Il 27 novembre del 43 a.C. entrò in vigore la Lex Titia che sancì quello che è definito il II triumvirato.
Si trattava di una magistratura di durata quinquennale per la riorganizzazione dello stato che prevedeva una divisione di competenze, forze armate e territori, tra i triumviri. Perché si arrivò alla necessità di questa magistratura? E soprattutto chi furono i tre triumviri? Per scoprirlo, dobbiamo fare un passo indietro e tornare alle Idi di marzo del 44 a.C.
Dopo l’uccisione di Giulio Cesare, Roma era nel caos. I congiurati incerti sulle strategie da adottare dimostrarono di non avere un programma politico né tantomeno la lungimiranza di eliminare i rappresentanti di spicco del partito cesariano, Marco Emilio Lepido e Marco Antonio. In particolare quest’ultimo impose al Senato, una politica di compromesso che prevedeva da un lato l’amnistia per i cesaricidi e dall’altro la convalida degli atti del defunto dittatore e il consenso ai funerali di Stato.
Marco Antonio inoltre pilotò il sentimento popolare durante le esequie di Cesare, tanto che i congiurati fuggirono da Roma. Il possesso dei documenti del dittatore permise a Marco Antonio di portare avanti dei progetti di legge che gli diedero grande popolarità e lo identificarono come l’unico erede della politica di Cesare. Tuttavia alla lettura del testamento del defunto, un terzo personaggio comparve sulla scena politica. Cesare era morto, infatti, senza lasciare un figlio maschio e aveva quindi adottato e nominato erede per buona parte del suo patrimonio, Caio Ottavio, un pronipote all’epoca di diciannove anni. Ritornato a Roma da Apollonia dove si trovava per completare gli studi e seguire poi il prozio nella campagna contro i parti, Caio Ottavio, reclamò ufficialmente la sua eredità, sia quella materiale sia quella spirituale. Nonostante l’ostruzionismo di Antonio, Caio Ottavio entrato in possesso dell’eredità, onorò i lasciti previsti dal testamento e sottolineò come punto fermo del suo impegno politico, la celebrazione della memoria del prozio e la vendetta, ottenendo così, l’appoggio non solo di una parte dei cesariani e dei veterani, ma anche una parte del Senato che intravide nel giovane un modo per limitare il potere di Marco Antonio.
Quest’ultimo, infatti, al termine del suo mandato come console, aveva cercato di farsi assegnare dai comizi, per cinque anni, le provincie della Gallia Cisalpina e Comata, al posto della Macedonia con la possibilità di trasferirvi anche le legioni macedoni. Quando Antonio mosse verso la Gallia Cisalpina, Decimo Bruto, il legittimo governatore, si rifiutò di cederla, rinchiudendosi a Modena. Antonio per tutta risposta mise sotto assedio la cittadina. Mentre Cicerone attaccava Antonio per la sua condotta e tesseva gli elogi di Ottaviano, il Senato ordinò ai consoli, Aulo Irzio e Caio Vibio Pansa, di muovere in soccorso di Decimo Bruto. Caio Ottavio ottenne dal Senato un comando propretorio mettendo a disposizione il suo esercito personale.
Sconfitto vicino a Modena, Antonio si ritirò verso la Gallia Narbonense, dove voleva riunire le sue forze con quelle di Lepido. Per le ferite riportate durante la battaglia, i due consoli, Irzio e Pansa, morirono e Caio Ottavio chiese al Senato sia di essere eletto console sia ricompense per i suoi soldati.
Il Senato rifiutò la carica e Caio Ottavio marciò su Roma ottenendo il consolato nell’agosto del 43 a.C. Con un inasprimento delle posizioni, Caio Ottavio e il suo collega Quinto Pedio, peraltro suo cugino e coerede, istituirono un tribunale per perseguire gli assassini di Cesare, facendoli dichiarare nemici della patria. Caio Ottavio inoltre fece ufficializzare la sua adozione dai comizi curiati, e dal quel momento si fece chiamare Caio Giulio Cesare.
Bruto e Cassio si erano attribuiti nel frattempo il governo della Macedonia e della Siria, controllando in questo modo tutto l’Oriente; Marco Antonio si era riunito con Marco Emilio Lepido, attirando dalla loro parte altri governatori della Gallia e della Spagna, ma per ottenere il controllo di tutto l’Occidente era necessario che si trovasse un accordo, un triplice accordo tra i tre capi del partito cesariano. Nonostante le diffidenze e dopo lunghe trattative, i tre s’incontrarono vicino a Bologna, sull’isolotto di un torrente, il Lavinio. Disarmati ma sotto la stretta sorveglianza delle rispettive legioni schierate armate sulle sponde opposte, Ottaviano, Antonio e Lepido, nel mese di novembre ,raggiunsero l’accordo: avrebbero ricoperto una magistratura straordinaria con il compito di elaborare una nuova costituzione per lo stato romano: triumviri Rei publicae constituendae.
Nasce così il secondo triumvirato che imita il primo intercorso tra Cesare, Pompeo e Crasso, pur differenziandosene poiché non si tratta di un accordo privato, ma di una magistratura ufficiale della Repubblica. A Roma, il 27 novembre del 43 a.C., la legge Tizia ratifica l’accordo concedendo ai triumviri, il potere di convocare il Senato e il popolo, promulgare editti e designare i candidati alle magistrature dettare leggi, imporre tributi, arruolare truppe, liberi da ingerenze del Senato e dei tribuni della plebe. Per cinque anni il governo delle provincie è spartito: Antonio avrebbe mantenuto il governatorato delle Gallie, Lepido quello della Spagna e a Ottaviano l’Africa, la Sicilia, la Sardegna e la Corsica. Ripristinate le liste di proscrizione, con i nomi dei cesaricidi e dei nemici dei triumviri, moltissimi senatori e cavalieri furono uccisi e i loro beni confiscati, una delle vittime più note fu Cicerone. A questo punto, i triumviri potevano rivolgere le loro armi contro gli assassini di Cesare, Bruto e Cassio. Lo scontro con loro avvenne nell’ottobre dell’anno a seguente a Filippi, quello tra i triumviri era solo procrastinato.