Recensione a cura di Roberto Orsi
Aprì gli occhi nel buio della stanza, immersa nel buio della casa, sperduta nel buio della notte, abbandonata nel buio del mondo.
Descrizione scenografica che apre il sipario sulla notte buia della città di Napoli, con il nuovo romanzo che vede protagonista Veneruso, Commissario della polizia del Regno. Vent’anni dopo l’unità d’Italia, avvenuta più sulle carte geografiche che nel tessuto sociopolitico del paese, il lettore fa la conoscenza di una squadra investigativa del tutto singolare.
Coadiuvato dagli agenti Cuomo, Serra e Rocco e dagli ispettori Girardi e Polverino, Veneruso si trova alle prese con tre diversi delitti apparentemente lontani tra loro. Dopo una settimana di convalescenza a letto, per una brutta influenza in cui il commissario si è estraniato completamente dal mondo, il ritorno in servizio ha un certo impatto.
Il cervello di Veneruso – o meglio, la sua coscienza – era una bestia strana, un mattuoglio di emozioni che agiva senza dare troppe spiegazioni e senza fornire dettagli al resto della mente, lavorava per conto suo.
La Baronessa Salomè è stata trovata morta strangolata sul proprio letto e gli intrighi amorosi sembrano da subito essere il movente più plausibile.
Se la soluzione di questo primo omicidio sembra essere relativamente facile, gli altri due si presentano molto più intricati.
Un giovane studioso del nord, della città di Milano (“dell’estero” come direbbe Veneruso) è stato trovato morto con venti pugnalate nella Biblioteca di Palazzo Reale: sul luogo del delitto sei testimoni tutti potenziali omicidi.
Infine, una ragazzina di dodici anni, Patrizia, che sopravviveva prostituendosi, è stata rinvenuta senza vita sul proprio letto dalla zia.
E gli omicidi sono avvenuti tutti a distanza di poche ore l’uno dall’altro.
L’indagine condotta dalla squadra di Veneruso si svolge nell’arco di venti ore, dall’alba alla notte del 28 luglio 1883. Il ritmo, scandito da capitoli suddivisi di ora in ora, non ha momenti di tregua come il commissario stesso ha imparato a comprendere (non ha nemmeno il tempo di sedersi in pace in ufficio a pensare senza che qualcuno bussi alla porta per riferirgli qualche nuova notizia).
Tutta la città non faceva che parlare di quella vicenda e tutti ne sapevano più di lui. Peccato che scoprire l’assassino era compito suo.
Personaggio azzeccato quello di Veneruso. Fuori dalle righe e dagli schemi, in un ambiente complicato come quello della città di Napoli, bella, tosta e maledetta. Diego Lama ha la capacità di raccontare con una tecnica descrittiva molto particolare che crea le suggestioni perfette per una lettura fresca, nuova, dinamica e multiforme.
Le descrizioni degli ambienti (come la prima citazione che apre questa recensione) o dei personaggi, primo fra tutti Veneruso stesso, riportano alla mente gli scritti classici di un tempo.
Un uomo distinto, non tanto giovane, non tanto magro, non tanto alto e neanche tanto tonico, tanto niente, ma serio.
L’autore pesca a piene mani dallo stile letterario di un tempo che fu, senza mai perdere di vista il mondo attuale e le logiche del lettore moderno. La forza e l’impatto di questo romanzo risiedono nella ventata di novità e nelle particolari digressioni che, pur deviando dall’indagine principale, non annoiano e non smarriscono il focus principale.
Il romanzo è un inno alla città di Napoli nel senso più ampio del termine. Possiamo dire all’essere napoletani, in un mondo che veloce scorreva e cambiava davanti agli occhi dei protagonisti, in una lenta disgregazione di ciò che era. Ed è così che la lettura diventa un’esperienza di viaggio, un arricchimento di termini, un gioco di e con le parole, quelle desuete, quelle che non conosciamo più, quelle che, purtroppo, andranno perse con il disuso dei dialetti.
Modi di dire, mestieri, professioni, finanche insulti, un insieme di termini a cui l’autore, esperto studioso della lingua napoletana, ridona pregio, sostanza e vigore.
Le parole si studiano. Sono come le anime: ci sono quelle buone e quelle cattive, e tutte hanno una loro storia, una loro forma, una loro intelligenza, alcune fingono, altre sono sincere, alcune sono simpatiche, altre odiose, altre difficili. Sono proprio come gli uomini.
L’indagine scorre tra le pagine nel tempo di venti ore, ma Diego Lama ci presenta la Napoli di fine Ottocento, con le sue bellezze architettoniche, i quartieri della popolazione abbiente e i vasci dove poveracci sbarcano il lunario chiedendo l’elemosina o concedendo il proprio corpo. La Napoli bene della Baronessa Salomè fa da contraltare alla Napoli perfida e senza pietà della piccola Patrizia seviziata e uccisa con violenza.
Alcuni dettagli anacronistici, sapientemente e in modo del tutto trasparente, spiegati dall’autore nelle note del libro, non tolgono piacere e interesse a una lettura che va al di là del contesto storico in cui è calata.
Emerge il tessuto sociale dell’epoca, irto di contraddizioni, difficoltà, storture e ingiustizie. E Veneruso ne assorbe i connotati su di sé. Un uomo duro ma genuino, scontroso ma sincero, di buon cuore e polso fermo. Molto spesso ruvido con i suoi agenti, ai quali non risparmia battute sarcastiche e ironiche, sotto sotto mostra un lato più tenero con atteggiamenti di profondo rispetto e sentimento di affetto.
C’erano tanti tipi di uomo, di ommo: ommo positivo, di mondo, di parola, di rispetto, di conseguenza, di panza, di cartone, di niente, di merda e di lota. L’umanità intera poteva essere incasellata in una graduatoria che aveva per oggetto l’ommo, in lingua. Veneruso però, come un bambino, ancora non sapeva dove collocarsi.
“Tutti si muore soli”, al di là del giallo investigativo, ha il pregio di scavare nelle profondità dell’animo umano senza scadere nel melodrammatico, mantenendo una vena dissacrante condita da una buona dose di autoironia.
Trama
Napoli, luglio 1883. Veneruso, commissario della Polizia del Regno tignoso e istintivo, viene restituito al mondo dopo una settimana di influenza che l’ha reso ancora più amaro e insieme innamorato della vita. In sua assenza, una baronessa è stata uccisa, e sospettati e corrispettivi alibi si rincorrono in una catena di corna e controcorna che travolge mezza aristocrazia. È però solo il primo dei delitti che Veneruso si ritrova sulla scrivania, ognuno consumato in un angolo diverso di una città che ha tante anime quante stelle sopra i palazzi: c’è quello di uno studioso di Milano, pugnalato nella Biblioteca Nazionale, e il più doloroso di tutti, con vittima una prostituta dodicenne. Capitolo dopo capitolo, in un ininterrotto piano sequenza lungo venti ore, Veneruso continuerà a oscillare tra le ville nobiliari e i quartieri tetri anche di giorno, solo per scoprire che non è semplice capire dove l’umanità dà il peggio di sé, e che tra i tanti assassinii che si stanno consumando tra i vicoli di Napoli c’è anche quello di una lingua e di un’intera cultura.
Editore: Mondadori (8 giugno 2021)
Copertina flessibile: 384 pagine
ISBN-10: 8804739045
ISBN-13: 978-8804739043
Link di acquisto cartaceo: Tutti si muore soli
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Non ho mai letto un libro appena pubblicato. Non ho mai letto un libro in meno di 2 giorni. Non ho mai apprezzato tanto una ricostruzione storico-romanzata come quella trovata in “Tutti si muore soli”. Complimenti al coraggio dell’Autore per aver inserito personaggi letterari reali e ben noti. Una piacevolissima lettura da annoverare tra i miei oltre 3000 volumi.
Sig. Maggiolo, grazie mille per il commento a questa recensione che ci trova in accordo. Il libro di Diego Lama al di là della trama poliziesca è un inno alla città di Napoli e a quello che era in quel determinato periodo storico.