Recensione a cura di Claudio Musso
Le vicende personali e politiche di Publio Clodio Pulcro (92-52 a.C.), di cui questo romanzo storico, edito da Navarra Editore e ambientato negli ultimi respiri della Tarda Repubblica, intensamente vibra, sono già alluse nella scelta, piuttosto originale, della copertina rinascimentale. Il nostro sguardo infatti incrocia gli occhi enigmatici del David catturato da Michelangelo nel momento precedente il lancio del sasso, nella concentrazione e nella consapevolezza dell’importanza dell’impresa ma anche nella tensione di chi sa di essere solo in uno scontro che sta per avvenire ma che si deve vincere.
G. Middei, al secolo Il Professor X, strappa il suo personaggio da fonti storiche avverse e ce lo restituisce in un ritratto a tutto tondo che indugia con buona fattura anche nel dettame psicologico, mentre Clodio affronta i suoi ‘’giganti’’, specie quelli interiori.
Per farsi poi lui stesso Golia dimenticando il David che è stato. La prosa, accurata e incalzante, si nutre di un linguaggio moderno, che avvicina a mondi e a mentalità solo in apparenza lontane, e di un’immaginazione vivace ma sempre in sintonia con i tempi che narra. Coerentemente con la storiografia recente, il Clodio di queste pagine non è solo il demagogo spregiudicato ma è soprattutto figlio di un’epoca decisiva e divisiva.
‘’Il pozzo circolare del comitia risplendeva come un diamante assediato dalla luce nell’aria dicembrina. Aveva albeggiato da poco, alle sue spalle i fumi azzurrognoli del fuoco di Vesta serpeggiavano verso l’alto in morbide, delicate spirali. Quando il sole illuminò le gradinate di pietra traslucida, dove il popolo e i tribuni della plebe si riunivano in assemblea, tremò e un sospiro roco gli sfuggì dalle labbra. Quanto a lungo aveva atteso quel momento! L’aveva desiderato così intensamente e quel desiderio era cresciuto in lui, era diventato di anno in anno più intenso, radicato in ogni fibra del suo essere, annidato come uno sprone in ogni suo sentimento, in ogni suo pensiero … anche dietro le sue azioni più insignificanti c’era stato quell’unico martellante desiderio. Non riusciva a credere che la sua attesa fosse finita’’.
Davide ha lanciato la fionda e ha vinto. Realizzando il suo sogno di diventare qualcuno. Il contesto è quello del I sec. a.C., di una Roma dove il dissidio tra optimates e populares si fa sempre più aspro e gli agitatori della prima e dell’ultima ora (e tra questi campeggia Clodio) possono fare incetta del dissenso, specie da parte di chi vive l’altra Roma popolata da un’umanità coperta di stracci e insulti. Il nostro protagonista, rampollo della prestigiosa gens Claudia, ha alle spalle una giovinezza punteggiata dall’indolenza e dalla gozzoviglia, dalla familiarità con la rivolta e il complotto. Lo dimostrano le sue sobillazioni nella campagna militare di Lucullo in Oriente e la sua ambigua presenza nella Congiura di Catilina.
Un curriculum di esperienze esplosive che toccano il culmine con il sacrilegio durante la festa della Bona Dea del 62 a.C., che rischia di elidere la carriera politica che si era prefisso. E qui deve fermarsi. Mentre lo scaldalo, di cui il popolo ha sempre bisogno, ieri come oggi, si diffonde per l’Urbe e, lo ricordava Pasolini, è elemento di fraternizzazione tra le persone più diverse, Clodio è sulla bocca di tutti per essersi introdotto in un rito precluso agli uomini.
Clodio disciplina il respiro, si porta le mani alle tempie e capisce rapidamente che solo la politica può salvarlo. Così prima passa, facendosi adottare, ad plebem, rinnegando la sua gens, con la benedizione di Cesare, all’epoca Pontefice Massimo, e poi riesce a farsi eleggere tribuno della plebe, la meta che tanto attendeva, che gli garantisce l’immunità da qualsiasi processo. Perché è questo che teme.
Perché, nella Roma che usa il tribunale per fare piazza pulita dei nemici politici, ad un primo processo ne segue sempre un secondo. E Catone il Censore lavora nell’oscurità per contrastare un simpatizzante dei populares ma anche un integerrimo legislatore che comincia a fare passare emendamenti contro ciò che Catone, e con lui Cicerone, l’amico di un tempo, rappresentano. Ma nella tarda Repubblica una politica indipendente, come fu quella di Clodio, non può prescindere dai compromessi che lo legano a doppio filo a chi domina la scena politica di Roma, i triumviri. Di particolare rilevanza è il rapporto di repulsione e attrazione che ha con Cesare che ne favorisce la carriera e ne sfrutta il fenomeno di agitatore di masse, spesso armate.
Cesare non manca di ricordare a Clodio che vivono entrambi in un’epoca decisiva. Lo sguardo è proiettato al futuro ma per favorire il cambiamento è necessario ricorrere a ‘’misure straordinarie’’. Ma quello che sfugge al futuro padrone di Roma è che l’accesso alla politica del giovane tribuno, e qui Middei è abile nell’indagarne le ragioni e le regioni, è animato non tanto da un disegno di riforma, quanto da un desiderio decisamente privato, di strapparsi di dosso l’habitus dell’inetto e di dimostrare al padre, che sul letto di morte gli ricordava: non vali che un po’ più di niente, che si sbagliava, di fare sentire la sua alterità dalla tradizione, rappresentata dal fratello maggiore, perfettamente inserito nelle logiche di censo e clientelari, ma soprattutto, di plasmare il proprio destino prima che sia quest’ultimo a srotolarsi secondo le sue logiche. Il successo arride rapidamente a Clodio, i suoi proclami di cambiare la società dal di dentro avvicinano bottegai, venditori ambulanti, contadini dalla pelle bruciata venuti nell’Urbe, persi i propri poderi. Si eccita a vedere accendersi nei loro sguardi la fiammella della rivolta, il riflesso della stessa che arde in lui:
‘’Sentì che la piazza vibrava di tensione che dirigeva come se stesse suonando uno strumento e per la prima volta in vita sua si senti padrone di sé stesso, pieno di calma, di forza e di chiarezza. Gli parve che quella vita sfuggente e misteriosa, che sempre l’aveva disorientato e segretamente atterrito, ora si piegasse al suo volere. A quella consapevolezza il suo viso si trasfigurò e, ormai certo del consenso della folla, disse che la cattiva amministrazione delle province e le continue guerre di conquista avevano arricchito soltanto i grandi possidenti, gli appaltatori, i banchieri’.’
La sua è una fredda energia che lo porta a dire ciò che il popolo, sempre bisognoso di un nemico da additare, ha voglia di sentirsi dire. Ma c’è anche un tentativo di istruire quel popolo ad evitare di cedere ai suoi peggiori impulsi e di allontanarsi dalle odiose superstizioni che secoli di menzogne e di ignoranza hanno alimentato. A parlare sembra un homo novus, nel senso di portatore del nuovo, di per sé rivoluzionario, refrattario al: si è sempre fatto così. Più Middei prosegue nella sua ricostruzione più il suo Clodio risulta più problematico e meno programmato, sembra essere permeato da una doppia natura. Torna l’ambivalenza con Davide e Golia che si intrecciano in modo promiscuo.
La vista dei volti protesi, pieni di fiducia e speranza, provocano in lui un senso di estraneità: in fondo quegli esseri con le loro istanze si agitano ai margini della sua coscienza. A Clodio interessa, diventato tribuno della plebe, confrontarsi con il cielo immenso di Roma da pari a pari. Tuttavia un senso di angoscia interiore grava su di lui, non solo per le imprese fatte ma per quelle che dovrà fare, perché la coscienza, da tempo inascoltata, bussa alla sua porta con tutti gli interessi.
E nuovamente deve fermarsi. Come Davide è solo, incapace di condividere con altri l’esatta misura di questo tormento. Nei suoi monologhi interiori Clodio ha sempre più la sensazione di aleggiare sull’orlo di una terribile soglia aldilà della quale c’è un cuore di tenebra creato dalla sua stessa ambizione e abiezione e il ghigno sferzante della demagogia. Che fare? Affrontarlo o esorcizzarlo, voltandogli le spalle? Sull’incombenza del baratro che attende gli eroi negativi, con le sue risposte e, al tempo stesso, la sua requie, tornano alla mente le riflessioni del Caligola di Albert Camus. L’imperatore cede. Il tribuno ha ancora parole per noi, mentre la casa di Cicerone, da lui esiliato, brucia e con essa un certo passato:
‘’Quell’immagine della vetta mi è rimasta scolpita nella mente e mi ha ossessionato per anni. Certo, non è una scalata priva di rischi, alcuni crollano rovinosamente e precipitano nel vuoto, ma non importa, solo per arrivare fin lassù conta. E quando guardi la città dall’alto e senti centinaia di bocche che tuonano il tuo nome e il soltanto il cielo che ti sta davanti si frappone tra te e l’infinito, incominci a pensare che potresti fare qualsiasi cosa, che basterebbe una tua parola per cambiare tutto’’.
Trama
Roma 62 a.C., uno scandalo sconvolge la città di Roma. Publio Clodio, seduttore impenitente e chiacchierato, è accusato di aver commesso un crimine orrendo contro lo Stato. L’aristocrazia senatoria è fin troppo ansiosa di sbarazzarsi di un giovane patrizio che simpatizza per i populares, la fazione in lotta contro la classe conservatrice. Mentre il caso viene montato contro di lui, Clodio è deciso a riscattare sé stesso e a sfidare il potere del senato, elaborando un audace programma di riforme in favore dei poveri. È l’inizio di una scalata che lo porterà a conquistarsi un ruolo di primo piano nel governo dell’Urbe e a fronteggiare i grandi attori della sua epoca: Cicerone con il suo idealismo, Cesare con la sua ambizione, Crasso con la sua formidabile astuzia. Ma tra alleanze precarie, ricatti e una crescente solitudine, Clodio, incapace di adeguarsi alla meschinità che domina intorno a lui, dovrà iniziare a fare i conti con sé stesso e comprendere per quale motivo stia affrontando quella lotta. Il romanzo ripercorre l’ascesa politica di una delle più controverse e affascinanti figure dell’Antica Roma. Con una scrittura che spinge a riflettere sui meccanismi dell’odio e del potere, l’autore ci presenta il ritratto di uomo che cede alla violenza quanto alla generosità, agli idealismi quanto a un lucido realismo, e ci restituisce il ritratto di un Clodio più autentico, salvato dagli stereotipi, profondo e moderno. Fabio Asero, I lettori delle sette: “In una città governata da un’oligarchia ormai decadente, prossima alla guerra civile, un uomo viene tormentato e stritolato dalla propria coscienza. L’autore descrive in maniera spietata la corruzione, gli intrecci politici, attraverso le riflessioni e le azioni di un uomo ammirato dal popolo ma non dall’aristocrazia. Il romanzo, oltre alla trama avvincente, ci pone le stesse domande che affliggono Clodio: possono le ambizioni personali di pochi prevaricare sui bisogni essenziali della collettività? E in che modo e in che misura il destino influenza la vita e le scelte degli uomini?».