Recensione a cura di Roberto Orsi
Giovanna di Castiglia, follia e tradimento. Questo il sottotitolo del romanzo di Adriana Assini “Le rose di Cordova” pubblicato in una nuova edizione dalla casa editrice Scrittura & Scritture.
La biografia romanzata di Juana, figlia di Isabella d’Aragona e Fernando di Castiglia, ripercorre le tappe salienti di una esistenza travagliata, vissuta con le fiamme dentro, l’ardore di un animo vivo, ribelle, passionale ed estremamente acuto.
Le vicende vengono raccontate dalla sua dama di compagnia Francisca, una moresca il cui vero nome è Nura, additata per buona parte della vita come infedele e miscredente, voluta da Juana al proprio fianco come ancella dopo la conquista di Granada da parte dei “Re Cattolici”, come venivano definiti Isabella e Fernando.
“Per lei provavo un sentimento doppio, che all’affetto alternava il rancore più profondo, a seconda dell’umore e delle circostanze. Mi ripugnava, infatti, che fosse la figlia dei miei odiati carcerieri, ma, nel contempo, non potevo che esserle riconoscente per avermi risparmiata da ben più miserabile ventura”.
Il lettore si affaccia a una finestra dalla quale può osservare l’evoluzione di un personaggio dalla vita non facile. Una vita che la vede spostarsi a più riprese in terre così diverse tra loro: da una parte la cattolica Spagna, sua terra natìa, guidata dalla regina madre che ha fatto della rigidità, compostezza e osservanza dei precetti cristiani un baluardo della propria egemonia; dall’altra le Fiandre, regno dell’uomo a cui Juana viene destinata in sposa, Philippe d’Asburgo, detto il Bello per la sua grande avvenenza, in cui non si lesinano feste sfarzose, ricevimenti e tripudi di ostentata ricchezza.
Philippe diventa subito un’ossessione per Giovanna, la quale non accetta di rimanere al suo posto e sopportare gli atteggiamenti di un marito libertino, contornato da splendidi dame di corte e non solo.
Giovanna sembra non riuscire mai a spiccare il volo definitivamente. Qualcosa tende sempre a soffocarne le virtù e le capacità. Un’erede al trono che in realtà non governerà mai sul serio, nemmeno per un giorno.
Un carattere turbolento, nata da un’unione particolare, da genitori per cui rappresenterà molto spesso un problema da trasformare in opportunità per il regno. Il matrimonio combinato con Philippe il Bello è una mossa che accende il fermento politico di un’Europa rinascimentale in cui le grandi potenze di Francia, Spagna e Impero Asburgico lottano per il dominio del vecchio continente, in attesa di rivolgere le proprie mire verso quel Nuovo Mondo sempre più ambito e desiderato.
Uno scacchiere politico frammentato, sconquassato dal pensiero anticonformista di Lutero che di lì a poco porterà alla riforma protestante, in cui Giovanna deve muoversi con cautela per non essere calpestata dagli uomini di potere.
“Se è tempo di delizie, io ne approfitto poiché lo stesso uomo che si sveglia al mattino, forse non arriverà fino a sera”.
Dai primi anni di infanzia fino all’età matura, passando attraverso le fasi di una vita matrimoniale convulsa, Juana affronta una parabola discendente che la porta a comportamenti inspiegabili agli occhi degli altri. Gli eventi della vita, mai troppo magnanima nei suoi confronti, la spingono in una degenerazione che la porterà a essere etichettata come “Giovanna la Pazza”. Momenti di aggressività e rancore nei confronti del marito, si alternano a slanci di dolcezza e comprensione.
Con Nura, l’io narrante serva di Giovanna, il rapporto non sfocia mai nella confidenza che ci si aspetterebbe tra due amiche. Sembra esserci qualcosa che lo blocchi, un filtro tra le due donne che non riesce a eliminare le differenze di origine, razza e religione. Eppure, Nura è colei che più di tutte si avvicina a comprendere la vera natura della principessa. Il loro rapporto assume grande importanza nell’economia del romanzo, perché leggiamo negli occhi di Giovanna attraverso la bocca di Nura.
“Sì, a conti fatti, li amavo entrambi ed entrambi li detestavo: creature lontane, esseri incerti dai giorni informi e le emozioni forti, capaci di scatenare con la stessa facilità sia i desideri più bollenti che le più indomite tempeste.”
Adriana Assini ancora una volta, se ce ne fosse stato bisogno, conferma l’innata capacità evocativa della sua scrittura. Una predisposizione naturale al racconto storico, che rivive tra le pagine dei suoi romanzi in modo preciso, con una prosa limpida senza esagerazioni o storpiature. Nei suoi testi risalta l’abilità di porre al centro dell’attenzione i personaggi, uomini e donne, figli del loro tempo e della condizione di vita sociale. Gli avvenimenti di macro-storia ci sono, fanno da corollario e, molto spesso, da causa scatenante per azioni e reazioni tramite le quali impariamo a conoscere meglio le dinamiche del tempo.
“Nei vostri occhi scuri brillano le luci della notte e, a ben guardarli, raccontano storie assai profonde. Sono spiragli aperti sulle inquietudini dell’animo che vedono soltanto in pochi.”
I sentimenti emergono in primo piano: quelli buoni come quelli cattivi, le gioie come le angosce e i patimenti, in un vortice che aumenta di intensità fino alle scene più toccanti in cui, forse, ogni lettore rivede le fasi della propria vita.
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Trama
Venuta al mondo in una fredda notte autunnale, sotto l’influenza di Plutone, Juana si rivelò presto una spina nel fianco dei suoi illustri genitori, i Re Cattolici. Intelligente, umorale, ribelle, la terzogenita di Isabel e di Fernando non era destinata al trono, ma a un matrimonio combinato. Fortuna volle che, per ragion di Stato, la scelta del suo promesso sposo ricadde sul giovanissimo Philippe d’Asburgo, il più bel principe d’Europa. Approdata alle corti fiamminghe dominate dai lussi e dalle feste, la castigliana dal cuore triste e la lingua tagliente cambiò pelle: conosciuto l’amore, quello ardente, s’abbandonò all’illusione che tutto potesse durare per sempre. Finché una sorte imprevedibile e volubile non sbaragliò ogni calcolo e previsione, facendola ritrovare legittima erede al trono di Castiglia e d’Aragona. Sembrava un dono… A narrare le vicissitudini di colei che, a torto, la Storia ricorda come la regina Pazza, è la voce potente di Nura, tra le sue schiave moresche, la preferita.