Articolo a cura di Maria Marques
Adesso mi vedete così, bianca, in alcuni punti annerita dall’inquinamento, ma quando fui inaugurata, ero uno splendore. Dalla base alla statua dell’imperatore Traiano, collocata sulla mia sommità, catturavo l’attenzione di chi passeggiava nel foro o frequentava la Basilica Ulpia e poi di tutti coloro che, in un modo o in un altro, alzarono lo sguardo verso di me nel corso dei secoli e, ancora oggi sorrido, quando i turisti mi osservano e cercano di vedere le scene scolpite sul mio fusto.
Oggi, 12 maggio, lo considero il mio compleanno. Fui inaugurata proprio quel giorno nel 113 d.C. e, se anche la mia memoria potesse dimenticare qualche data, e sarebbe comprensibile considerata la mia vetustà, i Fasti ostienses verrebbero in aiuto ricordandola. L’iscrizione posta alla base rammenta che fui offerta dal Senato e dal popolo romano all’Optimus Princeps, l’imperatore Traiano per commemorare le vittorie riportate in Dacia, ma avevo anche altre funzioni. Per la costruzione del suo Foro, Traiano, poiché non c’era uno spazio sufficiente per il suo progetto architettonico, decise di sbancare un intero colle di fronte al Campidoglio alla base del Quirinale. Una delle mie funzioni, quindi, fu di servire da misuratore di altezza che ricordasse quanto terreno fosse stato asportato.
Ve lo confesso orgogliosamente: sono un tipo originale. Certo, colonne simili a me erano già state erette, ma nessuno aveva mai realizzato un monumento colossale sul cui fusto si avvolgeva una storia. Volendo potete considerarmi il supporto di un libro e, se non ricordo male, mi ergevo proprio in mezzo a due biblioteche. Dopo di me sono venute altre colonne simili, ma io sono “la numero uno” e ne converrete che, se anche mi do qualche aria di superiorità, questa mi possa essere concessa.
Volete qualche dato tecnico? Sono alta cento piedi romani, che tradotti, per voi significano 29,78 metri e se considerate il piedistallo e la statua alla sommità, raggiungo 39,86 metri.
Sono formata da diciassette blocchi di marmo di Carrara del peso ciascuno di circa 40 tonnellate con un diametro di 3,83 metri. Sono cava. Al mio interno, si snoda per tutta l’altezza una scala a chiocciola composta da 185 scalini che porta alla sommità. La mia base è decorata da fregi che rappresentano cumuli di armi strappati ai popoli vinti e agli angoli, quattro aquile reggono dei festoni di alloro. Sotto l’epigrafe si apre una porta che conduceva a una cella interna in cui, in un’urna d’oro, furono collocate le ceneri di Traiano e di sua moglie, Plotina. Ed ecco un’altra mia funzione: fui un sepolcro.
Ciò per cui sono famosa è che, lungo il mio fusto, si snoda un bassorilievo di circa 200 metri che si avvolge a spirale per ben ventitré volte su cui sono scolpite circa 100 o 150 scene che si riferiscono alle campagne militari sostenute da Traiano nel 101-102 d.C. e poi nel 105-107 d.C., nella Dacia, corrispondente all’incirca all’attuale Romania. Le due campagne sono separate nella narrazione da una Vittoria alata rappresentata mentre scrive su uno scudo. Perché queste imprese militari? Perché il confine danubiano non era sicuro e si perseguiva una politica espansionistica verso Oriente. Inoltre non dimenticate che la Dacia possedeva ricchi giacimenti d’oro e di ferro…non aggiungo altro!
Torniamo al mio fregio che non è sempre della stessa altezza per compensare la deformazione prospettica verso l’alto. Cresce quindi, partendo da 0,89 sino ad arrivare a 1,25 metri.
Gli episodi raffigurati, partendo dal basso verso l’alto, vogliono essere un documentario, una cronaca, delle imprese durante le due campagne militari e si richiamano ai quadri che i generali, durante i trionfi, facevano sfilare per rendere partecipe il popolo di quanto fosse avvenuto. In quest’ottica ogni azione assume rilevanza, non solo le battaglie ma anche scene di marcia, i trasferimenti delle truppe, la costruzione degli accampamenti, sino ad arrivare alle drammatiche scene finali che si chiudono con la sconfitta di Decebalo, il sovrano della Dacia. Le scene sono incastonate in ambienti caratterizzati in modo preciso e completavano i bassorilievi armi in miniatura di bronzo, poste in mano ai personaggi rappresentati. Tuttavia né le armi né i miei colori sono arrivati sino a voi, potete solo immaginarli.
Volete forse obiettare che le scene finali della storia con la sconfitta del re e il trasferimento del tesoro non si potessero vedere? Dovete immaginare che originariamente ero circondata da edifici dotati di terrazze e la presenza dei colori facilitava la visione delle scene.
L’unico elemento simbolico rappresentato è la personificazione del fiume Danubio, che emergendo dal suo letto, invitava i Romani a passare, mentre l’imperatore Traiano è stato raffigurato ben cinquantanove volte.
Tutto il complesso degli edifici traianei non è sopravvissuto al tempo… ma io sì, sono passata attraverso i secoli abbastanza indenne. Ho assistito alle invasioni barbariche, ho ascoltato nel 663 l’imperatore bizantino Costante II Eraclio ordinare di prelevare alcune statue di bronzo, tra cui forse anche la statua di Traiano sulla mia sommità. Ho ospitato anche una piccola chiesa all’inizio dell’XI secolo, San Niccolò de Columna demolita quando giunse in visita a Roma l’imperatore Carlo V nel 1546.
Ero così famosa che un decreto del Senato Romano del 1162 infliggeva la pena di morte per chiunque mi avesse danneggiato o distrutto e, nel 1587, fu posta sulla mia sommità una statua di San Pietro. Su di me alzò lo sguardo ammirato Raffaello e Bernini affermò che “la Colonna Traiana era la fonte da cui tutti i grandi uomini avevano tratto la forza e la grandezza del loro disegno”.
Non fui solo lodata. Alcuni artisti rilevarono difetti nella composizione e nell’uso della prospettiva e per rispondere a questi detrattori dovetti aspettare sino al 1763, quando Francesco Algarotti, noto collezionista, in una sua lettera spiegò che “il maestro delle imprese di Traiano” scolpì alcune cose più grandi del normale perché desiderava che le figure più rilevanti diventassero non solo degli emblemi, ma potessero essere viste facilmente anche da chi si trovava in basso.
Non dimenticate che, in fondo, il mio fine ultimo era propagandistico.
Ora vi chiederete chi fosse questo “maestro delle imprese di Traiano”. Con questo titolo definite il mio costruttore, di cui ahimè non ricordo il nome. Sicuramente fu un vero genio, tanto che alcuni vostri contemporanei ritengono fosse il famoso architetto Apollodoro di Damasco. In questo non posso aiutarvi, alcuni particolari sono sfuggiti alla mia memoria e aggiungo, a mia discolpa, che in quel momento ero più attenta a che tutti i miei pezzi prendessero vita e fossero assemblati alla perfezione per sfidare il tempo, le intemperie, gli assalti degli uomini, per giungere sino a voi, raccontando come adesso sto facendo, qualcosa della mia vita.
Fonti
Roma. L’arte nel centro del potere di Ranuccio Bianchi Bandinelli, vol. 1, RCS Corriere della Sera, Milano, RCS, 2005,
https://www.romanoimpero.com/2016/10/colonna-traiana.html
https://it.wikipedia.org/wiki/Colonna_Traiana
http://www.sovraintendenzaroma.it/content/la-colonna-traiana