Ecco, ti vedo venire verso di me, Pulzella d’Orleans. Sei giovane persino per un’epoca in cui la vita non era poi tanto lunga, ma 19 anni per morire sono sempre pochi.
Breve è stata la tua vita, lungo il ricordo che i posteri avranno di te. Nascesti povera, figlia di contadini nella Francia in subbuglio per una guerra che, mentre tu sali sulla pira per te preparata, dura da più di 90 anni, e che per altri 20 vedrà i due fronti, Francia e Inghilterra, ancora sanguinosamente contrapposti.
Io sono il solo che ti ucciderà, mio malgrado, ma già qualcosa, prima di me ha provato a toglierti la vita: nonostante fossi ben lontana dal fronte, una freccia ti si conficcò nella schiena nella battaglia di Orléans in cui trionfarono i francesi, e un dardo ti colpì alla coscia nel 1429 quando eri impegnata nel tentativo, vano, di liberare Parigi. Ma ciò che non uccide fortifica, e tu, che già avevi un carattere caritatevole e devoto, non ti sei mai fatta piegare da nulla, nemmeno da quel rifiuto e dall’irrisione che ti mostrò il capitano Robert de Baudricourt. Ricordi? Era il 1428 e le tue “voci”, quelle che già avevi udito anni prima e che ti avevano portato a consacrare la tua verginità a Dio, ti spinsero a correre in aiuto di Carlo, Delfino di Francia, nella guerra per il trono contro gli inglesi e i loro alleati borgognoni. La strada verso il Delfino ti fu sbarrata per ben tre volte, ma tenacemente hai riprovato, ti sei persino prestata a subire un esorcismo che appurasse la tua buona fede (e realtà non demoniaca), e ce l’hai fatta.
Arrivasti al Delfino e dopo giorni di attesa, esami in materia di fede, colui che chiamavi “re dei Cieli” – questo era per te il re di Francia – ti diede l’incarico di accompagnare una spedizione militare – pur non ricoprendo alcun incarico ufficiale – in soccorso di Orléans assediata. Fu l’inizio del riscatto di Francia: da questo tuo gesto, è iniziata la tua riorganizzazione della vita militare (allontanamento delle prostitute che seguivano l’esercito, bandita ogni violenza o saccheggio, divieto per i soldati di bestemmiare; obbligo di confessarsi riuniti intorno al suo stendardo in preghiera due volte al giorno) e hai così instaurato un rapporto di reciproca fiducia tra la popolazione civile e i suoi difensori. Soldati e capitani, contagiati dal tuo carisma, sostenuti dalla popolazione di Orléans, si sono preparati alla riscossa. E riscossa fu. Il tuo esercito ha rotto l’assedio di Orléans, libera la città e sconfigge i nemici; il 7 luglio 1429 Carlo VII viene finalmente consacrato re.
E allora perché sei arrivata a me? Di chi sono le mani che ti hanno posta tra le mie spire?
Perché la guerra non è finita, la vittoria è parziale e il Re ti ha lasciata sola.
Sola sei stata quando, nel 1430 hai voluto marciare su Compiègne per difenderla dagli anglo-borgognoni. Durante una ricognizione sei caduta in un’imboscata, sei stata catturata e consegnata a Giovanni di Lussemburgo, vassallo del re d’Inghilterra, che ti ha ceduta come bottino di guerra agli Inglesi per la cifra di 10.000 lire tornesi. Questo non ti restituì la libertà, piuttosto cambiasti carceriere. E Carlo VII non ha nemmeno tentato di liberarti.
Sei stata tradotta a Rouen e nella cappella di questo castello, il 21 febbraio 1431 ha inizio il processo a tuo carico, prima “per stregoneria”, poi “per eresia”. Un processo lungo, dibattuto, in cui tu ti difendi, anche con risposte salaci, taglienti, ironiche, ma non serve: sei condannata. E lo eri già prima che cominciasse. Lo sai anche tu. Le prove a tuo carico? Gli abiti maschili che eri solita indossare durante le tue missioni, la volontà di non sottometterti a nessuna autorità e la fierezza con cui affermi di sentire le voci di Santa Caterina o dell’Arcangelo Michele. Queste la tua condanna. Abiuri, firmi un atto di otto righe – e non di quarantaquattro righe e per giunta in latino quale invece fu quello messo agli atti – con cui ti impegni a non riprendere le armi, a non portare abito maschile né capelli corti. Ma interrogata ancora, ritratti: riprendi gli abiti maschili e affermi che le “voci” che senti sono proprio quelle dei Santi che ti parlano. Sei condannata, sei eretica, scomunicata e relapsa (ovvero chi ritratta una abiura) e per i relapsi la condanna è al rogo.
E ora che il sole sta sorgendo in questo 30 maggio 1431, arrivi a me scortata da circa duecento soldati e vestita con un lungo abito bianco. Ti incatenano al palo posto sopra una gran quantità di legna. Non vogliono che tu, asfissiata, perda i sensi: tra le mie fiamme devi bruciare viva. Tu gridi, per sei volte, con voce forte, urli: “Gesù!”! Ma io sono più forte di te, non mi arresto, pur volendo non posso fermarmi da solo. Così, tu cedi, chini la testa e spiri tra le mie braccia di fuoco.
Diciannove anni dopo aver arso anche l’ultimo brandello di te, riconosceranno che la tua condanna e il tuo processo furono un errore, un abuso, a tutti è oramai chiaro che il tuo processo “in materia di fede” fu esclusivamente un processo politico affinché Enrico VI di Lancaster diventasse il legittimo erede della corona di Francia oltre che di quella inglese. Con un processo per eresia dovevano distruggere ciò che avevi fatto e in particolare la consacrazione di Carlo VII a Reims per renderlo re di Francia.
Da paladina degli infedeli sarai esaltata come simbolo di fede, di eroismo e di amore. E sarai santa nel 1920 per proclamazione di papa Benedetto XV. La Francia – e non solo lei – ti erigerà una statua nella sua capitale, in place des Pyramides, e sarai riconosciuta come santa patrona della nazione per la quale hai combattuto.
Di te scriveranno poeti, scrittori e drammaturghi, ciascuno ti dipingerà a suo modo e a seconda del loro sentire, dei loro ideali e del tempo in cui vivranno. Così, se mentre eri ancora viva Christine de Pizan aveva composto il Poema di Giovanna d’Arco in cui ha per te parole di lodi e immortala le tue gesta, una volta che la tua anima sarà in cielo, non avranno per te buone parole il drammaturgo Shakespeare che nei versi finali della prima parte dell’Enrico VI, ti raffigura come una strega ed un’evocatrice di demoni.
Sarai anche messa in musica: il buon Rossini per te comporrà una cantata (su testo di autore anonimo) con accompagnamento al pianoforte:
Ah, la fiamma che t’esce dal guardo già mi tocca, m’investe, già m’arde
Crudele il mio ruolo: io, fuoco del rogo, ti ho tolto il respiro e il fuoco della vita; io fuoco che si estingue, ti ho consacrato al fuoco dell’immortalità.
Curiosità
Non aveva un cognome. È improbabile che si chiamasse D’Arc o Darc, come il padre, poiché la tradizione del suo paese di nascita era quella di assegnare ai figli maschi il cognome del padre mentre alle femmine andava quello della madre. Jeanne avrebbe dovuto, quindi chiamarsi Romée, come la madre, ma non va dimenticato che nella Francia medievale i cognomi non erano molto usati, e soprattutto non si dava loro quella importanza che gli si dà oggi.
Il mito la vuole combattente, ma in realtà non combatté mai. Non prese mai parte a uno scontro armato, e non uccise nessun rivale. Il suo ruolo era più quello di una “musa”, una figura a cui i soldati guardavano per trarre ispirazione.
Secondo alcuni studi, le visioni, le “voci” di Jeanne non erano opera divina ma conseguenze di un disturbo psichico, dal disordine bipolare alla schizofrenia, alla epilessia. Secondo altri studi, invece quelle allucinazioni erano dovute alla tubercolosi bovina, una malattia che Giovanna d’Arco avrebbe contratto bevendo latte non pastorizzato e pascolando il bestiame da bambina.
Bibliografia su Giovanna D’Arco
Fonti
https://www.focus.it/cultura/storia/curiosita-su-giovanna-d-arco
http://www.museoalessandroroccavilla.it/2020/03/09/il-processo-di-giovanna-darco/
https://biografieonline.it/biografia-giovanna-d-arco