Recensione a cura di Roberto Orsi
Giovanni Succi è un nome poco noto nel panorama storico internazionale. Ammetto di non averlo mai incontrato prima della lettura di questo libro di Enzo Fileno Carabba, edito da Ponte alle Grazie. Immergersi in questo saggio romanzato apre una porta su un mondo che non c’è più.
Per certi versi, a tratti sembra di entrare in una di quelle favole di un tempo, quei mondi fantastici che abbiamo imparato ad amare fin da piccoli con le avventure di Pinocchio. Un universo di saltimbanchi, acrobati, artisti di strada, soggetti particolari che hanno deciso di vivere fuori dagli schemi imposti dalla società.
Giovanni Succi, il digiunatore, era proprio uno di loro. Un personaggio che da “fenomeno da baraccone” si trasforma con il tempo in un artista vero e proprio.
“Si provi pure a spiegare a qualcuno l’arte del digiuno. A chi non la conosce è impossibile darne un’idea” F.Kafka, 1922
La citazione di Kafka all’inizio del romanzo è perfetta nella sua semplicità. Non si parla di pazzia, né di eccentricità: il digiuno in questo caso è un’arte. E il digiunatore è l’artista che si offre al pubblico. Non più un fenomeno da circo ma un soggetto che va oltre il pubblico ludibrio, e diventa oggetto di studio da parte dei più grandi medici del tempo.
Mi ha sorpreso leggere della vita di questo personaggio, figurarla come un’invenzione dell’autore e rendermi invece conto che quanto viene raccontato, pur in forma romanzata, corrisponde a realtà.
Giovanni Succi nasce nel 1850 in una famiglia agiata che lascia presagire un futuro tranquillo e benestante. Ma all’età di soli dodici anni una terribile sciagura si abbatte sulla famiglia Succi: il padre Nicola, titolare di un’impresa di trasporti marittimi, perde la vita nello Stretto di Messina nell’affondamento del veliero “Brich” insieme a tutto l’equipaggio. Appena due anni dopo, nel 1864, anche la madre si spegne prematuramente.
Giovanni Succi affronta alcune esperienze di vita che gli cambiano la vita. Ed è proprio durante uno dei suoi viaggi nel centro del continente africano che ha il primo impatto con il digiuno. Affetto da una malattia al fegato viene curato da uno sciamano di una tribù locale. Grazie all’assunzione di un misterioso elisir (la cui composizione rimase segreta per sempre) e al digiuno assoluto per diverse settimane, Succi riesce a guarire e intraprende una carriera incredibile quanto assurda, almeno per noi uomini moderni.
“Dopo il trentesimo giorno di assoluto digiuno, sarai assalito da tentazioni tanto forti verso la perfezione infinita che ti sarà difficilissimo frenare i tuoi nervi, e finirai per gettarti nello spazio e nel fuoco, prima che il tuo essere abbia raggiunto tanta purità da potersi librare nell’aria e resistere all’azione distruttrice del tempo e degli elementi”.
Al ritorno in Europa Succi inizia a esibirsi in taverne e luoghi pubblici. La gente paga il biglietto per guardarlo, lo fissano anche per ore, tornano nei giorni successivi per assistere alle sue performance. Addirittura, si formano dei comitati di controllo, in cui alcune persone appositamente selezionate devono assicurarsi che Giovanni non si nutra di nascosto e che il digiuno sia davvero assoluto.
Un fenomeno che davvero oggi fa pensare a qualcosa di ridicolo, ma che rapportato in un’epoca come quella della fine del XIX secolo, assume un connotato ben diverso. È il tempo della rivoluzione sociale e industriale. Dalla luce elettrica al telefono, dal frigorifero alla celluloide, il campo industriale è in pieno fermento. La ricerca scientifica e il progresso sembrano inarrestabili, il mondo sta cambiando volto per non tornare mai più indietro. Si entra nell’era moderna, e tutto ciò che è strano e nuovo incuriosisce la massa.
Anche se non è facile, se provassimo a metterci nei panni di un uomo o una donna del 1890 ci risulterebbe più facile comprendere la curiosità verso eventi del genere.
“Grazie al digiuno Giovanni Succi conobbe la bontà sovrumana. Questa esperienza fu così sconvolgente che cercò di replicarla per tutta la vita.”
Succi rappresenta l’uomo che supera i propri limiti. Attraverso il digiuno forzato e volontario, dimostra a tutti che la forza di volontà può piegare anche le leggi della natura. Si può dominare il proprio corpo e lo spirito e trascendere dal materiale.
Il digiunatore capisce presto che il suo può essere un esempio per molti, può avere un impatto mediatico e sociale di grande rilievo. E, come lui, lo capiscono anche diversi personaggi animati dall’aspetto economico che deriva dalle esibizioni.
Ben presto fioriscono gli emulatori, ciarlatani che con Succi avevano poco da spartire: personaggi che al termine del digiuno apparivano emaciati, debilitati. Giovanni Succi, al contrario, traeva forza dal digiuno, ne usciva rinvigorito.
“Aveva trent’anni e stava in una gabbia, senza mangiare, esposto al pubblico notte e giorno. Il tutto, in fondo, per guadagnare qualcosa alla fine del digiuno e dunque mangiare. Davvero insensato”.
Digiunare per mangiare. Un contrasto insensato, lo definisce l’autore. In effetti ha del grottesco, soprattutto in una fase iniziale. Ma poi, i digiuni di Succi diventano qualcosa di più. Personaggi del calibro di Sigmund Freud sono stati attratti da questo particolare personaggio e ne hanno voluto studiare le caratteristiche esaltandone le virtù.
Non mancano i momenti di riflessione nella narrazione della vita di questo artista: momenti di scoramento, difficoltà da affrontare in un trascorrere del tempo che sembra avere velocità diverse.
“C’è uno slancio di vitale, in questo tipo di uomini, talmente potente che un certo quantitativo di vitalità deborda da loro e nutre gli altri. Quindi in definitiva, che lo vogliano o no, danno al prossimo più di tante persone modeste”.
Lo stile di scrittura di Enzo Fileno Carabba è ironico, pungente e diretto. Ci racconta la vita di questo personaggio senza voler mai dare un giudizio, senza mai schierarsi apertamente.
Se all’inizio il racconto può sembrare fantastico, con elementi che ricordano quei soggetti cinematografici di una produzione di nicchia, procedendo nella lettura ci si ritrova immersi in un’epoca che non è più.
Se inizialmente si può storcere il naso per una storia che sembra avere dell’assurdo, alla fine si ha la sensazione che non sia poi così strana la vita del digiunatore. L’autore inquadra benissimo, a mio parere, il nocciolo fondamentale del libro: “Tutto questo può suscitare perplessità. Ma la nostra epoca non ha il diritto di giudicare le altre epoche, come invece fa.”
Si tratta di uno dei nodi principali di chi legge saggi e romanzi storici: molto spesso siamo portati a giudicare azioni e situazioni con la mentalità odierna, ma il mondo, e così l’uomo, negli ultimi secoli ha completamente stravolto la visione della vita. Non tutto ciò che valeva per gli uomini del passato, vale per noi oggi. La storia del digiunatore e di tutto lo spaccato sociale che si porta dietro ne è un insegnamento lampante.
Trama
Nato a metà Ottocento a Cesenatico Ponente, terra di mangiatori, Giovanni Succi si impone sulla scena del mondo come il più grande digiunatore di tutti i tempi. C’è qualcosa in lui di invulnerabile, che non si arrende neanche all’evidenza. Qualcosa che ha imparato ancora bambino dalle carovane dei circhi, quando scendevano dal Paradiso Terrestre verso la pianura romagnola. Alla saggezza errante dei saltimbanchi, Giovanni deve la sua gioia e la sua salvezza, l’urgenza di diventare quello che è: uno spirito sensibile, un leone indomabile, un profeta immortale. Guidato dall’utopia del socialismo e dal battito del suo cuore, veleggia libero come un elisir attraverso deserti e savane, cespugli e radure, nuvole e gabbie, e mette il suo digiuno al servizio dell’umanità. Coltivando in sé la sorgente di una speranza illimitata – riflessa in donne dai nomi armoniosi quali Ginevra, Gigliola, Guerranda -, segue il suo respiro per il mondo, dal Canale di Suez al manicomio della Lungara, dalle strade del Cairo e di Milano alle corsie della Salpêtrière. Incontra donne-belve e grandi esploratori, Sigmund Freud e Buffalo Bill, mentre l’Occidente sfocia nella modernità e perde per sempre l’innocenza. In questa biografia sentimentale, Carabba parte da una storia vera per trasfigurarla in un grande romanzo, che ci svela il valore del dubbio, le acrobazie dell’entusiasmo, la fierezza della semplicità. Perché è proprio lì, sul confine tra il pieno e il vuoto, dove la nebbia personale si dissolve nell’incontro con gli altri, che si nasconde la promessa dell’eternità.