Articolo a cura di Roberto Orsi
Raccogliamo il testimone, o forse dovremmo dire il pugnale, dall’Antica Roma e ci spostiamo nel Rinascimento, teatro di un numero considerevole di congiure. Tra tutte, vi raccontiamo la congiura delle nozze rosse, o anche detta congiura Baglioni, e la congiura della Magione.
Congiura dei Baglioni
La congiura dei Baglioni, molto più nota come la congiura delle nozze rosse ha tutti gli elementi della carneficina vera e propria. Un’intera famiglia perugina fu brutalmente massacrata in casa, corpi gettati in strada dalle finestre, una popolazione intera scossa, e impaurita; il movente da ricercarsi nella sete di potere.
Nella notte fra martedì 14 e mercoledì 15 luglio 1500, Perugia si trovò immersa nella paura più nera.
Nella città si erano appena svolti i festeggiamenti, durati due settimane, per le nozze tra Astorre Baglioni e Lavinia Colonna, entrambi esponenti di nobilissime casate, appartenenti all’Umbria bene: cene all’aperto, danze e spettacoli in piazza avevano animato Perugia, il pranzo nuziale, dato l’altissimo numero di invitati, era stato organizzato in Piazza Maggiore.
Ma, nemmeno a dirlo, come nella migliore tradizione storica, proprio il contrasto interno tra i Baglioni pare abbia armato la mano degli assassini.
I Baglioni appartenevano a una nobile famiglia che nel XV secolo affermò il suo potere su Perugia, con il condottiero Braccio I. Alla morte di questi, il potere era passato nelle mani dei suoi fratelli, Rodolfo e Guido, e poi al figlio di quest’ultimo, Astorre, ovvero lo sposo.
Ma Grifonetto Baglioni, (discendente diretto di Braccio I, che era suo nonno) e suo zio Carlo, detto il Barciglia, ostili ad Astorre e a suo padre Guido, spinti dalla volontà di usurparne il potere e con l’intento di conquistare la supremazia nella roccaforte e nei territori circostanti, compirono il massacro. Si narra che ad Astorre Baglioni, sorpreso nel sonno e ucciso davanti alla giovane sposa, sia stato strappato il cuore dal petto.
Al mattino, dopo la mattanza, i congiurati scesero in strada per dire ai popolani che l’azione era stata condotta per liberarli dal giogo della Signoria e si proclamarono Signori della città.
Ma il loro potere durò poco. Il popolo, affatto convinto delle loro dichiarazioni, sostenne Gian Paolo Baglioni, scampato all’eccidio e tornato per riprendersi il potere. Radunato un gruppo di armati fece vendetta. I congiurati fuggirono tutti, tranne Grifonetto Baglioni che, prima di essere passato alla lama, chiese perdono.
A memoria di quel figlio ucciso, la madre Atalanta pregò Raffaello di dipingere una pala d’altare per la Chiesa di S. Francesco al Prato. Nacque così la pala Baglioni, a noi nota come la Deposizione (1507) di Raffaello, in cui il Grifonetto è ritratto nel giovane che sostiene le gambe del Cristo. Vi si riconoscono anche la moglie di Grifonetto, Zenobia Sforza (nella Maria Maddalena) e Atalanta stessa (nella Madonna). In origine la pala fu collocata presso la cappella dei Baglioni nella chiesa di San Francesco al Prato di Perugia, mentre nel 1608 raggiunse Roma su richiesta del pontefice Paolo V, che volle farne dono al nipote Scipione Borghese. Oggi si trova alla Galleria Borghese di Roma.
La congiura della Magione
E la sete di potere (e la volontà di difendersi da essa) fu alla base anche di un’altra congiura in un certo qual modo legata alle “nozze rosse dei Baglioni”: la Congiura della Magione, che deve il suo nome al luogo in cui fu organizzata, Magione, in provincia di Perugia.
Fu un complotto del 1502 che vide come vittima designata Cesare Borgia e come esecutori i suoi stessi alleati capitanati da quel Vitellozzo Vitelli (che aveva dato asilo all’amico Gian Paolo Baglioni) che aveva spalleggiato il Valentino stesso nel rovesciare Firenze. Congiura che finì, a sua volta in un’altra congiura, in cui i carnefici divennero vittime.
Andiamo con ordine e vediamo cosa era successo.
Il Duca Valentino aveva conquistato molte città importanti (tra cui Rimini, Ravenna, Forlì, Cesena e per ultima Urbino), ma per farlo aveva dovuto allearsi tatticamente con vari signori e condottieri tra i quali vi erano il capitano di ventura, Vitellozzo Vitelli e due membri dell’allora potente famiglia romana degli Orsini, Paolo e Francesco.
Quando, però, il Borgia puntò a fare sua anche Bologna, per renderla capitale del suo Ducato di Romagna scacciandone Giovanni II Bentivoglio, gli alleati iniziarono a temere che l’eccessiva smania di potere del loro duca li avrebbe portati alla disfatta, così si riunirono insieme ad altri nella località umbra di Magione presso il cardinale Giovanni Battista Orsini e ordirono un complotto contro il loro ex alleato. Di fatto, si schierarono dalla parte di Firenze e Venezia contro le mire di Cesare Borgia, che peraltro il Vitelli si impegnò a catturare o uccidere entro un anno.
I congiurati, riuniti nella Lega dei condottieri, iniziarono coll’istigare alla rivolta contro il Valentino nelle Marche, in particolare riuscirono a riportare a Urbino il legittimo duca Guidubaldo di Montefeltro dopo aver vinto la battaglia di Calmazzo, presso Fossombrone.
I fiorentini tuttavia non si fidarono di Vitellozzo Vitelli e, venuti a conoscenza di un annunciato intervento militare de re di Francia Luigi XII a favore del Valentino, inviarono il segretario della Repubblica, Niccolò Machiavelli, a Imola, dove si trovava il Valentino, per avvertirlo della congiura in atto e del tradimento che i suoi stessi soldati e capitani stavano mettendo in opera.
E qui venne fuori tutta l’astuzia del Borgia che riuscì a ordire una “controcongiura” definita dal Machiavelli “il bellissimo inganno”: non potendo più contare sui suoi stessi soldati, e vedendo che le truppe promessegli dal re di Francia (di cui il Valentino era luogotenete) tardavano ad arrivare, pensò bene di tirare dalla sua parte una parte dei congiurati.
Convinse, anche con cospicui doni, Paolo Orsini della sua volontà di riappacificarsi e di perdonare i soldati che erano entrati nella Lega dei condottieri e gli affidò il compito di spargere la voce in tal seno e persuadere anche gli altri capi della congiura delle sue benevole intenzioni, promettendo persino paghe più alte per i suoi soldati.
Uno a uno i condottieri della Lega caddero nella trappola e accettarono l’invito di recarsi a Senigallia, città appartenente ai Della Rovere che egli intendeva conquistare. Con tragico senso della beffa, in segno di riconciliazione Cesare Borgia baciò su una guancia il suo giuda, Vitellozzo Vitelli. Poi invitò i condottieri a seguirlo in un palazzetto della città per discutere insieme i piani delle future battaglie da combattere insieme. Non appena essi si furono accomodati all’interno di una sala, il Borgia vi fece entrare numerosi uomini armati che li catturarono e in quella stessa notte del 1502 il Valentino fece strangolare Vitellozzo Vitelli da un suo fidato sicario, Michelotto Corrella. I due Orsini, che Cesare Borgia aveva fatto portare a Città della Pieve, furono assassinati il 18 gennaio.