Nuova intervista nello spazio dedicato agli scrittori. Con piacere e anche onore, TSD ospita oggi Raffaele Nigro, di cui abbiamo recentemente recensito il suo ultimo romanzo storico “Il cuoco dell’imperatore”. Prima delle domande, vi lasciamo qualche informazione su di lui.
Raffaele Nigro (Melfi, 1947) vive a Bari. Dopo il saggio Basilicata tra Umanesimo e Barocco ha pubblicato Narratori cristiani di un Novecento inquieto e Giustiziateli sul campo. Letteratura e banditismo da Robin Hood ai giorni nostri. Nel 1987 con il romanzo I fuochi del Basento ha vinto il Supercampiello. Seguiranno una ventina di romanzi tra cui La Baronessa dell’Olivento, Ombre sull’Ofanto, Dio di Levante, Adriatico, Viaggio a Salamanca e Malvarosa, che ha vinto i premi Biella, Flaiano, Mondello, Maiori. Ha curato le edizioni critiche di Burchiello e la poesia giocosa del ’400 e ’500 e delle opere di Francesco Berni, per il Poligrafico dello Stato. I suoi libri sono tradotti in molte lingue.
La sua produzione letteraria è davvero molto vasta. Molti dei testi pubblicati fin dagli anni ’70 hanno affrontato la storia della Basilicata, sua terra d’origine, della Puglia e più in generale del Sud Italia. Territori ricchi di storia e di tradizione che lei promuove attraverso le sue ricerche: quanto è importante studiare e tramandare certi eventi del passato?
A mio modo di vedere noi siamo ciò che siamo stati e il presente è sempre influenzato dalla formazione che abbiamo avuto. La storia è un corrimano che ci spiega come l’uomo si è evoluto nei secoli. Non sarà maestra come diceva Vico tuttavia ci offre i fotogrammi di un mondo in evoluzione continua. Si guardi a ciò che sta avvenendo nei nostri giorni. Se il mondo intero guarda all’Europa ed è attratto dal suo stato di diritto, qualcosa pure significherà. Abbiamo attraversato le stagioni del Rinascimento e del’Illuminismo, abbiamo conosciuto dopo la cultura contadina quella industriale e moderna. Questa esperienza secolare è un patrimonio della storia e fa parte della nostra formazione culturale e politica. Dunque della storia.
Con “Il cuoco dell’imperatore”, edito da La nave di Teseo nel 2021 e nella prima rosa di candidati al Premio Strega 2022, ha affrontato un periodo di grande splendore del Regno di Sicilia sotto il controllo di Federico II di Svevia. Si è scritto tanto su di lui, ma cosa può dirci Raffaele Nigro di questo immenso personaggio?
Federico è un uomo che anticipa l’Umanesimo, pur nei limiti di un’età arcaica quale il Medioevo. Guarda a Carlo Magno e ad Alessandro Magno, come quest’ultimo ha una corte viaggiante che non si ferma in nessuna latitudine, ma oltre Carlo viene a contatto con gli arabi, stringe amicizia con Malik al Kamil, sultano fondando il rapporto sullo scambio di vedute scientifiche e culturali. E riuscì ad entrare in Gerusalemme senza spargere sangue e a fondare l’organizzazione sociale sul diritto. Il diritto non era più l’imperatore, ma l’imperatore era il difensore delle leggi.
Studiando la vita di Federico II, raccontata magistralmente in questo libro di oltre 750 pagine, quale aspetto dell’imperatore l’ha colpita maggiormente?
Molti aspetti: il dialogo con gli arabi; la difesa delle Costituzioni Melfitane; i rapporti fondati sulla parola e sulla ragione; la fiducia nella politica; il piacere dello studio; la passione per la poesia e per la falconeria intesa anche come rapporto con i subalterni.
Perché viene definito “Stupor mundi”?
Fisicamente perché era uso muoversi con un corteo di armigeri appulo siciliani, con arabi e tedeschi, con gabbie che trasportavano animali esotici e altri carri dove stivava libri e documenti, un archivio viaggiante.
Quanto fu innovativo e “fuori dal proprio tempo” Federico II?
Per me fu molto innovativo, dal momento che inaugurò le università di Napoli e di Salerno, promosse nuove leggi nel Liber augustalis a cui presero parte i maggiori studiosi di diritto del suo impero; avviò un gioco letterario nella corte di Sicilia con un gruppo nutrito di notabili dediti a una poesia curtense e nel volgare dell’epoca e stessa cosa fece in Germania, attorniandosi dei minnesanger che alternavano poesia epica a poesia lirica.
Quale potremmo considerare essere il migliore insegnamento lasciato da Federico II ai posteri?
Prima di combattere conviene dialogare e comunque praticare la strada delle scienze e del sapere. Da questo punto di vista ciò che hanno studiato gli altri è la base per le nostre conoscenze e per ogni avanzamento nella scoperta di mondi che non conosciamo.
Nel romanzo, la vita di Federico II è raccontata dal fedele cuoco Guaimaro delle Campane. Perché questa scelta di espediente narrativo?
Guaimaro è pronipote di Ruggiero delle Campane, un fonditore del XII secolo che ci ha lasciato le porte di bronzo per il mausoleo di Boemondo nella cattedrale di Canosa e alcuni candelabri. L’idea di far raccontare la vita di Federico da un suo sottoposto mi permette di creare un parallelo continuo tra la vita di corte e la vita della strada, tra storia e cronaca. Ho pensato a un cuoco perché i cuochi hanno in mano la vita e i gusti dei signori presso cui lavorano. Dunque sono sempre affianco a loro e sanno ogni minuta parte della loro quotidianità.
Ringraziamo Raffaele Nigro per essere stato con noi e averci concesso questa intervista.