Recensione a cura di Roberto Orsi
“Ci sono giornate che preludono a infausti eventi. Vi è qualcosa di evanescente e a tratti quasi tangibile, qualcosa che soffia dentro il cuore come una premonizione, che vorrebbe strapparti al destino e poi consegnarti crudele alla sua ineluttabilità che, sovente, gioca d’azzardo con la vita degli innocenti.”
Costanza DiQuattro, alla terza pubblicazione con Baldini+Castoldi, ci porta indietro nel tempo fino agli albori del XX secolo in terra siciliana. Ibla è un piccolo borgo, un tempo comune a sé stante e oggi facente parte del centro storico di Ragusa, dominato da Palazzo Chiaramonte dove il marchese Romualdo vive con la sua famiglia.
“Romualdo Chiaramonte era un uomo algido e distaccato. Sembrava che le cose del mondo non gli appartenessero, che le vicende che ruotavano attorno alla sua figura fossero marginali, lontane dal suo impenetrabile universo fatto di silenzi, tabacco pregiato, libri e donne. In sette anni di matrimonio aveva avuto tre figlie: Amalia, Ada e Rosalia. Tutte femmine, infinitamente femmine, tragicamente femmine.”
La ricerca continua di un erede maschio sembra diventare un assillo per il marchese Chiaramonte, al quale il Signore ha donato solo figlie femmine. Sembra una beffa del destino, quando la sera stessa della nascita della quarta figlia, Giuditta, davanti all’ingresso del palazzo viene abbandonato un neonato. Fortunato viene affidato al Monsù di casa Don Nicola e alla moglie Donna Marianna, una coppia in là con gli anni fino a quel momento senza prole.
Monsù, derivato dalla parola francese Monsieur, era un titolo che anticamente veniva dato ai cuochi professionisti, molto spesso impiegati nelle cucine delle case nobiliari. Fortunato cresce a Palazzo Chiaramonte, all’ombra di un padre che lo accudisce e lo inizia ai segreti della cucina. Ma il bimbo ha altre mire e interessi: è attratto dai libri, dallo studio dei classici, dei filosofi e dei poeti.
Giuditta, sua coetanea tra le figlie di Romualdo, è compagna di giochi e di vita. Al contrario di Fortunato, Giuditta, destinata allo studio e alla sua formazione per l’alta società borghese, ama trascorrere le giornate in cucina e apprendere le tecniche dei cuochi. Il rapporto con il giovane figlio del Monsù diventa subito stretto e assume una valenza simbiotica per le anime dei due ragazzi. Giuditta e Fortunato si cercano, si trovano, si completano. L’uno ha la capacità di rasserenare l’altra con uno sguardo. L’una diventa l’appiglio di salvezza dell’altro nei momenti di difficoltà.
“Finiva sempre così tra loro, a una lite corrispondeva una risata. Perché i bambini sanno far pace senza bisogno di chiedere scusa. Sanno dimenticare senza sentire ferito l’orgoglio. Sanno giocare senza la paura di sentirsi stupidi. Fortunato era il suo mondo felice, il silenzio colmato, il vuoto riempito dalla mancanza di Amalia, erano le fughe di libertà, la protezione contro i rimproveri, quella cucina che lei tanto amava.”
Un sentimento destinato a crescere e diventare fondamentale per entrambi. Ma in un contesto come quello di fine Ottocento, la cosa non può essere ben vista dal padre di Giuditta. E senza la sua benedizione il rapporto diventa difficile se non impossibile.
Il tempo scorre tra la piccola cittadina di Ibla e la casa in campagna di Poggiogrosso, dove la famiglia Chiaramonte al completo trascorre i mesi estivi. Il lettore assiste alla crescita dei personaggi, non solo in termini anagrafici, ma con le loro sfaccettature caratteriali, gli impulsi e gli istinti che nei giovani sono anche più marcati e complicati da controllare.
I rapporti tra i famigliari emergono poco a poco, insieme ai segreti che ognuno porta dentro di sé, più o meno inconfessabili.
“Il tempo non si ferma mai sulla felicità. Ci vola sopra, come uno sparviero fa con la preda. Aleggia come un fantasma nelle pieghe disfatte dell’allegria. Ed è proprio quando ci si dimentica della sua petulante presenza che i suoi rintocchi diventano assordanti”.
Il contesto storico rimane in disparte, l’autrice non racconta molto degli avvenimenti del tempo, ma si sofferma su quella che era l’atmosfera in una casa nobiliare come quella dei Chiaramonte. Quali fossero gli obblighi, gli usi e i costumi a cui attenersi, la difficoltà di certi rapporti anche all’interno della stessa famiglia, quando le dinamiche si basavano su un concetto di patriarcato molto forte. Ci si addentra nelle vicende dei protagonisti, su tutti Giuditta e Fortunato, dove sono i sentimenti e i rapporti umani a risaltare.
Sullo sfondo la meravigliosa terra di Sicilia, scenografia cristallizzata in un mondo di luci, sapori e colori.
“Ibla era una realtà a sé, lenta e ordinata, sonnacchiosa e bella. Troppo pigra dentro quei silenzi assordanti riempiti solo dal suono sobrio delle campane e poi d’un tratto troppo euforica avvolta da raggi di sole caldi e luminosi, pronti a sorprenderla bellissima e vanitosa.”
Costanza DiQuattro, fresca di nomina ai candidati al Premio Strega 2022, ha scritto una storia dalle sfumature antiche, permeata di una profonda delicatezza ma allo stesso tempo senza dimenticare l’aspetto più arcigno della Sicilia e dei siciliani. Amicizia, amore, rispetto, rimorsi e rimpianti compongono un caleidoscopio di suggestioni che tutti proviamo nel corso della nostra vita.
La scrittura evocativa dell’autrice, rafforzata dalle espressioni dialettali dei protagonisti, pur non sempre facili da interpretare per chi non conosce bene il siciliano, regala un’immersione completa nel contesto narrativo dal quale al termine della lettura si esce persuasi che spesso il destino ha un ruolo beffardo e oltremodo crudele.
Trama
Ibla, 1884. A Palazzo Chiaramonte, una notte di maggio porta con sé due nascite anziché una soltanto. Fortunato, abbandonato davanti al portone, e Giuditta, l’ultima fimmina di quattro sorelle. Figlia del marchese Romualdo, tutto silenzi, assenze e donne che non si contano più, e di sua moglie Ottavia, dall’aria patibolare e la flemma altera, è proprio lei a segnare l’inizio di questa storia. Lambendo cortili assolati e stanze in penombra, cucine vissute ed estati indolenti, ricette tramandate e passioni ostinate, il romanzo si spinge fin dove il secolo volge, quando i genitori invecchiano e le picciridde crescono. C’è chi va in sposa a un parente e chi a Gesù Cristo, ma c’è pure chi l’amore, di quello che soffia sui cuori giovani, lo troverà lì dov’è sempre stato: a casa.
Dopo Donnafugata, Costanza DiQuattro invita a sfogliare un nuovo album di famiglia, fatto di segreti inconfessabili, redenzioni agrodolci, e tanta, infinita dolcezza.