato di quanto siamo oggi è frutto di millenni di cambiamenti, di movimenti e di dialoghi (non sempre pacifici) tra elementi diversi, questi ma anche altri. Le radici sono importanti e devono essere valorizzate, ma senza dimenticare che siamo figli del mutamento e della complessità, lo siamo oggi e lo saremo sempre di più, inevitabilmente, in futuro.
Quali consigli ti senti di dare agli autori che approcciano la Storia per scrivere il loro romanzo?
Sarò sincera: anche se diverse volte mi è stato proposto, non ho mai scritto un romanzo storico e non sono, salvo rare eccezioni, una lettrice accanita del genere. Non per snobismo, intendiamoci, ma perché non sono certa di essere in grado di farlo. Personalmente considero un romanzo storico ben fatto un ottimo modo per raggiungere un pubblico ampio e contribuire a diffondere la conoscenza della storia, ma ad alcune condizioni.
La prima, imprescindibile, è quella di basarsi sulle fonti (sapendole correttamente interpretare) e di conoscere la letteratura scientifica di riferimento. L’approccio, insomma, deve essere lo stesso dello storico e del ricercatore, con l’unica differenza che ci sarà immaginazione e invenzione nell’elaborazione della trama e nella costruzione dei dialoghi e delle situazioni. E qui sta, credo, la parte più difficile del lavoro: saper ricostruire il modo di pensare della gente dell’epoca, il suo sistema di valori, il modo di parlare e di agire e di pensare, così da “portarli” al lettore e rendere personaggi e situazioni credibili e avvincenti, senza forzature anacronistiche e senza cadere nel Kitsch..
Da diversi anni sei ospite del Festival del Medioevo a Gubbio nel mese di Settembre. Quanto sono importanti eventi come questo per la divulgazione storica?
Sono assolutamente fondamentali! Personalmente sono molto grata a Federico Fioravanti, ideatore e direttore del Festival, per la sua amicizia e il costante apprezzamento nei confronti del lavoro che ho svolto in questi anni, una vicinanza che mi ha dato l’opportunità di dare il mio piccolo contributo alla conoscenza e alla divulgazione della storia anche nella prestigiosa sede di Gubbio. Io non sono un’accademica e non lavoro dentro all’università: dopo la laurea in storia medievale, avrei voluto continuare il mio percorso in ambito accademico, ma il presentarsi di alcune opportunità lavorative importanti e poi la nascita dei miei figli mi hanno spinto a costruirmi una carriera “alternativa” nello studio e nella ricerca, più densa di ostacoli ma anche più “libera” riguardo agli argomenti da studiare e da sviluppare.
Ci tengo però a sottolineare che anche se opero al di fuori dell’ambito universitario, la mia formazione è pienamente accademica e i metodi che applico nel mio lavoro nello scrivere e occuparmi di storia (e in campo giornalistico) sono esattamente gli stessi della ricerca scientifica, ossia la verifica puntuale delle fonti e la conoscenza della letteratura di riferimento. Questo approccio mi ha permesso, negli anni, di interfacciarmi costantemente con l’ambiente universitario e, lo dico con un certo orgoglio, di ricevere tanti attestati di stima da parte di molti membri della comunità scientifica, che mi hanno chiamato a collaborare ai loro progetti e onorato della loro amicizia. Fare divulgazione storica è una missione importante: per questo il confronto costante con il mondo scientifico e la ricerca e l’aggiornamento continui sono condizioni imprescindibili per fare coscienziosamente questo mestiere.
Da questo punto di vista possono essere importanti anche i siti web, e a tal proposito proprio nei giorni scorsi è stato presentato un progetto tanto splendido quanto ambizioso: la ripresa di “Mondi Medievali”, il sito lanciato dal grande medievista Raffaele Licinio, scomparso quattro anni fa, che costituisce un patrimonio incredibile di informazioni, declinate in un gran numero di rubriche tematiche, legate al Medioevo. Ho avuto l’onore di conoscere il prof. Licinio a Bari in occasione dei Mercoledì della Storia, da lui organizzati alla Libreria Laterza in collaborazione con l’Associazione del Centro Studi Normanno-Svevi: mi chiamò a presentare alcuni miei libri.
Era uno spirito libero, un grande intelletto dotato di un’ironia fine e pungente e di calorosa umanità. Aveva radunato intorno a sé un gruppo di amici e cultori della materia costantemente vivificato e ispirato dalla sua instancabile attività e dal suo contagioso entusiasmo. L’eredità di Licinio è stata ora raccolta nel nuovo sito, che sarà online nei prossimi mesi: un portale che tratterà il Medioevo in tutte le sue sfaccettature, compresa la sua fortuna (e sfortuna) in tempi moderni, e che si avvarrà del contributo di tanti valenti collaboratori e di un comitato scientifico di prima grandezza.
Ringrazio davvero gli amici Marco Brando e Giuseppe Losapio, che di “Mondi Medievali” sono rispettivamente direttore e vicedirettore, per avermi coinvolto nel progetto affidandomi il coordinamento della sezione “Alto Medioevo: tra mondo classico e barbarico”. Sarà una straordinaria occasione per fare divulgazione nel nome di un intellettuale che ha insegnato a generazioni di studenti ad amare il Medioevo vero, al di fuori della retorica e per quello che, nel bene e nel male, è stato e ha rappresentato.
Tornando al Festival del Medioevo di Gubbio – ma il discorso vale anche per altri importanti festival dedicati ad altre tematiche -, credo che sia un’occasione irripetibile per tante ragioni: è un grande evento che contribuisce a raggiungere un pubblico molto ampio e variegato di appassionati e cultori, ma è anche un preziosissimo momento di incontro, confronto e dibattito tra studiosi, ricercatori e “addetti ai lavori” ad amplissimo raggio.
Il fatto che sia frequentato ogni anno da così tanta gente (parliamo di migliaia di persone!) dice una sola cosa: il pubblico, per questo tipo di temi ed eventi, non solo esiste, ma è anche molto “affamato” ed esigente. La storia e la cultura sono poli di attrazione. Possono, anzi devono essere, un motore a livello turistico, occupazionale ed economico, ma rappresentano anche una risorsa essenziale per il progresso e il benessere morale e civile della collettività. Chi ci governa dovrebbe tenerne conto.