Recensione a cura di Raffaelina Di Palma
Quindici secoli fa ad Alessandria d’Egitto visse una donna che si chiamava Ipazia, figlia di Teone, filosofo della scuola di Alessandria.
Matematica e astronoma, sapiente filosofa, influente politica, dotata di un fascino quasi soprannaturale: guida di pensiero e di comportamento. Era bellissima , molto amata dai suoi discepoli.
Fu causa di scandalo per la sua libertà di pensiero e le furono attribuite doti profetiche le quali erano soltanto conoscenze acquisite con la passione per lo studio.
La sua eccelsa femminilità accese l’invidia del vescovo Cirillo, che la condannò a morte, ma accese l’immaginazione e l’ammirazione di poeti e scrittori che l’hanno fatta rivivere. Fu onorata e idealizzata, la sua vita è rimasta, in parte, circondata dal mistero.
Più che della sua vita si è raccontato della sua morte che fu davvero atroce. Fu aggredita, denudata, dilaniata. Il suo corpo fu smembrato e bruciato sul rogo. A farlo furono fanatici esponenti di quella che da poco era diventata la religione di stato nell’impero romano- bizantino: il cristianesimo.
Per la prima volta, con un preciso filo storiografico e grande valenza narrativa l’autrice, Silvia Ronchey, ricompone in tutte le sue fasi, desumendo con criteri logici (non esiste una documentazione completa) l’esistenza di Ipazia.
Nel quinto secolo dopo Cristo una donna di nome Ipazia fu assassinata per mano di fanatici cristiani. Non si sa molto di lei: soltanto che era bella ed era una filosofa. Si sa che fu denudata e straziata con cocci aguzzi. Che le furono cavati gli occhi e quello che rimase del suo corpo, sparso per la città e dato alle fiamme.
Questa fine atroce ha fatto di Ipazia una figura simbolica del mondo antico, un’icona rappresentativa molto importante della cultura di tutti i tempi.
Il suo assassinio fu una testimonianza dell’ottusità di quanti furono turbati dalle sue azioni anticonformiste: Ipazia non accettava posizioni di convenienza. Un assassinio deplorato nella storia della cultura.
Se i barbari stavano per conquistare l’impero romano d’occidente, un altro impero stava per nascere a oriente, quello bizantino, che ne era la gloriosa continuazione.
Quel quinto secolo dopo Cristo poteva sembrare un’epoca di grave crisi anche morale, ma l’amore per la cultura era più sentito che mai. Anzi, era più vivo della cultura accademica, affidata, fuori di Alessandria, a professori sterili senza la necessaria capacità di quel seducente coinvolgimento senza il quale non si può trasmettere il sapere.
Così, Ipazia, era vista come una splendida eccezione e gli amanti della cultura venivano da ogni parte del mondo romano e greco ad ascoltare le sue lezioni accademiche, in cui si protraeva la memoria dell’antica scuola platonica. Ed era arrivata a un tale vertice di sapienza da superare di gran lunga tutti i filosofi della sua cerchia: così narra uno storico cristiano suo contemporaneo, Socrate Scolastico, avvocato alla corte di Costantinopoli.
Fin da piccola aveva dimostrato propensione allo studio: Da Teone (suo padre) aveva appreso tutto quello che poteva, ma lei non era appagata, non si era accontentata della disciplina del padre aveva voluto sapere di più. Il suo grado di cultura superò quello del suo maestro. Raggiunse un sapere così ampio che poteva spaziare anche in domìni diversi, non solo della filosofia, ma anche della matematica e dell’astronomia.
Lo scrittore tedesco, Christoph Martin Wieland, (1733-1813) nel rievocare il funesto episodio di Alessandria, esalta Ipazia, accomuna il suo “martirio per la conoscenza” a quello di Socrate, li accomuna come << l’alfa e l’omega della grecità>> e si domanda:
“Chi spinge Ipazia, perla tra i belli e saggi,
tra uomini irati e schiavi della superstizione,
dove, cieca ai suoi meriti che ancora il mondo loda,
la plebe la fa a pezzi al cenno di un vescovo? “
Le fonti storiche, infatti, accusano Cirillo dell’assassinio di Ipazia. Il rogo a cui verrà condannata sarà considerato il primo esempio di caccia alle streghe: dalla prima chiesa cristiana già assimilata da quella cattolica della controriforma, il vescovo viene visto come un vero e proprio inquisitore romano.
In tutto questo la reputazione del vescovo e di tutto il mondo cattolico ne escono miseramente. Con forti risonanze emotive, nella storia di Ipazia , gli scrittori non cattolici approdano in un filone di studi, nel tentativo di interpretare e comprendere il passato, alla luce delle esigenze sempre diverse del presente.
Nonostante il nucleo intellettuale da cui è erroneamente vista come l’ultima esponente, sarà in realtà, la radice da cui germoglierà quella fioritura dei suoi studi, quel suo stile, che renderà più rigogliosa la cultura bizantina per moltissimi secoli.
Quando la scienza e la conoscenza erano riservate a un gruppo ristretto di cultori, Ipazia volle contrapporre le sue conoscenze: alla chiarezza, all’evidenza, alla divulgazione, aperte a tutti.
Notizie distorte o alterate ne modificano il contesto per chi non ha ancora conosciuto Bisanzio. Il mondo occidentale moderno difficilmente può capire la vicenda di Ipazia nei suoi corretti termini storici.
Grazie all’illuminismo e a quelle altre correnti di opinioni che hanno frantumato il silenzio della chiesa occidentale, hanno fatto di Ipazia, il simbolo della libertà di pensiero.
Editore : RIZZOLI (24 agosto 2011)
Lingua : Italiano
Copertina flessibile : 318 pagine
ISBN-10 : 8817050970
ISBN-13 : 978-8817050975
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