Narrativa recensioni

Hortensia – Lucia Maria Collerone

Recensione a cura di Laura Pitzalis

Un romanzo storico, d’amore, ma soprattutto sensoriale, perché tutto il racconto è visto attraverso quel caleidoscopio che è offerto dai sensi. Un romanzo che è quasi la memoria del corpo, una memoria tattile, olfattiva, visiva e uditiva, anche se ce n’è una predominante che è quella dell’olfatto che fa da filo conduttore a tutta la storia. Non per niente la protagonista Hortensia, rigorosamente da pronunciare con l’H davanti, ci viene presentata come una ragazzina ostinata con il dono particolare di sentire gli odori, di memorizzarli, di riconoscerli fra i tanti che la campagna siciliana emana e che stimolano sensazioni diverse:

Annusavano l’aria, i profumi erano tanti e lei adorava distinguerli, separare le fragranze, riconoscerli e, se poteva, dare loro un nome. Sentì l’odore del venticello fresco che veniva da sud carico del profumo della sabbia, del mare. Percepì l’odore dei fiori di mandorlo, persistente e pungente … L’odore dell’erba, liscio e penetrante, e poi i fiori: il sentore aspro della margherita, forte come il colore giallo intenso della sua corolla; il papavero, sottile e altezzoso, l’odore intenso del suo possente rosso; u sucameli dolciastro e denso di umori, e poi le sparute, piccole margheritine, cariche di sogni e di domande”.

La prima parte del romanzo è un tripudio di colori accecanti, di odori persistenti e pervasivi della selvaggia natura siciliana, che ti avvolgono tanto da divenire quasi reali, e che t’immergono in una Sicilia contadina, genuina, vera, lontana anni luce da quella stereotipata che, purtroppo, ricorre spesso nell’immaginario collettivo.

Siamo nel 1939, in lontananza si sentono i venti di guerra, ma nella masseria della famiglia Giolai la vita continua tra i lavori nei campi, l’allegra quotidianità immersa nei profumi delle essenze che serviranno per realizzare i saponi e quelli più aromatizzati della cucina, del sugo con il basilico a quello dell’ olio sul pane caldo appena sfornato con un po’ di sale e origano e ancora l’odore del finocchietto che si mescola al profumo delle lenticchie nella “pasta di San Giuseppe”.

In questa quasi fiabesca atmosfera che sprigiona sensazioni positive di libertà, serenità e amore, Hortensia vive la sua fanciullezza coccolata e amata da genitori e nonni e consolidando la sua passione per tutto quello che la natura ci dona per stare meglio. Impara perciò tutto quello che riguarda le piante, fiori, erbe supportata dal padre, che le regala libri sull’argomento, e dalla zia Catena e frequentando un tirocinio presso la farmacia del paese.

A questo punto non posso che magnificare lo studio e il lavoro di ricerca eseguito da Lucia Maria Collerone per quanto riguarda la medicina spagirica: nel libro tra le informazioni dei vari tipi di piante medicinali, processi di preparazione dei rimedi secondo le leggi alchemiche, fermentazioni, distillazioni e utilizzo di questi preparati per fini terapeutici, abbiamo un vero e proprio trattato di medicina naturale! E se poi aggiungiamo le citazioni dei libri che ne parlano, uno fra tutti “Causae et curae infermitatae di Hildegard di Binge”, la voglia di saperne di più e, perché no?, informarmi sui piccoli rimedi che ci offrono le piante più comuni che si trovano nel nostro orto, mi assale e m’induce ad approfondire.

Tornando a Hortensia, chi le dà le basi per continuare questa sua passione è una magara, “zì Stillina Mblè Mblè”, una vecchia che tutti temono, “una brava donna è, ma con un destino bruttu e dulurusu ma che a Hortensia insegna solo ciò che fa bene, che guarisce, nascondendo i sortilegi, i malefici e gli incantesimi.

Tu luce sei, da te passa l’amore. Capisti? Le tue mani creano il bene, io ti insegnai la capacità di guarire, di scacciare il male. […]Tu adesso sai tante cose per aiutare gli altri, ma ancora non sai tutto. Quello che sapevo lo sai tu, ma impara ancora, Horte’. Impara, perché il buio sta arrivando, e tu luce devi essere in questo buio. Capisti?”

Bene aveva visto zì Stillina …  Nella seconda parte del romanzo, infatti, c’è uno stacco, uno stacco dal mondo colorato, gioioso, solare a quello cupo, grigio tragico della guerra che irrompe in quelle terre rendendo reale quello che prima era solo una percezione, un qualcosa che succedeva lontano e che veniva raccontata, attraverso le radio proibite e nascoste, dal “Colonnello Buonasera” di Radio Londra: “Deimos si riprese la sua anima, e venti di guerra, così forti da fargli mancare il respiro, bruciarono ogni serenità” e il tutto diventò meno luminoso.

Anche in questa parte, i vari capitoli, in cui si articola il romanzo, ci restituiscono l’esperienza dei sensi che l’autrice utilizza per descrivere la sofferenza, la paura, l’ansia, il dolore.

La vista

Delle file di persone ferme immobili, smagrite e scarnite davanti al panettiere e all’ ufficio postale, la prima per soddisfare il morso inferocito della fame, la seconda per spedire lettere ai loro cari al fronte, nonostante la consapevolezza che le missive potevano anche non arrivare a destinazione. Delle luci infernali dei bengala che illuminano la notte come fuochi d’artificio. Del postino con, nella sua borsa, i famigerati telegrammi gialli, portatori di morte.

Il postino uscì con la sua borsa a tracolla, colma, sempre colma. Tutti sobbalzarono e poi si raggelarono, abbassarono la testa per non farsi riconoscere, per non essere guardati dalla morte, perché non li scorgesse e dicesse: questa è per voi.”

L’udito

Il suono assordante,straziante, violento dell’allarme antiaereo che incute paura, disperazione, panico. I rumori delle deflagrazioni, delle mitragliatrici, il sibilo e poi il boato delle bombe che vengono sganciate. Le urla di disperazione e di dolore dappertutto.

L’olfatto

La puzza della polvere da sparo, della carne bruciata, del sangue, dei disinfettanti, delle tinture, ma anche gli odori penetranti e medicamentosi delle erbe nelle tisane e decotti.

Il gusto

Delle cose che cambiano, il pane non più bianco e fragrante ma nero ,duro , non più impastato con la farina ma con surrogati, come le farine d’orzo e di lenticchie. O il caffè anche questo preparato con surrogati, come l’orzo o la cicoria.

Queste pagine che raccontano la guerra, mi hanno coinvolto emotivamente in modo molto forte. La sensazione di sconforto, di stanchezza mentale per delle situazioni che non possiamo gestire ma solo subire, la perdita della nostra quotidianità, il dover rinunciare a delle azioni che si davano come scontate e banali, senza tralasciare la situazione economica che cambia drasticamente le nostre abitudini incidendo fortemente nella nostra psiche, le ho, in un certo modo, riportate alle situazioni di disagio, scoraggiamento, impotenza che oggi stiamo vivendo per l’emergenza sanitaria che da più di un anno ha stravolto le nostre vite.

Naturalmente niente a che vedere con quelle più dure e più tragiche di una guerra e di uno stato d’assedio, ma mi hanno fatto veramente riflettere su quanta sofferenza, sacrifici, violenze fisiche e mentali ha subito o subisce purtroppo ancora, chi si trova in zona di guerra, sia militari sia civili.

E sempre parlando di guerra l’autrice mette in risalto un altro argomento di riflessione: l’umanità, la solidarietà che non conosce classe sociale, colore di divisa, diversità di genere e di lingua. Che ti guida ad aiutare chi sta peggio di te, chi si trova in difficoltà, anche se questa persona è il nemico. Un senso di comunità che viene fuori davanti alle grandi avversità, alle grandi sofferenze e che incoraggiano le persone a unirsi. E questo è bellissimo!

… Con la punta della scarpa lo fece girare e venne fuori un viso sporco di terra di un ragazzino dai capelli biondissimi, deformato da una smorfia di dolore. Aveva sangue sulle gambe, su un braccio e la divisa bruciacchiata. Piangeva e diceva “Mutter, mutter! […]

“Dammi la cintura, Gerla’” disse resoluta.

“Ma che vuoi fare? Tedesco è!” disse suo fratello.

“Dammi la cintura e subito” sibilò.

Gerlando guardò i due uomini che assentirono e ubbidì.

“Un n’è tedesco! È un caruso, è com’a ttia!” disse con le parole impastate di lacrime.

Con uno stile semplice, immediato, reso vero da alcuni dialoghi e intercalari in dialetto siciliano, che conferiscono ai personaggi un’autenticità che li rende ancora più reali, la Collerone ci regala emozioni auliche in tutte le pagine del suo libro fino a un finale che non ti aspetti, magari che non volevi ma che riflettendo, una volta chiuso il libro, convieni sia l’unica svolta spettacolare per concludere gli eventi e non renderli banali.

Un romanzo che si presenta come una vera scomposizione del reale nelle sue manifestazioni più autentiche, crude ed evidenti nelle quali ognuno di noi riconosce le sue incertezze, paure, emozioni, esperienze che , nel bene e nel male, riguardano ineluttabilmente le nostre vite.

Trama

Sicilia, primavera 1939. Vicino al tempio di Demetra, nella campagna dorata tra Agrigento e Gela, il figlio del fattore, Mario, e la figlia del padrone, Hortensia con l’acca, come tiene a precisare, si tuffano nei prati verdi e profumati, aspirano la vita, e avvertono che qualcosa si sta trasformando nella loro amicizia. Come sempre nei suoi romanzi, Lucia Maria Collerone intreccia con sapienza la storia fatta di guerra, fame, bombardamenti e mancanza di libertà con le vite dei suoi giovani protagonisti: vie partigiane, vie di una conoscenza antica, quella della spagiria siciliana, che porteranno Hortensia a diventare una potente maga moderna. Maga di medicina, perché cura, ma anche maga d’amore, perché forte è quello che prova per la vita e per la sua inesauribile meraviglia. Un nuovo e indimenticabile personaggio femminile creato dalla penna di una straordinaria autrice siciliana, che scrive con il cuore, e che il cuore sempre colpisce.

Editore : WriteUp Site (21 gennaio 2021)

Lingua : Italiano

Copertina flessibile : 308 pagine

ISBN-10 : 8885629946

ISBN-13 : 978-8885629943

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