Recensione a cura di Roberto Orsi
“Mi occorreva conoscere il male fin dalla più tenera età per poter poi bramare il bene nella stagione più matura della mia vita”
Giuseppe Bresciani in questo romanzo ci racconta il viaggio di una vita. La vita del cavaliere Rodolfo Arnesen Distrig di Fionia, meglio conosciuto come il “Lupo del fiordo”. E lo fa con un escamotage narrativo interessante. Le memorie di Rodolfo sono state affidate ad Aroldo di Coventry, chierico e servo fedele del cavaliere per oltre trent’anni.
Aroldo ha il compito di consegnare questo racconto, trascritto su diciotto rotoli di pergamena, unitamente a un involto dal contenuto misterioso, all’abate Guglielmo di Eskil.
L’abate è una vecchia conoscenza del cavaliere Rodolfo, anche se loro strade si sono incrociate solo per un breve periodo in passato, in un momento molto delicato dell’esistenza del “Lupo del fiordo”.
Ma quel fugace contatto ha lasciato nel cuore di Rodolfo un segno particolare, indelebile. L’abate Guglielmo è stato fondamentale per la vita di Rodolfo e non può che essere lui il destinatario dell’ultimo lascito di un grande cavaliere.
Tra il prologo e l’epilogo troviamo diciotto capitoli che corrispondono ai rotoli di pergamena su cui il fido Aroldo ha trascritto le memorie di Rodolfo. L’intera vita del cavaliere viene raccontata in prima persona, attraverso le vicende che l’hanno visto protagonista, in un’ambientazione storica inusuale come la Danimarca medievale.
“Si va alla gloria mediante le battaglie, alla fortuna tramite i mercati e alla saggezza attraverso il deserto”
Un’infanzia difficile che mette Rodolfo davanti al male assoluto: il tradimento dello zio Frode nei confronti dei suoi genitori è una pugnalata improvvisa che Rodolfo deve sopportare senza possibilità di rivalsa. Privato della propria casa e dell’affetto della famiglia, il giovane Rodolfo è imprigionato in un monastero dal quale sembra non poter più uscire. Ma è proprio questo primo episodio di prigionia che lo tempra e ne forgia il carattere. Riuscito in qualche modo a scappare, trova la protezione del nobile Esbern con il quale crescerà diventando un abile cavaliere e combattente.
Con il cuore intriso di voglia di riscatto e il fuoco della vendetta che cova nell’animo, il giovane ragazzo si trasforma nel Lupo del fiordo. Il suo modo di combattere sui campi di battaglia della guerra civile per la corona di Danimarca stupisce per accanimento, ferocia e forza fisica.
Bresciani racconta un medioevo fatto di battaglie, assedi e lunghe marce nelle terre del nord. Combattimenti per il potere conteso tra le grandi casate del tempo, in una lotta intestina per riportare la stabilità e la pace.
Rodolfo si distingue nei combattimenti ma il destino avverso e una donna tanto astuta quanto perfida, lo costringono ad allontanarsi da corte perdendo l’onore e la rispettabilità.
Da qui si apre una nuova pagina del racconto. Il Lupo del fiordo da quel momento è costretto a fuggire e relegare sé stesso in un ruolo di secondo piano. Deve ricostruire la propria vita dal nulla e lo fa senza abbattersi, nemmeno per un minuto.
“Una spada può uccidere. Una lancia può trafiggere un occhio e rendere orbi. Ma il male più doloroso è quello che vulnera l’animo e lo mortifica… non c’è rimedio alla negazione di sé”
Eppure, nonostante i colpi inferti dal destino e dagli uomini, ciò che colpisce di questo personaggio è la sua fermezza, la capacità di ragionare sul passato ma guardando sempre avanti. La tenacia nel voler perseguire uno scopo, anche quando sembra che tutto sia andato perduto. Un messaggio importante e attuale. Un riflesso del passato, immutabile nei secoli, che costituisce un insegnamento importante per gli uomini di ogni epoca.
Un guerriero forgiato nella lotta e nella battaglia, che mette la spada al servizio del re, della verità e della giustizia: questo è Rodolfo Arnesen.
“Più che un segreto celavo un tormento che si nutriva del mio passato, del presente e persino del futuro”
Il romanzo, pubblicato da Leone Editore, ricostruisce un impianto storico non troppo battuto. Le vicende si svolgono tutte nel XII secolo e per la maggior parte nei territori del nord Europa, tra Danimarca, Sacro Romano Impero e penisola scandinava. La corona danese e la sua Storia, se escludiamo quanto scritto da un certo William Shakespeare ambientando l’Amleto qualche secolo dopo, non trovano grande risalto nei libri che conosciamo.
Giuseppe Bresciani racconta i fatti salienti di quegli anni con dovizia di particolari, mostrando una conoscenza molto approfondita e una buona padronanza nell’esporli. Non mancano i tanti, forse troppi, nomi di casate nordiche e dei loro esponenti che potrebbero risultare ostici a un lettore meno avvezzo alla storia. Un romanzo che nella seconda parte, complici un’ambientazione più conosciuta, un risvolto personale della vita di Rodolfo su cui si concentra la narrazione e le vicende legate alla terza crociata (1189-1192), assume un connotato probabilmente più familiare.
Al di là degli accadimenti storici, del susseguirsi di battaglie, tornei cavallereschi, crociate e assedi, la vita di Rodolfo narrata in prima persona dal protagonista diventa un espediente narrativo che permette di ragionare sui sentimenti che albergano nell’animo umano. Onore, rispetto, lealtà, ma anche vendetta, riscatto e rivalsa, sono alcuni degli ingredienti che compongono il mix di suggestioni proposto da questo romanzo storico.
“Ama la pace, tieniti stretta la pace, possiedi la pace”.
Trama
Amiens, Francia, 1193. L’abate Guglielmo di Eskill riceve una visita inaspettata. È Aroldo di Coventry, una vecchia conoscenza, appena tornato dalla Terrasanta. Aroldo porta con sé due doni per Guglielmo: un involto contenente qualcosa che lascia Guglielmo senza parole e diciotto rotoli di papiro, che narrano la vita del suo signore Rodolfo Arnesen Dristig, il terribile Lupo del fiordo. L’amicizia con Rodolfo risale a molti anni prima, in circostanze singolari, ma è da molto tempo che Guglielmo non ha sue notizie, e soprattutto non riesce a capacitarsi di come sia entrato in possesso di quell’involto. Si accinge così a leggere i rotoli per scoprirlo.
Nakkebølle, Danimarca, 1147. Rodolfo ha solo dieci anni quando il suo mondo va in pezzi. Il padre, partito per la Terrasanta, non fa più ritorno e il perfido zio Frode s’impadronisce della tenuta dei Dristig, esiliando la madre e rinchiudendo Rodolfo nel monastero di Esrum, alla mercé dei disumani monaci neri. Anni dopo, divenuto cavaliere, Rodolfo desidera soltanto una cosa: la vendetta. Non gli importa cosa dovrà fare per ottenerla, non gli importa quanto sangue si ritroverà sulle mani. Tuttavia, presto Rodolfo si renderà conto che, quando scendi a patti con il Male, il Male prima o poi esige la sua ricompensa. E solo il dolore per ciò che ha fatto, per ciò che è diventato, e per ciò che ha perso, può avere il potere di redimerlo.