Antonio Forcellino è uno dei maggiori studiosi europei di arte rinascimentale. Ha realizzato restauri di opere di grande valore, come il Mosè di Michelangelo e l’Arco di Traiano. La sua attenzione si rivolge da sempre a tutta la ricchezza del fare arte, ai contesti storici, alle tecniche e ai materiali, alle radici psicologiche e biografiche dei grandi capolavori. È stato eletto membro del Comitato per le celebrazioni dei 500 anni della morte di Leonardo da Vinci, promosso dal Ministero per i beni e le attività culturali.
Oltre a essere uno scrittore molto conosciuto, Antonio Forcellino è un architetto e restauratore. Una vita dedicata alle opere d’arte e alla loro conservazione. Quali sono le emozioni che si provano in questo lavoro?
È un lavoro molto vicino alla pratica dell’arte perché il restauratore si inserisce nel percorso storico dell’opera d’arte e in qualche modo si ricongiunge con l’artista che l’ha creata secoli prima. Per questi motivi il restauro è molto di più e molto di meno di un lavoro, è una passione che regala quasi sempre grande felicità a chi lo pratica. La sensazione di aver contribuito alla sopravvivenza di opere d’arte straordinarie è una sensazione bellissima. D’altro canto l’opera d’arte ha una sua vita e si possono intrattenere con essa relazioni emotive molto profonde, né più né meno di quelle che si intrattengono con le persone.
Nella lunga carriera si è occupato, tra le altre cose, del restauro del “Mosè di Michelangelo”, un’opera iconica del Rinascimento italiano. Si deve a lei la scoperta della firma autografa di Michelangelo sulla statua della tomba di Giulio II. In cosa è consistito questo lavoro?
Il lavoro alla Tomba di Giulio II in San Pietro in Vincoli a Roma dove si trova la statua del Papa è stato un lavoro di pulitura dei marmi e di eliminazione di alcune superfetazioni che alteravano la struttura. Tecnicamente questo lavoro non è stato molto difficile ma il fatto è che quando si altera l’immagine di statue che sono venerate su tutto il pianeta come senza dubbio è la statua del Mosè, si sente una responsabilità quasi insostenibile perché ci si intromette in qualche modo tra Michelangelo Buonarroti e il pubblico che lo venera. Cambiare l’immagine di una icona universale può provocare disappunto delusione e dispiacere in milioni di persone quindi bisogna mantenere un equilibrio psicologico e trasformarlo in equilibrio visivo.
Per quanto riguarda la statua del Papa che un equivoco filologico aveva trasformata nella statua eseguita da un anonimo scalpellino, una volta asportato lo strato di sudicio che anneriva i marmi e che aveva uno spessore di qualche millimetro, sono emersi i segni di lavorazione tipici dello scalpello di Michelangelo che non utilizzava la raspa ma solo la gradina e il “dente di cane” fino alla superficie del marmo. Dopo la scoperta di questi segni che certificavano l’autografia del maestro abbiamo ricostruito la vicenda della statua attraverso i documenti e sono emerse prove certe del l’autografia di Michelangelo.
Quale opera l’ha più sorpresa tra quelle di cui si è occupato nella sua vita?
La Madonna Medici di Michelangelo Buonarroti. L’ho sempre considerata un’opera non finita e forse frettolosamente abbozzata. Sbagliavo. Durante la pulitura ho capito che Michelangelo si era spinto in una particolarissima sperimentazione sia per quanto riguarda la composizione, racchiusa in quel blocco/abbraccio di madre e figlio, che per quanto riguarda la luce, scolpendo via via i piani successivi con una diversa finitura superficiale in modo che la luce desse a questi piani un valore cromatico e visivo differente. Tra la schiena del bambino e il braccio di Maria si passa dalla lisciatura del marmo al semplice sbozzo con la piccozza, una varietà di superficie che restituisce un fremito vitale alla pietra.
Poi lo sguardo assente della Madonna mi è sembrato un modo sublime di restituire lo strazio di Maria per il destino del piccolo Gesù che la ricerca con la manina. Insomma, una scultura che mi sembrava poco pensata durante il restauro mi si è presentata come un’opera straordinariamente emozionante.
C’è un’opera al cui restauro vorrebbe lavorare?
Si. Il pulpito del Duomo di Siena di Nicola Pisano. Stavo per restaurarlo nel 2009, quando lavoravo all’Altare Piccolomini e alla Libreria Piccolomini, tutti monumenti appartenenti all’Opera del Duomo di Siena ma per ragioni che non ho mai compreso, mi fu preferita una persona più gradita al Soprintendente che doveva vigilare sulla buona conservazione. Quando sono tornato a vedere i risultati mi sono molto dispiaciuto, il lavoro dal mio punto di vista di conoscitore ed esperto di scultura, non era fatto per niente bene e Nicola Pisano ne usciva mortificato. Mi piacerebbe molto mettere le mani su quello che considero uno dei capolavori della scultura italiana. Sperando che il sistema della tutela in Italia diventi più trasparente.
Storia, arte e invenzione narrativa: come coniuga tutto ciò?
Sostanzialmente la scrittura è diventato uno strumento di terapia per la passione maniacale che nutro per l’arte e di condivisione delle emozioni che mi procura. Ho sempre scritto naturalmente di arte ma in termini scientifici, poi ho sentito il bisogno di un racconto più realistico che non si fermasse alle ipotesi suffragate dai documenti in maniera fredda, ma che provasse a raccontare anche la vita degli artisti e il contesto nel quale operavano. Senza questo racconto, l’arte rimane muta, un puro gioco di immagini nelle quali non scorre il sangue e la passione che invece gli artisti ebbero nel produrle.
La sua quadrilogia di romanzi sul Rinascimento si è appena completata con la nuova uscita “Il papa venuto dall’Inferno”. Dopo Leonardo, Michelangelo e Raffaello, è il turno di Tiziano. Chi ritiene possa definirsi il più grande tra questi?
Per motivi diversi Michelangelo e Leonardo sono davvero personalità eccezionali nel senso che hanno costruito una vita del tutto indifferente a quella degli altri uomini del loro tempo. La loro esistenza è interamente fondata sulla loro ricerca artistica. Leonardo è preso dal fascino della natura e della luce, Michelangelo è sedotto dalla potenza del corpo maschile, ma entrambi sono convinti che la loro vita dovesse identificarsi pienamente nella loro ricerca.
Per Raffaello e Tiziano è diverso, sono due talenti anch’essi sovrumani ma non raggiungono le vette dei primi due perché la vita li distrae. Raffaello è stato schiavo dell’amore e forse è morto troppo giovane e in qualche modo Tiziano è stato schiavo delle necessità pratiche della Vita, il figlio scioperato, il mantenimento della casa etc.
Ma non farei mai dei paragoni tra i quattro, capisco che attraggono sensibilità diverse.
C’è mai stato un momento in cui l’invenzione ha preso il sopravvento sulla realtà storica e da cui, poi, è tornato indietro modificando quel passo?
No. Il mio processo creativo è molto legato alla realtà. Sono profondamente suggestionato dai documenti, una traccia scritta in un testamento, un accenno in una lettera, perfino la stipula di un contratto economico scatenano la mia fantasia che dunque segue sempre binari realistici o almeno binari tracciati originariamente dalla realtà e successivamente abbandonati. Solo nella descrizione della morte di Leonardo credo di essermi lasciato trasportare un po’ troppo dall’emozione. Però poi mi sono accorto andando in giro a presentare il libro che quella scena era forse la più amata di tutto il volume, quindi ho pensato che a volte lasciarsi trasportare dall’emozione è un giusto modo per condividerla con i lettori.
Ringraziamo il Prof. Antonio Forcellino per essere stato con noi e di seguito ricordiamo i romanzi sul Rinascimento che compongono la serie de “Il secolo dei giganti”.
15 aprile 1452. In un piccolo borgo fuori Firenze nasce il figlio illegittimo di Ser Piero da Vinci: Leonardo. Figlio dello stupro di una giovane contadina, non viene riconosciuto dal padre, ma cresce con i nonni e lo zio paterni. Leonardo è un bambino precoce, curioso e geniale. Appena adolescente diventa allievo di bottega di Andrea del Verrocchio, il più grande esperto di arte fusoria della splendente Repubblica fiorentina. Ed è qui che la sua vita e la sua arte si intrecciano e diventano parte della politica e delle lotte di potere tra Firenze e Roma, tra i Medici, i Della Rovere e i Borgia. E mentre nelle botteghe si creano i più grandi capolavori del Rinascimento e nel contempo si studiano armi innovative in grado di contrastare l’invasione turca, ai mecenati diventa sempre più chiaro il potere di propaganda nascosto nelle opere d’arte. Fra loro non ci sono solo uomini, ma anche donne straordinarie che, non più relegate nella spiritualità medievale, diventano protagoniste. Consapevoli del loro potere seduttivo, profondamente intelligenti e colte, Giulia Farnese, Isabella d’Este e Lucrezia Borgia travalicano i limiti del ruolo in cui erano state costrette per imporsi sulla scena politica e intellettuale del secolo. Fra delitti, ambizioni feroci, complotti efferati e passioni proibite, “Il cavallo di bronzo”, primo capitolo della trilogia “Il secolo dei giganti”, ci trasporta nelle botteghe degli artisti, nelle alcove dei potenti e svela i segreti delle più indimenticabili opere d’arte. Una saga sulla più stravolgente, appassionante, sublime epoca della Storia italiana: il Rinascimento.
Firenze, inverno dell’anno di grazia 1500. Un enorme blocco di marmo giace immobile da quasi mezzo secolo. Un uomo lo osserva in silenzio, poi ci gira attorno, liberandolo dai rovi che lo ricoprono: è Michelangelo Buonarroti. Dopo quattro anni passati a Roma per servire i più potenti cardinali della Chiesa, ora è tornato a Firenze ammantato di gloria. La Repubblica fiorentina ha bisogno di lui per difendersi dalle mire di Cesare Borgia, pronto alla conquista rapida e spregiudicata di un intero regno. L’imperativo è radunare un esercito di volontari, ma le casse della città sono vuote e Niccolò Machiavelli, l’illuminato segretario della Repubblica fiorentina, lo sa bene. Ma c’è un mezzo di propaganda più persuasivo del denaro: l’arte, e nessuno come Michelangelo plasma la materia per tirarne fuori la vita. Da quella maestosa massa informe, Michelangelo dovrà estrarre una statua raffigurante il giovane David che si appresta a combattere contro Golia, da innalzare nella piazza della Signoria per convincere i cittadini che insieme il nemico si può sconfiggere e che Firenze rimarrà indomabile e fiera come il giovane eroe di marmo. Firenze non è l’unico teatro di scontri. L’Italia tutta è appesa a un fi lo, e i principi d’Europa si preparano a giocare la partita della propria vita: Ludovico il Moro, il sultano Bajazet, Luigi XII sono determinati ad accaparrarsi una parte della penisola e a stravolgere per sempre le vecchie gerarchie del potere. Dopo “Il Cavallo di bronzo”, primo capitolo della saga “Il secolo dei giganti”, lo storico dell’arte Antonio Forcellino torna a raccontarci le vicende di uno dei periodi più travolgenti e sublimi della storia italiana: il Rinascimento. Tra guerre feroci, complotti efferati, festini sontuosi e passioni proibite, “Il colosso di marmo”, secondo romanzo della trilogia, ci porta nelle botteghe degli artisti e nelle alcove dei potenti, e ci svela i segreti di alcune tra le opere d’arte più indimenticabili di sempre.
Febbraio 1519. La brezza mattutina sparge il suo soffio su Roma, avvolgendola in un’atmosfera incantata. Raffaello Sanzio passeggia assorto per via Giulia, lungo l’argine del Tevere, lasciandosi ispirare dai colori che si riflettono nell’acqua e nel cielo, che gli pare una tela color lapislazzuli, arricchita solo da una punta di viola. Agostino Chigi, il banchiere più ricco della città, lo ha convocato al suo servizio per dipingere la loggia di villa Farnesina, un palazzo sontuoso nel cuore di Trastevere, frequentato dai più noti artisti e intellettuali che vivono nell’Urbe. Proprio sotto la loggia si svolgerà presto il matrimonio tra Agostino e Francesca Ordeaschi, la bellissima cortigiana che è riuscita a conquistare il suo cuore e un posto d’onore tra gli scranni del potere.
Ma la fantasia di Raffaello non è occupata soltanto dall’arte: è facile perdersi nei gorghi della passione, nella festa continua che si svolge tra i vicoli semibui e i palazzi nobiliari di Roma, e lui non è certo immune dal fascino delle donne che animano la città: Giulia Farnese, Felicia della Rovere, Vittoria Colonna, che tessono con grazia e abilità gli intrighi del tempo. Non sono loro però ad aver acceso il desiderio di Raffaello, ma un’umile e sensuale fanciulla, fi glia di un fornaio di Trastevere. È lei la Fornarina, ritratta seminuda e lasciva in una tavola che sdegna e accende d’ira i prelati della Santa Sede.
E la passione infiamma non solo Roma; dilaga oltre i confini d’Italia e divampa attraverso l’Europa fino all’Impero Ottomano: Enrico VIII, Francesco I, il sultano Solimano I e Carlo d’Asburgo si contendono, tra scandali politici, intrighi sessuali e guerre di religione, la cupola del potere del mondo allora conosciuto.
Con Il fermaglio di perla, terzo capitolo della saga Il secolo dei giganti, Antonio Forcellino, tra i maggiori studiosi di arte rinascimentale in Europa, ci regala un affresco indimenticabile di uno dei periodi più affascinanti di sempre: il Rinascimento. Oltre vent’anni di storia raccontati con passione e maestria, tra le città incendiate dalle battaglie e dagli scandali, e meravigliosamente ornate dalle più belle opere d’arte di sempre, che continuano ancora oggi a incantarci.
È l’anno del Signore 1550. L’Europa è ancora percorsa da venti di guerra. Il lungo scontro tra Spagna e Francia, durato decenni, non si è ancora concluso. Il luteranesimo e le altre confessioni protestanti infiammano gli animi del Nord Europa e dell’Inghilterra. E la minaccia dei Turchi, che hanno già conquistato tutto l’Oriente, è più viva che mai. A Roma è stato eletto un nuovo papa, Giulio III, inerte, creta nelle mani dei Farnese. A Istanbul, la nuova capitale turca, Solimano avverte la stanchezza degli anni, ed è caduto sotto la malia di Roxelane, la sua bellissima concubina. Ma anche a Roma le grandi famiglie tremano, lo sfarzo della bellezza e del potere è minacciato da costumi sempre più corrotti, dall’impudenza dei giovani. Ma, nonostante la decadenza che sembra attenderli, i patrizi non rinunciano al loro amore per l’arte, mentre brilla sempre di più la stella di un grande pittore veneto: Tiziano Vecellio. Forcellino, il più grande restauratore italiano e maestro del romanzo storico, torna a raccontare il “secolo dei giganti”, con la sua arte meravigliosa, i suoi intrighi, le sue passioni e le sue donne eccezionali: dalla perfida Roxelane a Eleonora e Giulia Gonzaga, o Vittoria Farnese.