Nella notte tra il 13 e 14 settembre 1321, esattamente 700 anni fa, moriva Dante Alighieri. Il Sommo Poeta, l’inventore della lingua italiana, autore di una delle opere più studiate in tutto il mondo: la Divina Commedia.
Per celebrare questo grandissimo personaggio in questi giorni Thriller Storici e Dintorni proporrà ai propri lettori alcuni articoli, recensioni e interviste a lui dedicate.
Iniziamo con una carrellata di libri che lo riguardano.
Nel settimo centenario della morte è oltremodo necessario ripercorrere il cammino intellettuale e culturale del più grande poeta della nostra letteratura, analizzare le caratteristiche della sua Opera, interpretarne i contenuti, coglierne le infinite sfumature. Questo libro, riccamente illustrato, è frutto di sinergie e passioni: accademici e ricercatori, docenti e illustratori, narratori e artisti hanno prestato la propria penna alla celebrazione di Dante, indagandone gli aspetti più significativi e curiosi, stimandone l’eredità che ha lasciato al mondo; dalla filologia alla storia, dalle arti figurative alle interpretazioni eterodosse, dalla ricezione della Commedia nei Paesi orientali ai campi di studio più particolari e inaspettati: la gastronomia, il fumetto, la parodia, i videogiochi. In queste pagine rivive la personalità umana e letteraria di Dante: riscoprirla, nel XXI secolo, è dovere dell’Occidente (e non solo).
Dante è l’uomo su cui, per la fama che lo accompagnava già in vita, sappiamo forse più cose che su qualunque altro uomo di quell’epoca, e che ci ha lasciato la sua testimonianza personale su cosa significava, allora, essere un giovane uomo innamorato o cosa si provava quando si saliva a cavallo per andare in battaglia.
Nell’estate del 1940, un ragazzo di undici anni ascoltò il padre che leggeva e spiegava ai fratelli maggiori l’Inferno di Dante; le due estati seguenti toccò a Purgatorio e Paradiso. “Le cicale concertavano nel fico, il fumo della Macedonia di mio padre sbandava rampicando per l’aria, le nostre motosiluranti solcavano invitte il golfo della Sirte, e io, praticamente, non capivo nulla.” Mezzo secolo più tardi proprio quel ragazzo, Vittorio Sermonti, avrebbe letto e spiegato Dante ai microfoni della radio e in più di cinquecento letture pubbliche. Così è nato questo “racconto-commento” della Divina Commedia, che si poneva un obbiettivo solo apparentemente modesto: “consentire a un qualunque italiano dotato di cultura media, intelligenza e un po’ di passione di percorrere il più gran libro scritto in italiano senza interrompere continuamente l’avventura per approvvigionarsi di notizie, delucidazioni e varianti nei battiscopa di note, che spesso rasentano il soffitto della pagina”. È un obbiettivo in realtà ambiziosissimo, e per raggiungerlo era necessaria la prosa insieme raffinata e colloquiale, accurata e ironica di Sermonti. Supervisione di Gianfranco Contini.
Dante è il poeta che inventò l’Italia. Non ci ha dato soltanto una lingua; ci ha dato soprattutto un’idea di noi stessi e del nostro Paese: il «bel Paese» dove si dice «sì». Una terra unita dalla cultura e dalla bellezza, destinata a un ruolo universale: perché raccoglie l’eredità dell’Impero romano e del mondo classico; ed è la culla della cristianità e dell’umanesimo. L’Italia non nasce da una guerra o dalla diplomazia; nasce dai versi di Dante. Non solo. Dante è il poeta delle donne. È solo grazie alla donna – scrive – se la specie umana supera qualsiasi cosa contenuta nel cerchio della luna, vale a dire sulla Terra. La donna è il capolavoro di Dio, la meraviglia del creato; e Beatrice, la donna amata, per Dante è la meraviglia delle meraviglie. Sarà lei a condurlo alla salvezza. Ma il poeta ha parole straordinarie anche per le donne infelicemente innamorate, e per le vite spente dalla violenza degli uomini: come quella di Francesca da Rimini. Aldo Cazzullo ha scritto il romanzo della Divina Commedia. Ha ricostruito parola per parola il viaggio di Dante nell’Inferno. Gli incontri più noti, da Ulisse al conte Ugolino. E i tanti personaggi maledetti ma grandiosi che abbiamo dimenticato: la fierezza di Farinata degli Uberti, la bestialità di Vanni Fucci, la saggezza di Brunetto Latini, la malvagità di Filippo Argenti. Nello stesso tempo, Cazzullo racconta – con frequenti incursioni nella storia e nell’attualità – l’altro viaggio di Dante: quello in Italia. Nella Divina Commedia sono descritti il lago di Garda, Scilla e Cariddi, le terre perdute dell’Istria e della Dalmazia, l’Arsenale di Venezia, le acque di Mantova, la «fortunata terra di Puglia», la bellezza e gli scandali di Roma, Genova, Firenze e delle altre città toscane. Dante è severo con i compatrioti. Denuncia i politici corrotti, i Papi simoniaci, i banchieri ladri, gli usurai, e tutti coloro che antepongono l’interesse privato a quello pubblico. Ma nello stesso tempo esalta la nostra umanità e la nostra capacità di resistere e rinascere dopo le sventure, le guerre, le epidemie; sino a «riveder le stelle». Un libro sul più grande poeta nella storia dell’umanità, a settecento anni dalla sua morte, e sulla nascita della nostra identità nazionale; per essere consapevoli di chi siamo e di quanto valiamo.
Pisa, 1313. Mentre assiste alle esequie di Arrigo VII, Dante è consapevole che, insieme con l’imperatore, sono morte le sue speranze per il futuro dell’Italia e anche la possibilità di rientrare finalmente a Firenze, da trionfatore. Eppure, proprio nell’ora più buia, uno sconosciuto lo avvicina e gli dice che nelle Puglie un cavaliere si proclama diretto discendente del grande Federico II: l’uomo si nasconde nella zona di Lucera, dove resistono i superstiti dei mercenari islamici assoldati dall’imperatore. Senza più nulla da perdere, se non il manoscritto dell’ambizioso poema sull’Aldilà che sta componendo in quegli anni, Dante decide di affrontare il lungo e pericoloso viaggio fingendosi un pellegrino diretto in Terrasanta: un viaggio che gli farà incontrare una enigmatica giovane di origini germaniche e sfiorare i misteri della cultura musulmana; un viaggio che lo costringerà a riconsiderare sotto una nuova luce gli eventi fondamentali del suo passato; un viaggio che gli farà capire di essere a una svolta della sua vita… Lucera, 1936. Dirigere il restauro di una piccola chiesa medievale è un incarico modesto, ma per l’architetto Cesare Marni è pur sempre un lavoro, in un periodo di difficoltà e ristrettezze. Di certo Marni mai avrebbe pensato di ritrovarsi suo malgrado al centro di un intrigo internazionale imbastito da ambigui studiosi tedeschi e insospettabili doppiogiochisti. Ben presto a Lucera si scatena una lotta sorda, senza esclusione di colpi, perché in quel luogo sono sepolti troppi segreti. E uno in particolare, che riguarda il padre della letteratura italiana: Dante Alighieri…
Pubblicate grazie al lavoro di decine di artigiani tra il 1861 e il 1868, le incisioni di Gustave Doré per la “Divina Commedia” riscossero da subito un grande, meritato successo, tanto da imprimere i regni d’oltretomba nell’immaginario di più generazioni. Forse solo Michelangelo, nelle sue illustrazioni perdute per la “Commedia”, aveva saputo rendere con energia paragonabile la plasticità tormentata dei corpi dei dannati, solo Botticelli la grazia e la leggerezza angelica dei beati. Impareggiabile resta la capacità di Doré di creare paesaggi inediti, dai mostruosi antri infernali mai toccati dal sole alla luminosità rarefatta dell’Empireo. Questo volume riproduce in forma integrale le centotrentacinque tavole, legandole con didascalie narrative che consentono di ripercorrere il viaggio dantesco “leggendo” le immagini: un omaggio al genio di Doré e insieme un invito a esplorare la “selva” dell’opera dantesca.
Il convenzionale intreccio della figura pubblica e privata di Dante con la sua opera e il contesto storico e culturale dell’Italia tra Due e Trecento ha favorito in passato non poche ingenuità metodologiche e comode semplificazioni che questa nuova vita di Dante evita accuratamente. Combinando, in un linguaggio chiaro e accessibile a un pubblico di lettori non specialisti, le acquisizioni più recenti con gli esiti di ricerche personali e di prima mano, Paolo Pellegrini propone sostanziose novità rispetto alle biografie precedenti. Sia nella scrupolosa ricostruzione dell’esistenza del poeta, sia nell’attenta analisi della tradizione testuale, della cronologia e della stesura delle opere, che passa i più recenti contributi della medievistica moderna al vaglio della migliore filologia novecentesca. Al tempo stesso, attraverso una più solida selezione puntuale della bibliografia dantesca, il saggio intende offrire alle generazioni di studiosi più giovani o ai semplici appassionati un’indicazione di metodo che potrà essere messa a frutto per ulteriori e future ricerche.
Franco Nembrini è un professore di liceo che con le sue lezioni di letteratura riempie i teatri, le parrocchie e i centri culturali di tutt’Italia – e anche fuori d’Italia: ha girato il mondo dalla Siberia al Brasile – trascinando giovani e adulti alla scoperta dell’opera che, a suo dire, riesce a tirar fuori le domande più profonde e più vere dell’uomo: la “Divina commedia”. Con questo libro, che ripercorre la fortunata trasmissione televisiva da lui condotta su TV2000, Nembrini si inserisce in una gloriosa tradizione che, a partire da Vittorio Sermonti e Roberto Benigni, sottrae Dante al chiuso delle accademie per restituirne un’interpretazione popolare e attraente, permettendo così a noi lettori, grazie alla sua guida nell’immortale viaggio tra Inferno, Purgatorio e Paradiso, di riscoprire ancora una volta il fascino senza tempo del più bel libro che sia mai stato scritto.
“In Italia Garibaldi e Dante hanno sempre ragione: di loro non si può parlar mai male; e almeno per il primo dei due, ciò è passato in proverbio. Neppure noi qui parleremo male di Dante. Non accrediteremo però su di lui pie leggende: ciò è dovuto alla verità e alla storia”. Il “Dante” di Corni, che tiene conto di una eccezionale mole di fonti, scioglie miti consolidati da secoli di tradizione. Basti pensare all’esilio, che ha suscitato tanta solidale simpatia ma di cui sono state trascurate le ragioni intrinseche e storiche. O il mito dantesco dell’Impero, sostenuto al di là di ogni conveniente ragione pratica. La stessa Beatrice, ben lungi dall’essere l’oggetto purissimo di un amore preraffaelita, è uno strano miscuglio di passione fisica e trasposizione teologica privata.
Che la “Divina Commedia” nasconda una chiave occulta di lettura, Dante stesso lo afferma nel Convivio, dove parla dei “quattro sensi” della scrittura…
… il più alto e nascosto dei quali è il senso anagogico, o sovrasenso: cioè il significato spirituale della parola.
Che è segreto nella misura in cui non è esplicito; ma cessa di esserlo allorquando il lettore riesce ad entrare in sintonia con quella dimensione.
Nella sua Commedia, infatti, Dante adombra un’avvincente esperienza interiore: un viaggio iniziatico dalla tenebra alla luce, nell’uomo ed oltre l’uomo, fino alla folgorante visione di Dio e alla rivelazione di un Suo inaspettato volto femminile.
E apre interessanti prospettive sul significato della tradizione alchemica e delle antiche vie iniziatiche; come pure sull’esoterismo cristiano, lo gnosticismo e il mistero dell’ordine templare.
Da qui il senso e la ragione di questa ricerca, che non risponde a una curiosità letteraria, ma a un bisogno esistenziale: quel “segreto” ci avvicina al senso più profondo della vita, alla tensione dialettica tra bene e male, alla possibilità di riscatto fino allo sbocciare di una vita nuova. Per Dante, come per tutti noi.
Pensando al Centenario del ’21, in quattordici brevi anzi brevissimi capitoli, si affronta apertamente il problema, qui colto in vari aspetti, di come Dante, accanto alle parole, non esiti ad usare parolacce come “merda”, “puttana” e così via, che han precisa fonte nella Bibbia. Ma accanto a parolacce dell’Autore si aggiungon parolacce dei copisti: in un mix di parole e parolacce consiste insomma il vertice poetico della letteratura in lingua nostra, un Poema nel quale il sommo Dante si imbatte di continuo nel conflitto fra nobili, borghesi e proletari, che sorge per l’appunto al tempo suo. Legger Dante significa pertanto entrare in un mondo sconfinato: dall’inferno che è società corrotta in cui la parolaccia è dominante, su fin nel paradiso in cui Beatrice, che è donna in carne e ossa pur nel sogno, assegna in dono a Dante un’altra voce.
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