Articolo a cura di Annalisa Stancanelli
Cari amici di Thriller Storici e Dintorni, studio Archimede da anni e continuo a scoprire sul genio siracusano notizie inedite. Nel thriller “Mistero siciliano. Per la tomba di Archimede si può anche uccidere” (Mursia) affronto, infatti, gli ultimi mesi di vita dell’uomo che per molti mesi protesse Siracusa dalla conquista romana grazie alle sue armi belliche, alle sue progettazioni difensive e fortificazioni. Il romanzo è un buon punto di partenza per sapere di più sui misteri di Archimede ma Roberto Orsi mi ha dato questa possibilità di raccontare alcune chicche e io ne approfitto.
In questo articolo affrontiamo il rapporto con l’astronomia e la progettazione e realizzazione da parte del genio siracusano di un planetario talmente splendido da essere citato nelle opere letterarie latine.
Archimede e l’astronomia
Pochi sono i dati biografici su Archimede assolutamente certi. Come sottolinea lo storico della scienza Lucio Russo “non vi è dubbio che Archimede fosse siracusano e che sia morto durante il saccheggio romano di Siracusa del 212 a.C. La notizia che fosse figlio dell’astronomo Fidia, riportata in molti testi come certa, deriva da un passo di Archimede stesso (…) che il filologo Friedrich Blass nel 1883 ha emendato congetturando che contenesse le parole -mio padre Fidia-. Poiché il contesto riguarda una stima del rapporto tra le dimensioni del Sole e della Luna, se l’emendamento è corretto, l’ipotizzato padre Fidia in almeno un’occasione doveva essersi occupato di Astronomia ma nessun’altra fonte nomina un astronomo con questo nome. Non credo vi sia motivo di dubitare dell’affermazione di Plutarco che Archimede, oltre che amico, fosse anche parente del tiranno di Siracusa Gerone , anche se a qualcuno l’informazione è sembrata in contraddizione con un passo di Cicerone”.
Il rapporto fra Archimede e l’astronomia è forse segnato dalla nascita ma certo il siracusano studiò il cielo ed i suoi pianeti. Lo dimostra la sua opera “Arenario” dove si occupò del diametro del Sole e della Luna e della distanza fra di essi.
Il planetario di Archimede
Qualche anno fa mi sono occupata di alcuni speciali per il quotidiano LA SICILIA che riguardavano Archimede. In quel periodo, era il 2006, si venne a sapere che nel porto di Olbia era stato ritrovato un antico ingranaggio. Il restauro del reperto ha riservato straordinarie sorprese: la Soprintendenza per i Beni Archeologici, ha stabilito che sia da datarsi fra fine del III e la metà del II secolo a.C.
I denti presentano una curvatura che li rende incredibilmente simili a quelli degli ingranaggi che impieghiamo attualmente, anche la composizione è sorprendente: ottone e, benché sia il più antico fra i reperti di questa natura, è senza dubbio il più evoluto. La datazione, le caratteristiche uniche hanno convinto alcuni che si tratti proprio del planetario di Archimede di Siracusa.
Svolgendo delle ricerche mi sono imbattuta in almeno tre citazioni di questa costruzione archimedea, due più note, una poco conosciuta.
Le fonti storiche
La prima è certamente la rievocazione lasciata da Marco Tullio Cicerone nel libro I delle Tusculanae Disputationes: «Archimede insomma, rappresentando in una sfera il corso della luna, del sole e dei cinque pianeti ha fatto quello che fece il dio di Platone; il quale nel suo Timeo costruisce l’universo, e con una sola rotazione regola il moto degli astri, lento in alcuni celere in altri. Se la sola potenza di un dio può eseguire questi movimenti nel mondo, Archimede li ha potuto imitare in una sfera perché dotato di genio divino […]».
Di Archimede astronomo parlano anche Plutarco e Proclo. Dalle testimonianze si evince che Archimede riprodusse una rotazione sintetica, comprendente il moto del sole, della luna e delle stelle: facendo muovere questa sfera, si vedeva la luna alternarsi al sole nell’orizzonte terrestre.
L’archeologia ci viene qui in aiuto: nel 1900, grazie alla segnalazione di un gruppo di pescatori, al largo dell’isola di Antikythera, vicina a Creta, alla profondità di circa quarantatré metri, fu scoperto il relitto di un’enorme nave affondata, risalente all’87 a.C. Il ritrovamento fu particolarmente fortunato, perché dal relitto della nave emerse un meccanismo, in precario stato di conservazione, che agli studi degli archeologi si rivelò essere un planetario: il più antico calcolatore meccanico conosciuto, mosso da ruote dentate, che serviva per calcolare il sorgere del sole, le fasi lunari, i movimenti dei cinque pianeti allora conosciuti, gli equinozi, i mesi, i giorni della settimana e – secondo la conclusione di un recente studio – anche la data delle Olimpiadi: quel meccanismo è oggi noto come Macchina di Antikythe.
Appassionato di astronomia e ammiratore del genio di Archimede, da lui definito “mente divina”, Cicerone fornisce una puntuale descrizione del planetario meccanico che il Siracusano aveva realizzato.
Ma è il poeta Claudiano molti secoli dopo a dedicare un Epigramma all’invenzione del vecchio siracusano
IN SPHAERAM ARCHIMEDIS EPIGRAMMA
Iupiter in parvo cum cerneret aethera vitro,
Risit, et ad superos talia dicta dedit:
Huccine mortalis progressa potentia curae?
Iam meus in fragili luditur orbe labor.
Iura poli, rerumque fidem, legesque Deorum
Ecce Syracosius transtulit arte senex.
Inclusus variis famulatur spiritus astris,
Et vivum certis motibus urget opus.
Percurrit proprium mentitus signifer annum,
Et simulata ovo Cynthia mente redit.
Iamque suum volvens audax industria mundum,
Gaudet et humana sidera mente regit.
Quid falso insontem tonitru Salmonea miror?
Aemula naturae parva reperta manus.
Vedendo Giove l’ universo racchiuso in una piccola sfera di vetro,
sorrise e, voltosi agli altri Dei, così disse:
A tanto è arrivato il potere degli uomini!
Tutta la mia fatica ormai si rappresenta in una fragile sfera,
ed un vecchio Siracusano vi ha saputo riprodurre con l’arte sua i principi e l’armonia dell’ Universo, le leggi divine.
E vi ha rinchiuso uno spirito che regola il vario moto degli astri,
e agita quell’opera viva con movimenti prestabiliti.
Vi è perfino un finto Zodiaco che fa il suo giro,
una finta Diana (la Luna) che torna ogni mese.
L’ audace ingegno gode a muover questo suo mondo,
a regolar gli astri con legge umana…
Claudiano
(traduzione di Mario Geymonat)
Anche Ovidio nei Fasti ricorda il genio di Archimede ed il suo planetario
Fasti (VI, 263-283), Arte Syracosia suspensus in aere clauso/stat globus, immensi parva figura Poli. (Grazie all’abilità di un siracusano un globo sta sospeso nell’aria, piccola rappresentazione del grande mondo),
mentre Lattanzio parlò di una sfera concava di metallo.
Innovativo per i tempi e straordinario era il sistema poiché le testimonianze raccontano che Archimede riprodusse una rotazione sintetica, comprendente il moto del sole, della luna e delle stelle: facendo muovere questa sfera, si vedeva la luna alternarsi al sole nell’orizzonte terrestre.
Di Archimede astronomo parlano anche Macrobio e Ammiano Marcellino cita Archimede come eccellenza nello studio degli astri con gli astronomi Metone, Eutemone e Ipparco di Nicea. Ammiano Marcellino lo indica anche come astrologo per il grande apporto dato alle osservazioni dei solstizi. Per Tertulliano (II-III d.C.) “il geometra e l’astronomo erano dei musicisti” per questo ad Archimede attribuisce l’invenzione dell’organo; anche lo storico Zosimo attribuì ad Archimede lo strumento musicale. Nella sua “Storia della musica” G.Martini nel 1781 cita sempre Archimede per l’invenzione dell’organo idraulico e descrive lo strumento, fatto di “tanti membri, parti, connessure, giri di voci e compendi di Tuoni”.
Tornando al planetario o alla sfera che compendia i moti celesti Cicerone (106-43 a.C.) riferisce che, dopo la conquista di Siracusa nel 212 a.C., il console romano Marcello lo aveva portato a Roma e che molti anni dopo Gaio Sulpicio Gallo lo aveva potuto ammirare nella casa di un discendente. In altre fonti il planetario, inizialmente, era stato donato da Marcello al tempio della Virtus, a Roma come ringraziamento per la vittoria avuta sui siracusani.
Secondo la ricostruzione pare che a Siracusa fosse possibile ai tempi di Ierone II e poi di Geronimo ammirare più di un planetario. Certamente quello costruito con metalli preziosi doveva essere custodito nella reggia mentre i nuovi congegni si trovavano nella dimora dello stesso Archimede.
Il planetario della reggia era così meraviglioso che gli stessi potenti lo guardavano con ammirazione mista a devozione se Claudiano molti secoli dopo quasi interpreta il sentimento di invidia dello stesso Zeus che si vede in un certo senso “rubare” la sua opera divina da un vecchio.
Ma dove è il confine fra storia della scienza e mito?
Per alcuni lo “spirito” di Claudiano era l’aria posta all’interno del globo di vetro, per altri il sistema di ruote dentate che facevano muovere i pianeti. Archimede era esperto sia di pneumatica che di meccanica quindi avrebbe potuto utilizzare entrambe le forze.
Nel 1974 lo storico della scienza Derek J. De Solla Price ritenne che lo strumento funzionasse con treni di ingranaggi simili a quelli presenti nel meccanismo di Antikythera, risalente al I secolo a.C.
Michael Wright del Museo della Scienza di Londra ha ricostruito nel 2011 una versione del planetario di Archimede. Ventiquattro ingranaggi interni guidano puntatori curvi di rame da muovere a mano (che rappresentano il moto dei corpi celesti) sulla sfera. Quelli di Sole e Luna si muovono a scatti, a velocità costante, quelli dei pianeti sono più liberi e si spostano a diversa velocità rispetto alle stelle fisse, come avviene nel cielo reale. Non sappiamo se Archimede abbia effettivamente costruito un simile strumento, ma il lavoro di Wright vuole dimostrare che aveva tutte le carte in regola per farlo.