Recensione a cura di Roberto Orsi
“Non è vergogna per uomini che abitano la stessa patria scendere a qualche concessione reciproca, Dori a Dori, Calcidesi a quelli dello stesso ceppo e, in complesso, tra genti vicine che abitano il medesimo suolo, lambito dal mare e distinto da un unico nome di popolo: Sicelioti. Stringiamoci compatti sempre a far barriera, se siamo ragionevoli, contro genti straniere che si avanzino con propositi aggressivi.
(Tucidide, La guerra del Peloponneso – IV 64)
Il romanzo di Angelo Pulvirenti si apre con una lunga citazione dal libro “La guerra del Peloponneso” di Tucidide che ripercorre il discorso di Ermocrate al congresso di Gela nel 424 a.C.
Una citazione che ricalca perfettamente lo spirito che si respira nella lettura di questo romanzo storico agli albori delle terre di Sicilia. La Trinacria, così chiamata per la caratteristica conformazione a triangolo e la presenza dei tre promontori che la contraddistinguono (Passero, Peloro e Lilibeo), è una terra crocevia di tante popolazioni nel corso dei secoli. Soprattutto per la sua posizione geografica, negli anni ha subito l’influenza di tante dominazioni: dai Romani agli Arabi, dai Normanni agli Spagnoli.
Nel V secolo a.C., il periodo di ambientazione del romanzo “Il Siceliota” l’isola è una colonia greca, con dominazioni di origine dorica e ionica, che nel tempo hanno sopraffatto le popolazioni indigene dei Sikeloi.
In questo contesto non semplice si muove la storia di Diomedes, giovane di origine Ellenica, figlio di un ricco proprietario terriero, commerciante di vino, olio e frumento, nonché membro dell’Assemblea cittadina di Katane. L’autore, attraverso la vita di Diomedes fin dall’infanzia e di tutti i personaggi che gli ruotano attorno, a partire dall’inseparabile amico Nendas, porta a compimento il suo progetto di raccontare una Sicilia colonizzata dai greci, alle origini di un popolo coriaceo che sarà sempre legato alla propria terra.
“Un uomo coscienzioso deve comprendere il valore della terra e l’animo di chi la lavora”
Diomedes, nel corso della sua vita, affronta diversi periodi storici in cui si intervallano dominazioni tiranniche a tentativi di Demokratia repubblicana, oligarchie in cui le classi sociali più abbienti governano la polis, passando attraverso la resistenza di un popolo indigeno, caratterizzato da un forte senso di appartenenza.
Il romanzo, che racconta di sanguinose battaglie, di assedi cruenti, di lunghe marce di eserciti e attacchi devastanti, visto da un piano superiore, si trasforma in una narrazione capace di delineare le dinamiche tra le diverse estrazioni, le classi sociali e le differenze culturali in atto nel periodo.
Si assiste alla formazione di un’identità di territorio, una uniformità di intenti che nel tempo si consoliderà nel popolo siciliano, con caratteristiche e peculiarità che ancora oggi vengono riconosciute. La grande attualità di questo romanzo è probabilmente in questo aspetto antropologico: alcuni passaggi e ragionamenti dei protagonisti spiccano per la specifica adattabilità al contesto odierno.
“Quanta dedizione, capacità ed esperienza nel lavoro del ciabattino, del muratore o del pescatore consentono a dei sandali di non disintegrarsi, a una casa di non crollare e alla rete di riempirsi di pesci? Non sono anch’esse una forma di forza? Perché una comunità non deve sfruttare le diverse capacità e conoscenze di chi la compone per crescere e prosperare? La diversità, mio caro amico, è una risorsa non un limite”
Diomedes, rigido nelle sue convinzioni e i precetti filosofici che gli hanno sempre imposto una continua ricerca della verità, di cosa fosse giusto e di cosa fosse sbagliato, attraversa varie fasi della vita: da giovane imberbe a grande campione dei giochi di Olympia, fino a condottiero di esercito. Risalta il suo carattere determinato, con principi e valori inossidabili di lealtà, rispetto e amicizia.
Il viaggio che Diomedes intraprende, il peregrinare tra le città dell’isola tra una battaglia e l’altra, diventa un viaggio alla ricerca di sé stesso e della propria posizione nella scala sociale.
Nendas, suo inseparabile amico fin dalla più tenera età, figlio di una schiava Sikeloi, indigeno, pragmatico, pratico e privo di inutili orpelli nei suoi ragionamenti, è un compagno fedele, l’amico sempre pronto a intervenire in caso di bisogno, anche nei momenti in cui lo scontro tra popolazione Hellenica e Sikeloi si inasprisce.
Particolari le due figure femminili che più di tutte avvicinano Diomedes: Sotiria, etera di Siracusa, ambigua e misteriosa donna dall’atteggiamento fuggente, e Asha, sorella di Arconide il principe di Erbita, di origine Sikeloi, futura moglie del protagonista.
“Dopo il matrimonio la mia vita cambiò inesorabilmente. L’esistenza convulsa degli anni precedenti lasciò il posto a una quotidianità ordinata, a tratti rilassante, come se un fiume impetuoso avesse finito di percorrere gli erti pendii costellati di stretti canaloni per abbandonarsi placido alle distese pianeggianti che conducevano al mare.”
La narrazione di Angelo Pulvirenti è chiara ma deve destreggiarsi in un contesto non facile da ricreare, molto lontano nel tempo e probabilmente poco battuto nei romanzi storici. Ne deriva una parziale, possibile, difficoltà da parte di un lettore meno esperto del periodo storico che affronta termini di origine greca, nomi di luoghi e persone in lingua antica, che possono rallentare la lettura. Il glossario al termine del libro con la spiegazione puntuale di tutte queste parole risulta un utile strumento per la comprensione complessiva.
Sullo sfondo della narrazione resta una terra magnifica, permeata di colori magici, di sensazioni idilliache, immutate e immutabili. La coscienza di un popolo che si forma, strato dopo strato, come il prodotto delle eruzioni vulcaniche che la grande madre Aitna, ha depositato nel corso dei secoli.
“Mi consola il pensiero che questo spettacolo si ripeterà nei millenni che verranno e, anche quando il ricordo delle nostre vite sarà sparito nelle nebbie del tempo, ci saranno altri uomini, figli di questa terra, che guarderanno il grande vulcano e si stupiranno nell’ammettere di amare quella montagna come se fosse la loro stessa madre”.
Trama
Sicilia V Sec. a.C.
Alle falde della grande madre Aitna si dipana il percorso esistenziale del giovane Diomedes di Katane in un quadro storico intricato e violento che vede la contrapposizione tra le póleis di origine Dorica e quelle di dinastia Ionica, tra tirannide e democrazia e tra Elleni e Siculi.
Il protagonista sarà chiamato a districarsi tra i doveri di fedeltà e appartenenza che lo legano alla sua città e al suo popolo, e la forza dei sentimenti che nutre verso gli amici e gli affetti più cari.
In questa complicata ricerca di una soluzione capace di superare le differenze etniche e sociali che attraversano la Sicilia e le genti che la abitano, Diomedes percepisce che l’unico elemento unificante è la stessa terra in cui tutti risiedono, rappresentata plasticamente dall’Etna. Solo lei sarà in grado di unire il destino delle moltitudini che vivono e vivranno alle sue pendici.