Recensione a cura di Clara Schiavoni
Nel lungo periodo medievale alcune donne appartenenti al ceto nobile, e anche no, come Christine de Pizan, Ildegarda di Bingen, Trotula de Ruggiero, Eleonora d’Aquitania, Isabella di Castiglia, Caterina Sforza sono state disvelate nella loro libertà d’azione, che ha tanto più valore poiché si dispiega in un’epoca in cui le donne non erano affatto libere, fossero esse nobili o borghesi o appartenenti al popolo minuto.
La Mazzi risale ai Padri della Chiesa, alla convinzione di Ambrogio che è stata la debolezza della donna a originare il peccato e la menzogna; ad Agostino che considera la sottomissione della donna all’uomo un fatto naturale essendo stata lei creata per aiutare l’uomo; a san Paolo, il quale condannava, senza possibilità di redenzione, la figura femminile in quanto segnata dal peccato originale, e che con i suoi insegnamenti influenzò teologi e canonisti.
Ne deriva che gli uomini del Medioevo hanno ereditato una somma di atteggiamenti e di pregiudizi negativi circa il ruolo della donna e circa il vincolo coniugale e su queste teorie hanno costruito i fondamenti della propria etica. Atteggiamento quasi andato a far parte del loro DNA se ancora oggi nei femminicidi si ravvisa l’idea di possesso che l’uomo vive nei riguardi della donna.
Il principio di ubbidienza al coniuge costituiva uno dei cardini, indiscutibile, del vincolo coniugale. L’uomo disponeva della volontà, della vita, del corpo della donna.
La Mazzi riporta quanto scrive Cristiane Zuber: “A partire dall’antichità, proverbi, detti, ma soprattutto trattati di medicina, di teologia, di didattica e di morale hanno fornito un intero arsenale di definizioni avvertenze prescrizioni consigli sulla pericolosità l’instabilità la leggerezza delle donne e sulla necessità di guidarle, preservarle, proteggerle” per cui l’uomo doveva sorreggere, guidare la donna ma nel tempo stesso sorvegliarla. E la “donna custodita” doveva essere umile reverente ubbidiente verso il marito perché lui era il “dominus”, il suo “signore”.
La fanciulla era educata all’esercizio di queste doti fin dalla più tenerà età, era pronta ad essere ceduta dal padre al marito, a essere un oggetto che si trasferisce da una casa all’altra – anche a crescere ed educare i figli illegittimi che il marito riconosceva – e disposta all’ubbidienza che le ha trasmesso la madre.
Umiliate e sconfitte alcune donne hanno sfidato cultura e tradizioni dimostrandosi forti e ribelli, dimostrando che reagire a volte era possibile e, anche nelle situazioni più difficili, lo facevano con la fuga. Questo però avveniva raramente nel ceto patrizio, più spesso tra le borghesi e le donne dei ceti umili.
La donna dei ceti popolari non era soggetta al ferreo codice d’onore delle borghesi agiate e delle aristocratiche. Fin dalla più tenera età era esposta alle insidie degli uomini, nei campi, nei pascoli, ai mercati, nelle vie cittadine, ai mulini. Non la scortavano padri, fratelli, servitori. Affrontava i rischi spesso in solitudine e della sua virtù ci si preoccupava assai di meno.
La Mazzi racconta tante vite di donne (sante, regine, badesse, semplici monache, umili contadine, serve, schiave, eretiche, streghe, prostitute che hanno scelto di sottrarsi a destini segnati, resistendo, opponendosi, fuggendo) e tanti tipi di fuga che finivano quasi sempre male perchè le donne venivano trovate, catturate, torturate, punite con la morte o relegate in monasteri dove vivevano come murate vive.
Ma non tutte andarono incontro a una sorte orrenda come, ad esempio, Ildegarda di Bingen, Umiliata dei Cerchi, Angela da Foligno, Margherita da Cortona, Brigida di Svezia, Caterina da Siena perché, afferma l’autrice in una intervista, si sono prudentemente mantenute dentro una strada possibile cercando un equilibrio difficilissimo con la Chiesa riuscendo ad avere rapporti epistolari con i potenti del tempo.
Oggi, noi siamo quello che tutte le donne del passato – da Ipazia alle donne ribelli del Medioevo a Olympe de Gouges a Mary Wollstonecraft ad Harriet Taylor -, con il loro coraggio, ci hanno permesso di essere anche perché, a dirla con Maria Bellonci, chi ci ha preceduto nei secoli non appartiene a una classe, è soltanto parte di noi, forma l’originario nucleo della nostra vita nelle sue modulazioni di oggi.
Con la tristezza per il dolore che è ancora attuale dove i diritti civili delle donne non sono riconosciuti.
Trama
Nel Medioevo le donne vivevano in una rigida sottomissione. Non assecondare la volontà della famiglia, non ubbidire agli uomini, padri, mariti o padroni, manifestare indipendenza di giudizio o di comportamento facevano di loro delle ribelli. Ma non sono mancate sante, regine, badesse, semplici monache, umili contadine, serve, schiave, eretiche, streghe, prostitute che hanno scelto di sottrarsi a destini segnati, resistendo, opponendosi, fuggendo. Donne decise a viaggiare, conoscere, insegnare, lavorare, combattere, predicare. O semplicemente a difendersi da un marito violento, da un padrone brutale. O a salvarsi la vita, scampando ai roghi dell’Inquisizione. Da Margery Kempe a Giovanna d’Arco, da santa Brigida a Eleonora d’Aquitania, alle tante ignote o dimenticate donne in fuga verso la libertà.
Editore: Il Mulino (1 giugno 2017)
Copertina flessibile: 180 pagine
ISBN-10: 8815271473
ISBN-13: 978-8815271471
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