Articolo a cura di Luca Nesler
Niccolò Cusano
Niccolò Cusano (1401-1464), giurista, teologo, filosofo, politico, matematico e astronomo tedesco, fu tra i più autorevoli esponenti dell’Umanesimo europeo. Molti lo conoscono per le sue opere filosofiche, alcune delle quali hanno ispirato le idee che hanno portato Giordano Bruno al suo triste destino.
Chi si accosta a questa figura potrebbe spendere molto tempo a studiare il suo pensiero, ma potrebbe trascurare il suo periodo come vescovo della diocesi di Bressanone nell’odierno Alto Adige. Nei dieci anni in cui fu principe-vescovo in Tirolo, Cusano riuscì a inimicarsi tutti tra nobili, ecclesiastici e persino il volgo a cui aveva vietato feste dopo la messa e gli amatissimi dadi. Per questo fino a pochi decenni fa, il teologo e filosofo tanto apprezzato nel mondo, era detestato da molti nell’area tirolese.
La riforma della vita monastica voluta da papa Niccolò V, prevedeva che, per il lustro di Santa Madre Chiesa, si tornasse agli antichi rigori benedettini. Dopo aver riformato la Germania intera come legato pontificio, Niccolò Cusano fu insediato nella diocesi di Bressanone direttamente dal papa che, così facendo, si mise contro il duca Sigismondo il danaroso, conte reggente del Tirolo e odiato cugino dell’imperatore Federico III. La sua intenzione era portare ordine in una terra piccola e giovane, ma ricchissima grazie alle sue miniere d’argento e di sale.
Cusano cominciò il suo sforzo di riforma in Tirolo, ma la gente della “Terra tra i monti” non era facile da addomesticare. Il cardinale cominciò con ferma cortesia, ma nel giro di pochi anni cominciò ad accanirsi coi disobbedienti fino a livelli che potremmo definire ossessivi. I nobili dei territori tedeschi si accordarono per tendergli un agguato e ucciderlo, probabilmente d’accordo col duca stesso. Per poco, Cusano non fu catturato. Spaventato a morte si ritirò nel suo castello di Andraz, ai limiti della sua diocesi. Ma la paura non fece che esacerbare la sua rabbia e il cardinale continuò la sua lotta.
La battaglia di Marebbe
Mentre nei suoi testi predicava apertura e fratellanza, nei fatti il dotto cardinale si rivelava un uomo estremamente caparbio e severo, un vescovo dalla scomunica facile. Tra le sue dispute più intriganti, c’è quella con la badessa del monastero principesco Sonnenburg (oggi in italiano Castel Badia) durata ben otto anni.
Sonnenburg era un monastero nobiliare, un luogo cioè, dove le famiglie nobili mandavano le loro figlie, spesso, per allontanarle da casa a causa di scandali o cattiva condotta. In questo castello un esiguo numero di giovani suore viveva come principesse. La regola monastica di San Benedetto era una formalità poco seguita o, come in questo caso, del tutto elusa. Una prassi vecchia e desueta specialmente in Tirolo, dove le differenze territoriali non permettevano di seguire, per esempio, le norme alimentari che venivano seguite in Italia. Veniva usato lardo o pancetta al posto dell’olio d’oliva, contravvenendo alle disposizioni sull’uso della carne. Le monache non rispettavano la clausura, viaggiando liberamente; frequentavano le terme della vicina Brunico e ospitavano sovente uomini e nobili di passaggio. Avevano abiti splendidi e ricchezze donate dalla loro famiglia, laddove la regola imponeva povertà.
La badessa di Sonnenburg, Verena von Stuben, era una donna nobile e potente che, con altrettanta cocciutaggine, non intendeva sottostare alle rigide regole monastiche imposte dal nuovo vescovo.
Il cardinale la scomunicò e impedì alla gente del posto di pagare le decime al monastero, sperando di piegare le monache con la fame. La legge ecclesiastica prevedeva che non si dovesse obbedienza a una persona scomunicata, ma la legge tirolese permetteva la riscossione dei tributi con la forza.
Esasperate nel vedere ogni alleato farsi indietro, le suore assoldarono un gruppo di ottantasei mercenari. Questi, il 5 aprile 1458, imperversarono per i paesi attorno al monastero compiendo ogni scelleratezza per rimpinguare i magazzini di Sonnenburg. Come risposta i contadini si organizzarono e, in grande fretta, riunirono più di quattrocento uomini e prepararono una trappola lungo un’angusta strada di montagna. Liberarono una frana sui soldati per poi attaccarli. Le corrispondenze del tempo ci raccontano che morirono più di cinquanta mercenari. Il loro capitano venne arrestato e condotto nelle segrete del vescovo che fu così soddisfatto della sconfitta degli uomini della badessa, da premiare il suo capitano con una coppa d’argento col suo stemma di famiglia. Poi ordinò che i corpi dei caduti non venissero seppelliti e fossero lasciati agli uccelli. Per il resto della sua vita diede la colpa di tutto questo a Verena von Stuben. La donna, invece, scrisse alla duchessa denunciando il fatto che il cardinale avesse ordito deliberatamente l’attacco ai suoi uomini.
Dopo il massacro gli uomini del vescovo assediarono il monastero, costringendo le sette monache a fuggire nei boschi e a rifugiarsi, al mattino, in un castello di proprietà del padre di una delle suore.
Questo evento fu ricordato come “battaglia di Marebbe”.
C’è un altro fatto curioso legato alla sua memeoria: lungo la strada dove avvenne la tragedia oggi c’è una targa eretta nel 2008 che commemora i caduti.
Il testo dice: “Hier fand im April 1458 die Schalcht von Enneberg statt. Nach der Überlieferung wurden an diesem ort 50 enneberger Bauern und Soldaten des Klosters Sonnenburg von den Söldnern des Bischofs von Brixen Kardinal Nikolaus Kusanus erschlagen.”
La traduzione è: “Qui nell’aprile 1458 ebbe luogo la battaglia di Marebbe. Secondo la tradizione 50 contadini di Marebbe e soldati del monastero di Sonnenburg furono uccisi dai soldati del vescovo di Bressanone, il cardinale Niccolò Cusano.”
Secondo lo storico Wilhelm Baum le cose non andarono così. Non ci sarebbero prove che il cardinale fosse a conoscenza di cosa stava succedendo. È più probabile che i soldati fedeli al vescovo siano intervenuti a fine conflitto perché allarmati dalla gente del posto. Furono i contadini, infuriati per le nefandezze compiute ai loro danni dai soldati del monastero, che li assalirono e li uccisero.
Il falso storico riportato dalla targa è dovuto a un’errata visione della vicenda, ma è probabile che sia anche alimentato dall’antipatia che il Tirolo ha conservato a lungo per il cardinale Niccolò Cusano.