Temuta dagli studenti, a volte sinonimo di preoccupazione anche per genitori, attesa, premiata o deludente, fonte di arrabbiatura (e in passato anche di qualche scappellotto) o di gesti consolatori: parliamo della pagella scolastica.
Sapete chi l’ha inventata, quando è stata introdotta nella scuola e che un tempo la si doveva pagare?
Se avete risposto NO ad almeno una di queste domande, allora seguiteci in questo CurioStory “scolastico”.
Segnatevi questo nome: Giuseppe Benedetto Augusto Giovanni Antonio Michele Adamo Davide d’Asburgo-Lorena, abbreviato e meglio conosciuto come Giuseppe II, l’imperatore d’Austria, il sovrano che fu uno dei più ferventi sostenitori degli ideali dell’assolutismo illuminato e quello grazie al quale l’Europa conobbe Mozart (“Le nozze di Figaro” e “Così fan tutte” vennero commissionate al compositore proprio da Giuseppe II), trasformando Vienna nella capitale musicale dell’epoca.
E tra le tante cose belle di cui gli siamo debitori, gli dobbiamo anche l’invenzione di una cosa per molti meno bella quale la pagella scolastica nel lontano Settecento.
Data di nascita ufficiale: 17 settembre 1783. In questo giorno l’allora imperatore d’Austria a firmò una legge che impose in tutto l’impero di ufficializzare il livello di apprendimento raggiunto dai bambini della scuola elementare introducendo un «certificato scolastico», imponendo di fatto agli insegnanti di mettere nero su bianco su questa “paginetta” le capacità di lettura e scrittura raggiunte dagli alunni.
La parola pagella, però, non ha nulla di austriaco: deriva dal latino pagellam, un diminutivo di pagina. Quindi letteralmente significa una piccola pagina, una paginetta, praticamente un foglietto.
Ma in Italia?
La nostra nazione all’epoca non era nemmeno ancora unita, frammentata e divisa in tanti piccoli stati e regni com’era, ma soprattutto contadina e analfabeta. Si dovette aspettare quindi l’Unità d’Italia nel 1861, quasi un secolo dopo, perché anche da noi arrivasse qualcosa di simile ad una pagella: da noi era una specie di certificato che veniva consegnato al termine dei sei anni previsti per il primo livello di istruzione. Non c’erano i voti ma solo un giudizio sintetico e spesso sommario sulle competenze degli alunni. E non si chiamava nemmeno pagella ma attestato di promozione e frequenza.
La vera e propria pagella in Italia venne introdotta ufficialmente in tutte le scuole e con un unico modello, solo in epoca fascista, con il regio decreto del 20 giugno 1926.
E non veniva nemmeno data gratuitamente dalla scuola, che la compilava soltanto: le famiglie dovevano andare comprarla dal tabaccaio al costo di cinque lire (oggi sarebbero all’incirca tre euro).
Ma questo non durò a lungo: data la povertà di moltissime famiglie povere che non potevano certo spendere soldi per comprarla. E così, nel 1929 il pagamento della pagella venne abolito.
Divenuta gratuita la pagella, manco a dirlo, diventò uno strumento di propaganda del regime fascista.
A partire dall’anno scolastico 1936/37 le copertine delle pagelle riportavano i simboli della Gioventù italiana del littorio e del Partito nazionale fascista insieme a immagini inneggianti al duce.
C’erano anche una grande M di Benito Mussolini con un moschetto al fianco di un libro, per avere sempre vivo il motto “Libro e moschetto, fascista perfetto”.
Sul retro, la data era affiancata dall’anno dell’”era fascista”.
A far data dal 1939, inoltre, ogni pagella doveva riportare anche il numero di iscrizione all’organizzazione giovanile del partito, cosa tra l’altro obbligatoria.
All’interno portava l’indicazione della classe e le caselle delle materie, con gli spazi in bianco per il voto. Tra le materie comparivano anche Storia e cultura fascista, Lettura espressiva e recitazione, e Lavori donneschi e manuali.
Per quanto riguarda i giudizi, alle elementari si andava da Ottimo a non Sufficiente, fino al raro e temutissimo Inclassificabile.
Con la fine del secondo conflitto mondiale la pagella cambiò.
Nel 1946 la pagella divenne uguale per tutti, dalle elementari alle superiori.
E tornò a essere a pagamento, ma non più vendute dai tabaccai, ma dai patronati (che si occupavano degli alunni bisognosi) e che ne trattenevano una parte: costava 10 lire di cui 5.95 venivano trattenute da loro.
Nell’anno scolastico 1947/48 sulle pagelle comparvero i nomi e i simboli della Repubblica Italiana e del ministero della Pubblica Istruzione.
Da colorata e illustrata com’era stata durante il Ventennio fascista, divenne monocromatica: azzurra o verde, e furono reintrodotti i voti (dal 10 in giù) al posto dei giudizi.
Negli anni Cinquanta, poi, con una circolare ministeriale si stabilì persino un rincaro nel costo: 25 lire per una pagella (circa 50 centesimi di euro di oggi). Sette anni dopo la Disciplina fu ribattezzata «Comportamento», ma la pagella continuò a pesare sul portafoglio delle famiglie, venduta ancora dai patronati.
Perché la pagella non abbia più un costo, bisognò aspettare il 1963: solo allora, infatti, torno a essere gratuita. Mentre il “balletto” voti VS giudizi, alemo alle elementari, durerà ancora e ancora…
E ora, dite: sapevate tutte queste cose? Tranquilli, che la pagella di TSD non c’è, anche se… quasi quasi…