Articolo a cura di Maria Marques
A volte per raccontare una storia, è necessario partire dalla fine o quasi.
Già scoperta prima dell’Ottocento, la tomba di Hatshepsut fu liberata dai detriti solo nel 1903 grazie a Howard Carter che vi rinvenne due sarcofagi, quello della regina e quello del padre Tuthmosi I, entrambi vuoti.
Nello stesso anno Carter scoprì un’altra tomba (contrassegnata come KV60), in cui giacevano due mummie femminili: una fu identificata come la nutrice di Hatshepsut e trasferita nel 1906 al museo de Il Cairo. L’altra mummia, una donna di mezza età, non aveva nessun riferimento per rendere possibile una sua identificazione, anche se la postura, era quella tipica delle regine e fu lasciata in sito; la tomba catalogata come non reale, fu richiusa e dimenticata sino al 1989 quando l’egittologo Donald Ryan, la “ritrovò” dedicando la sua attenzione al materiale in essa contenuto e al corpo senza nome.
Poiché in un vaso canopo rinvenuto nel complesso del tempio di Deir el – Bahari era conservato un dente appartenuto alla regina Hatshepsut, gli egittologi vollero tentare di svelare il mistero che aleggiava intorno alla sovrana colpita da damnatio memoriae e, così alcune mummie femminili, tra cui quella conservata nella KV60, furono sottoposte alla Tac e alla prova del DNA.
Tra queste una sola fu compatibile con il dente: la mummia di una donna deceduta tra i quarantacinque e i sessanta anni, di cui restava ancora parte dei suoi lunghi capelli, con una pessima dentatura e parecchio in sovrappeso. Il corpo senza nome, deposto nella KV60, improvvisamente nel 2007 non solo lo ritrovò ma riconquistò anche il suo titolo: era la regina Hatshepsut il cui regno dovrebbe collocarsi approssimativamente tra il 1479 e il 1457 a.C.
Figlia di Tuthmosi I e della Grande Sposa Reale, Ahmes, sposò il fratellastro Tuthmosi II legittimando la sua salita al trono, poiché figlio di una sposa di rango inferiore. Thuthmosi II tuttavia non regnò a lungo e, alla sua morte lasciò due figli: una bambina nata da Hatshepsut e un bambino, il futuro Tuthmosi III, nato da una concubina.
Hatshepsut assunse la reggenza in nome del piccolo Tuthmosi e se questo era quanto mai comprensibile data la giovane età dell’erede, non lo fu ciò che accadde dopo. Attraverso una duplice strategia, Hatshepsut lavorò su più fronti. Il primo fronte fu politico e religioso, per cui la regina enfatizzò che il padre, Thuthmosi I, l’avrebbe nominata correggente, e che la sua nascita fosse divina, facendola immortalare sulle pareti del suo tempio funerario. L’altro fronte di carattere amministrativo permise a Hatshepsut, occupando con uomini di fiducia i vertici delle più alte cariche civili e religiose, di divenire “faraone”.
Tra il III e il VII anno di reggenza, la regina si attribuì i cinque titoli del protocollo reale che formavano i nomi e gli epiteti con cui ci si riferiva al faraone, tutto questo però senza estromettere dal trono Thuthmosi III, facendosi rappresentare con le insegne regali.
I suoi cartigli precedevano quelli del nipote che comunque era raffigurato accanto a lei e, nel corso dei successivi ventidue anni, né Hatshepsut né Thuthmosi, chiarirono questa strana situazione.
Il regno di Hatshepsut non si distinse per campagne militari, ma per la costruzione di una serie di opere, oltre allo splendido tempio funerario, lasciò edifici sacri a Kom Ombo e a Elefantina. Inoltre fece scavare a Beni Hasan un santuario dedicato alla dea gatta Pakhet che fu il primo tempio in roccia dell’architettura egiziana. Famosi sono anche i suoi obelischi, di cui uno si ruppe durante la fase di estrazione nella cava e che regalò molte informazioni agli archeologi.
Hatshepsut morì intorno al suo XXII anno di regno, ma la sua morte non fu segnalata, calò semplicemente il silenzio su questa donna, sicuramente energica e volitiva, mentre emerse dall’ombra Thutmosi III, che divenne uno dei più grandi faraoni della storia egizia.
Non si sa quando Tuthmosi decise di far cancellare e scomparire per sempre il nome di colei che lo aveva preceduto e nemmeno se ne conosce la ragione. L’operazione non fu compiuta immediatamente sull’onda di un comprensibile rancore personale per essere stato tenuto lontano dal potere per circa venti anni, ma dopo, quando ormai era all’apogeo del suo prestigio. Operazione complicata e difficile quella di scalpellare da tutti i monumenti, il nome e l’immagine della matrigna, operazione che creò problemi agli egittologi che si trovarono di fronte a testi rimaneggiati e in alcuni casi a immagini maschili che riportavano termini femminili.
Una morte che si nasconde nell’ombra del palazzo reale, una sistematica volontà di annullare il suo nome perpetrata secondo alcuni studiosi proprio dal nipote o secondo altri dal clero di Osiride, o secondo altri ancora dal successore di Tuthmosi, Amenofi II. Rancore personale, ragioni politiche …non sapremo mai che cosa accadde perché la documentazione manca, ma in mezzo alle ipotesi degli egittologi, c’è sempre spazio per il romanzo e per il thriller.
Curiosità
Il nome e l’immagine presso gli egiziani non solo identificavano una persona, ma finché queste fossero rimaste, scritte, scolpite o dipinte, la persona in questione sarebbe sopravvissuta alla morte. Quando il nome o lì immagine erano abrasi o cancellati, era come se la persona cui si riferivano fosse distrutta per sempre, come se non fosse mai esistita.
Quando Howard Carter scoprì la sepoltura della regina e della sua nutrice, non fu attratto dalle due mummie femminili ma…da quelle di alcune oche che asportò dalla tomba.
Quando si parla del tempio funerario della regina, ci si riferisce al complesso usando un termine arabo: Deir el Bahri che significa “convento del nord” (secondo F. Cimmino) perché verso la fine del IV secolo, fu utilizzato da monaci copti e anacoreti. Il tempio, ai tempi della sua costruzione, si chiamava “Djeser – djeseru” ciòè “Santo tra i santi”.
Altre curiosità le potrete ritrovare in questi saggi che spiegano il periodo in cui visse la regina e tentano di fare luce non solo sulla sua persona ma anche sul rapporto con Tuthmosis III :
F. Cimmino “Hasepsowe e Tuthmosis III”
C. Desroche Noblecourt “ La regina misteriosa”
Se invece preferite un avvicinarvi a questo personaggio attraverso le pagine di un romanzo, ecco fa per voi “La figlia del mattino” di P. Gedge.
Bibliografia
F. Cimmino “Hasepsowe e Tuthmosis III”
C. Desroche Noblecourt “ La regina misteriosa”
N. Reeves e R. Wilkinson “The complete Valley of the Kings”
https://thebanmappingproject.com/tombs/kv-60-sit-ra-called