“Non sono né vivo né sano, né morto né malato:
allora soltanto comincerò a vivere e a star bene,
quando troverò l’uscita di questo labirinto.
A tal fine tutto son rivolto, a questo mi adopro.”
“Le Epistole” di Francesco Petrarca, una raccolta di lettere in prosa latina, che ne annovera oltre cinquecento: la cura dedicata a tale corpus dall’autore ne fanno un esempio a cui le menti colte mireranno dall’Umanesimo in poi.
L’epistola era un componimento in forma di lettera che veniva inviata ad un amico o all’amato bene: espressa in un linguaggio sublime e ispirato.
Era un genere letterario, anticamente molto usato, essendo l’unico modo per gli scambi non soltanto amorosi, ma anche commerciali per i quali vigeva un’apposita dottrina che ne dettava le norme e i modi.
Fu praticato fino alla fine dell’Ottocento ed è sopravvisuto fino alla rivoluzione dei nuovi sistemi di comunicazioni.
Queste missive, spesso, venivano indirizzate ai posteri o a un personaggio ipotetico. Scherzando su una lettera lunga e noiosa si usava dire: non mi hai scritto una lettera, ma un’epistola.
Il carme dei Sepolcri fu scritto da Ugo Foscolo sotto forma di epistola.
Componimenti ispirati dall’editto di Saint Cloud, emanato da Napoleone nel giugno 1804 ed esteso al Regno d’Italia solo nel 1806, sull’ordinamento delle competenze sepolcrali con il quale Napoleone stabilì che le tombe dovevano essere collocate fuori le mura cittadine, in luoghi soleggiati e arieggiati.
Foscolo non è innovativo riguardo al tema sepolcrale trattato già dai poeti preromantici inglesi; l’innovazione sta nel fatto che l’autore mette nell’opera i principali temi della sua poetica.
La testimonianza di una storia sentimentale appassionata ce l’hanno lasciata due grandi poeti, destinata a restare viva nella memoria.
Siamo nel 1926. Lui è Rainer Maria Rilke praghese, lei è Marina Cvetaeva, russa.
Il breve, ma ricco scambio di lettere, fiorito tra i due appiana qualsiasi traccia intellettuale e restituisce allo stesso tempo alla vetta della letteratura quello che doveva rimanere documento privato, facendone una gemma preziosa che si è annidata tra autografi e castelli di carta.
In esilio entrambi, entrano in comunicazione grazie a un altro importante nome, Boris Pasternak.
Lei scrive le sue lettere da Parigi, la città in cui il destino la confina, apprende il linguaggio muto dei venti e delle stagioni.
I due poeti non si incontreranno mai, mai potranno mettere alla prova degli sguardi affini il legame che li unisce: il miracolo si compie sull’unico terreno dove una poetessa , tigre di natura e allo stesso tempo di invincibile sensibilità: la letteratura.
Epistolari scambiati tra personaggi famosi se ne possono citare un’infinità.
Appassionato e ricco l’epistolario che hanno lasciato Dino Campana e Sibilla Aleramo.
Un epistolario lunghissimo: nonostante parole dolci e delicate il loro rapporto fu tormentato e sofferto, fu una passione furibonda; lei viveva con intensità ogni momento della loro esistenza, lui di carattere introverso sin da giovane aveva dato i primi segni di follia.
Celebri sono quelli tra Leopardi e il padre Monaldo, Gabriele D’Annunzio e Eleonora Duse, ma fra tutti il più struggente è stato quello composto da sette, lunghe lettere, tra Abelardo e Eloisa, nel quale raccontano la loro tragica storia d’amore.
Al loro incontro contribuì lo zio mateno di Eloisa che assunse Abelardo come precettore della nipote. La loro è la storia d’amore per eccellenza.
Con il loro epistolario scritto in latino, ci accompagnanonella Francia dei primi decenni del XII secolo.
“ Eloisa aveva tutto ciò che più seduce gli amanti. Col pretesto delle lezioni ci abbandonammo completamente all’amore…”
La profonda sensibilità di Eloisa in queste lettere e così moderna da indurre gli studiosi a ritenerle non autentiche, ma gli esperti degli ultimi decenni hanno ridato veridicità all’amoroso carteggio.
All’epoca non tutti gli innamoramenti avvenivano ai tavoli dei caffè, tra tailleur classici ed eleganti e cappelli con velette, rendendo protagoniste le città storiche europee. Ve ne sono altri, più rari, ma non meno potenti che viaggiano su frequenze invisibili, scorrono tra correnti sotterranee e misteriose conferiscono al sentimento il marchio della distanza.
Così Rainer Maria scrive a Marina: “…tu sei già segnata, Marina, nella carta del mio intimo: in qualche posto tra Mosca e Toledo ho fatto spazio perché il Tuo oceano vi irrompesse.”
Per secoli, la lettera, è stata una insostituibile fonte di prove documentate a testimonianza degli avvenimenti del passato. Questi preziosi carteggi sono stati e sono il sale della letteratura mondiale.
La distanza che separava i corrispondenti e il tempo che impiegavano le missive ad arrivare favorivano la concentrazione che dilatava i pensieri e li elaborava; gli amori, gli odi, le collere, venivano filtrati dal tempo.
Il progresso ha fatto nascere nuovi tessuti sociali attraverso i quali si sono modificati i contatti, ma senza farci perdere il piacere di comunicare.
C’è ancora chi ama la lettera scritta; la nostalgia, sovente, si affaccia alla finestra della mente e rimpiange il tempo di quand’era bello (?) l’epistolario. Altri tempi, altre realtà.
Secondo gli esperti l’aggettivo “epistolare” si può adattare anche alla scrittura telematica visto che, sentimentalmente, il fine è identico.
In qualunque modo ci esprimiamo siamo “figli” delle parole.
Vita quotidiana, segreti, passioni, incontri, amori: l’epistolario è stato il protagonista, per secoli, di stagioni memorabili che ha tramandato ritratti dal vero fissati attraverso le emozioni dei protagonisti.
L’epistolario, sia cartaceo, sia informatico, resta ancora un’importantissimo punto d’incontro: uno snodo che ramifica continuamente accorciando le distanze; con la differenza che, invece di fissare sulla carta i sentimenti di chi scrive, li dirama nell’etere.
Raffaelina Di Palma