Viaggio nella storia

6 maggio 1527: Carlo V e il Sacco di Roma

Articolo a cura di Roberto Orsi

All’alba del 6 maggio 1527 l’esercito dell’imperatore Carlo V con alla testa i Lanzichenecchi luterani, soldati mercenari, calarono su Roma saccheggiando e devastando la città per mesi. Il Sacco di Roma del 1527 è la profanazione della città santa, della capitale del cattolicesimo da parte di soldati protestanti, un fatto storico che ha lasciato conseguenze su tutta la storia europea e che viene considerato come la fine del Rinascimento.

Gli antefatti

Per capire le ragioni di quanto avvenuto e approfondire la conoscenza del contesto storico, facciamo un passo indietro.

Nel 1519 Carlo d’Asburgo venne nominato imperatore con il nome di Carlo V e il 26 ottobre 1520 nella cattedrale di Aquisgrana venne incoronato Imperatore del Sacro Romano impero. 

L’impero di Carlo V era vastissimo. Un impero “su cui non tramontava mai il sole”: andava dalla Spagna all’Italia meridionale, Sicilia, Sardegna alle terre degli Asburgo, Boemia e Paesi Bassi, nonché le vaste colonie castigliane e una colonia tedesca nelle Americhe.

Per cercare di contrastare il potere degli Asburgo che in tutta Europa si stava facendo sempre più importante, il re di Francia Francesco I si fece promotore di un’alleanza contro l’imperatore, chiamata Lega di Cognac.

A questa alleanza aderirono il Papa Clemente VII (Giulio de’ Medici), il Ducato di Milano, la Repubblica di Venezia, la Repubblica di Genova e la Firenze dei Medici. La lega si inserisce nel contesto delle grandi guerre d’Italia del XVI secolo avviate nel 1494 e concluse nel 1559 con la pace di Cateau Cambrésis.

L’adesione di Papa Clemente VII, eletto in precedenza con il sostegno della casa di Spagna, fu considerato da Carlo V un tradimento da punire. Il papa era in effetti uno dei promotori più attivi della Lega di Cognac. L’imperatore asburgico, avendo già nelle proprie mani l’Italia settentrionale e quella meridionale, costituiva una seria minaccia per i territori dello Stato Pontificio.

Martin Lutero

In questo contesto politico molto frammentato, si inserisce anche la questione religiosa che in quegli anni viveva un periodo di forte spaccatura con la riforma Luterana. Su Martin Lutero e la sua dottrina si è discusso abbondantemente all’interno del nostro blog e vi rimando a un articolo su di lui.

Il Papa e la chiesa cattolica erano quindi già nel mirino dei soldati mercenari, per lo più protestanti luterani, al soldo di Carlo V d’Asburgo. I Lanzichenecchi, al comando del duca Carlo III di Borbone-Montpensier, uno dei più grandi condottieri francesi, inviso al re Francesco, erano seguaci di Martin Lutero, desiderosi di poter distruggere Roma che consideravano la sede dell’anticristo.

La discesa verso Roma

Il 12 novembre 1526 circa 14.000 miliziani mercenari, comandati in campo dal generale Georg von Frundsberg (una persona che di certo non le mandava a dire: pare che avesse espresso il fermo intento di impiccare Clemente VII una volta giunto a Roma), lasciano Trento in direzione di Roma.

Le truppe di Carlo V incontrarono alcuni tentativi di resistenza nella loro discesa della penisola, tra cui quello di Giovanni dalle Bande Nere sul Mincio, ma nella maggior parte dei casi i Signori delle città sul loro cammino lasciavano strada senza colpo ferire..

Arrivati presso le mura della città, i Lanzichenecchi con 6.000 soldati spagnoli , alcuni disertori della Lega ,soldati licenziati dal papa, banditi attratti dalle possibili razzie, sbaragliarono i 3000 mercenari svizzeri che le difendevano ed entrarono in Roma. Era il 6 maggio del 1527.

Privi di comando, il comandante Georg von Frundsberg era ritornato in Germania per problemi di salute, i Lanzichenecchi con una forte avversione per il cattolicesimo, senza paga, abbandonati a se stessi, frustrati da una campagna militare deludente, misero a ferro e fuoco la città. Uccisero nobili e cardinali, molti vennero torturati senza pietà perché rivelassero dove avevano nascosto le loro ricchezze, le monache e le donne furono brutalmente violentate. Le chiese devastate e molte opere d’arte distrutte. Il saccheggio durò otto giorni.

Carlo V era un imperatore cattolico fervente, ma non fece nulla per far cessare quello scempio. I Lanzichenecchi rimasero a Roma nove mesi e lasciarono la città solo dopo che la Chiesa pagò un altissimo riscatto di circa 400,000 ducati. La vita a Roma, già complicata prima dell’assalto, era diventata impossibile: le strane erano piene di cadaveri, i viveri e l’acqua scarseggiavano e le epidemie uccidevano senza pietà.

Papa Clemente VII, fuggito durante l’assalto, si era rifugiato nella fortezza di Castel Sant’Angelo insieme alla sua corte.

Il 5 giugno, dopo aver accettato il pagamento di una forte somma per il ritiro degli occupanti, Clemente VII si arrese e fu imprigionato in un palazzo del quartiere Prati in attesa che versasse quanto pattuito. La resa del papa era però uno stratagemma per uscire da Castel Sant’Angelo e, grazie agli accordi segretamente presi, fuggire dalla Città eterna alla prima occasione.

Il 7 dicembre una trentina di cavalieri e un forte reparto di archibugieri agli ordini di Luigi Gonzaga “Rodomonte”, assaltarono il palazzo liberando Clemente VII che venne travestito da ortolano per superare le mura della città e, poi, scortato a Orvieto.

Il sacco causò danni incalcolabili sul patrimonio artistico della città. Anche i lavori nella fabbrica di san Pietro si interruppero e ripresero solo nel 1534 con Paolo III. Alla fine tra i cittadini di Roma si contarono più di 20.000 vittime uccisi dalla violenza o per la peste portata dai Lanzichenecchi, circa la metà dei suoi abitanti.

Quando Clemente VII tornò a Roma commissionò a Michelangelo il Giudizio Universale a monito per tutti coloro che avevano distrutto la città.

Conseguenze

Il Sacco di Roma rappresenta un punto di svolta per l’intero mondo cattolico. I discutibili costumi della Chiesa Cattolica, le logiche di potere tra le famiglie e la vendita delle indulgenze, avevano portato alla violenta critica luterana e alla nascita del Luteranesimo. L’evento del 1527, con la razzia da parte di un esercito di Lanzichenecchi, un esercito protestante, appena dieci anni dopo la pubblicazione delle 95 tesi di Lutero (nel 1517), portarono la Chiesa a reagire. Paolo III, successore di Clemente VII, nel 1545 indisse il Concilio di Trento, con la conseguente nascita della Controriforma.

Bertrand Russell e altri studiosi indicano il 6 maggio 1527 come la data simbolica in cui porre la fine del Rinascimento.

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