A cura di Roberto Orsi
Pietro Aretino nasce ad Arezzo il 20 aprile 1492 è figlio di Luca del Tura calzolaio e di Tita Bonci che discendeva da una famiglia dissestata ma non oscura, modella dipinta da parecchi artisti. Pietro disconobbe il cognome paterno, avendo il genitore abbandonato la famiglia. Giovanissimo, il nostro raggiunse Perugia dove imparò anche a dipingere e dove scrisse i primi versi in stile petrarchesco. Si presume che l’Aretino non avendo frequentato molte scuole non fosse un uomo coltissimo né dotto, ma aveva doti di veloce assimilatore.
Il banchiere Agostino Chigi gli aprì le porte del mondo romano dove il suo ingegno brillante gli fece ottenere ammirazione e protettori, tra i quali Leone X e Giulio dei Medici.
Pietro non difettava di ironia e di un temperamento dissacrante. Scrisse le Pasquinate dove mise molto del suo temperamento satirico e si fece beffe di papa Adriano VI, eletto successore di Leone X.
Questi componimenti satirici gli creano non pochi problemi, al punto che è costretto a lasciare la città e a girovagare per l’Italia fino quando, nel 1523, il suo antico signore Giulio de’ Medici viene eletto papa col nome di Clemente VII.
Il secondo soggiorno romano non durò più di due anni; qui scrive La Cortigiana, una commedia in cui gli intrecci amorosi sono assai ricchi di allusioni sessuali e dove viene dipinta una Roma in preda del caos.
E’ autore di sedici Sonetti lussuriosi a tema erotico e subito dopo scrive i Dubbi amorosi, una raccolta di 31 componimenti poetici, ciascuno riguarda un dubbio che può sorgere in situazioni amorose con mogli, mariti e prostitute che hanno il sesso come unico argomento di discussione. Ogni dubbio viene illustrato e chiuso con una massima per risolvere il problema. Questi scritti suscitano molto scalpore, la sessualità fino ad allora era intesa in modo platonico e sentimentale.
Il tono fortemente licenzioso di queste opere attira l’ira del potente vescovo Gian Matteo Giberti che nell’estate del 1525 lo fa aggredire, mentre passeggia sul Lungotevere, viene raggiunto da cinque coltellate che non lo uccidono per puro miracolo. L’Aretino raggiunge Giovanni dalle Bande Nere che si sta preparando a difendere Roma dall’ira di Carlo V. Famosa la lettera sugli ultimi istanti di vita dell’amico, l’Aretino scriverà a Francesco degli Albizi quella che probabilmente è la più bella epistola di tutta la letteratura rinascimentale.
Infine nel 1527 si stabilisce a Venezia, la città che gli diede la gloria.
La Serenissima è un centro culturale particolarmente attivo perché gode di una forte indipendenza dalla censura papale ed è uno dei principali centri di diffusione in Italia del libro stampa: difatti qui hanno sede alcune tra le più importanti aziende editoriali del periodo.
L’Aretino vive in un periodo storico in cui fioriscono le arti, la pittura come la scultura e l’architettura raggiungono il massimo e l’invenzione della stampa con caratteri mobili di Gutemberg favorisce la diffusione dei libri. Pietro Aretino sfrutta questa nuova opportunità dedicandosi alla scrittura di opere delle più varie.
Il periodo veneziano per l’Aretino è molto produttivo, copre argomenti molto diversi ed è vastissima, in questo periodo scrive la sua unica Tragedia L’Orazia pubblicata per la prima volta nel 1546, dedica al Pier Luigi Farnese, figlio di papa Paolo III.
Oltre che a dedicarsi alla lettura l’Aretino fece il mercante d’arte, aiutato da un giovane Tiziano che aiutò a piazzare i suoi dipinti in molte corti europee. Nella città della laguna si circonda di ragazze, chiamate le aretine, che vivono nella sua grande casa. Una di queste Caterina gli darà due figlie, Adria e Austria.
Nel 1538 pubblicherà una raccolta in sette uscite, di lettere da lui indirizzare a papi, nobili e amici. Fu definita la prima grande raccolta epistolare della letteratura italiana,
L’Aretino era attratto dalle corti, ma tutte le sue opere sono ricche si satira, racconta della vita che si svolge nelle corti rivelandone le miserie, le umiliazioni gli inganni e gli intrighi
Pietro veniva chiamato “divino” dai suoi ammiratori, soprannome di cui ne andava fiero, mentre per le sue satire veniva chiamato il “flag’ello dei principi”.
21 ottobre 1556, Una leggenda narra che L’Aretino morì a Venezia in un modo particolare, ascoltando una storiella sconcia, si mise a ridere così forte da cadere all’indietro e sbattere la testa.
Fu sepolto appunto nella chiesa di San Luca e sulla sua lapide fu apposta una singolare epigrafe: Qui giace l’Aretin, poeta Tosco, che d’ognun disse mal, fuorché di Cristo, scusandosi col dir: ‘Non lo conosco’!.
Due anni dopo la sua morte l’inquisizione, mise al bando tutte le sue opere e lo scrittore che in vita era stato celebrato e osannato ricevette dopo la morte le più vergognose critiche. Solo nel Novecento lo scrittore verrà considerato il simbolo della letteratura rinascimentale.
Fonte: https://le-citazioni.it/frasi/148520-pietro-aretino-ultime-parole-guardatemi-dai-topi-or-che-son-unt/
Epitaffi – da PensieriParole.it <https://www.pensieriparole.it/umorismo/epitaffi/>
https://it.wikipedia.org/wiki/Pietro_Aretino
https://www.studenti.it/pietro-aretino-biografia-e-opere.html