In queste settimane si è parlato tantissimo della serie tv andata in onda su Rai 1 con otto puntate dedicate a Leonardo da Vinci. Tanti articoli accompagnati anche da polemiche da parte di coloro che non hanno digerito l’intervento di fantasia messo in atto dagli sceneggiatori.
Lasciando da parte le considerazioni di tipo soggettivo, che variano in base ai gusti di ognuno di noi, abbiamo voluto intervistare una grande esperta di Storia dell’Arte e scrittrice di romanzi storici per andare ad analizzare nel dettaglio quali vicende hanno effettivo riscontro nella documentazione accertata sulla vita di Leonardo. Il nostro vuole essere un modo per sollevare quel velo di dubbio che può sorgere in chi conosce meno la vita del grande genio e si sta chiedendo cosa ci sia di vero e cosa no, nella fiction TV appena conclusa.
Grazie Daniela per aver accettato questa intervista. Proviamo a ripercorrere alcune delle tappe fondamentali della vita di Da Vinci come sono state proposte nelle otto puntate.
Leonardo iniziò la sua carriera artistica nella bottega del Verrocchio a Firenze?
Sì, Andrea del Verrocchio aveva rapporti di lavoro con il padre di Leonardo e la sua bottega era una delle migliori della città. Quando Leonardo vi entrò doveva avere circa 14 anni. È vero che in questi anni Verrocchio stava lavorando alla palla di coronamento della cupola del duomo (la cui collocazione è secondo me una delle scene più belle della fiction) e che Leonardo contribuì alla realizzazione del Battesimo di Cristo del maestro. È Vasari a dire che dopo aver riconosciuto la superiorità dell’allievo in quest’opera, Verrocchio avrebbe deciso di non dipingere più.
In queste botteghe dell’epoca erano ammesse modelle di sesso femminile per la rappresentazione nei quadri?
Nella bottega si praticava lo studio del disegno dal vero, soprattutto di anatomia, meccanica, panneggio, ma era considerato assolutamente disdicevole che una fanciulla che non fosse una prostituta posasse, e sicuramente non seminuda e travestita da dea classica (questa è una delle scene più improbabili della fiction). Esiste un disegno preparatorio di Leonardo per il viso della Madonna dell’Annunciazione degli Uffizi che mostra chiaramente che è stato usato come modello un bambino.
Caterina da Cremona è un personaggio realmente esistito? Esistono documenti che attestino una presenza femminile così assidua nella vita di Leonardo?
Assolutamente no, Caterina da Cremona non è esistita. Esiste una nota di Giuseppe Bossi, dal 1801 segretario dell’Accademia di Brera, che afferma: “Che Leonardo amasse i piaceri lo prova una sua nota riguardante una cortigiana chiamata Cremona, nota comunicatami da persona autorevole”. Un riferimento vecchio di due secoli, che fa riferimento a una nota scomparsa o dispersa, vista non dal Bossi stesso ma da un’altra persona ancora, non nominata benché giudicata “autorevole” da lui, a sua volta studioso autorevole. Esistono poi delle note nei fogli di Leonardo per spese sostenute da una Caterina che abita con lui a Milano dal 1493 per qualche anno, a cui Leonardo paga un funerale piuttosto dispendioso. L’ipotesi più accreditata è però che si tratti di sua madre, anche se viene sempre nominata solo con il nome. A parte questa misteriosa Caterina milanese, intorno a Leonardo adulto compaiono quasi esclusivamente figure maschili, per lo più giovani allievi di bella presenza. Si parla di una amicizia particolarmente profonda tra Leonardo e Cecilia Gallerani, ma anche questa credo sia del tutto ipotetica.
È vero che Leonardo fu cacciato dalla bottega del Verrocchio? Se sì perché? E grazie a chi o a cosa fu poi riammesso?
Non sarebbe stato certo possibile cacciare il figlio di un influente notaio, oltretutto amico del maestro, e comunque questa notizia non è riportata in nessuna fonte. I rapporti di Leonardo con Verrocchio dovettero anzi continuare anche quando il giovane iniziò a lavorare in proprio.
È vero il rapporto delineato nella serie TV con il padre Piero?
Sicuramente il rapporto di Leonardo con il padre fu complesso, ma probabilmente non così teso come appare nella fiction. Leonardo soffrì certo del fatto di non essere mai riconosciuto ufficialmente dal padre e pertanto anche escluso dalla sua eredità, per la verità molto modesta, soprattutto rispetto al numero dei figli. All’epoca della nascita del primogenito, Piero era fidanzato con la figlia di un ricco artigiano, Albiera. La nascita del piccolo da una fanciulla socialmente inferiore, di nome Caterina, poteva forse mettere in pericolo questa unione vantaggiosa, per cui negli anni dell’infanzia Leonardo fu lasciato in custodia ai nonni che gli dimostrarono sempre grande affetto, così come lo zio Francesco.
Ma Piero cercò sempre di aiutarlo, facendolo poi trasferire a Firenze, mettendolo a bottega presso uno degli artisti più apprezzati della città e procurandogli probabilmente le prime importanti commissioni, come il ritratto di Ginevra Benci e l’Adorazione dei magi per San Donato a Scopeto. E’ probabile che il padre deplorasse la tendenza di Leonardo a non completare le opere, ma fu poi certo orgoglioso della sua crescente fama. I rapporti furono invece difficili piuttosto con i fratellastri, in particolare dopo la morte del padre e dello zio, per una controversia sorta proprio sull’eredità dello zio Francesco, che aveva lasciato parte dei suoi beni a Leonardo, quasi a compensazione di quanto non ottenuto dal padre.
Il ritratto di Ginevra Benci fu davvero tagliato dal padre della ragazza?
Di questo ritratto sappiamo assai poco e lo stesso committente non è certo. La donna è stata identificata proprio per la presenza del cespuglio di ginepro alle sue spalle, che ha permesso di collegare l’opera con una Ginevra de’ Benci appartenente a una famiglia in stretto contatto con il padre di Leonardo. Di lei sappiamo che ebbe un fitto scambio epistolare con Bernardo Bembo, che potrebbe perfino essere il vero committente dell’opera. Il ritratto fu certamente tagliato, come dimostra l’incompletezza dell’immagine dipinta sul retro, che sembra richiamare gli emblemi del Bembo, ma non si sa quando né perché.
Ritengo comunque positivo che si sia voluta citare nello sceneggiato un’opera poco celebrata di Leonardo (e sulla cui autografia permane qualche piccolo dubbio), attirando così la curiosità anche su qualcosa di meno universalmente noto.
Leonardo, alla corte di Milano, progettò la statua equestre in memoria del padre di Ludovico il Moro, Francesco Sforza? Portò a compimento quest’opera?
Purtroppo quest’opera, l’unica scultura di Leonardo di cui abbiamo certezza dell’esistenza, non è stata completata, come tante altre dell’artista, ma questa volta non per colpa sua. Sicuramente il lavoro andò per le lunghe, tanto che a un certo punto il Moro chiese che gli fossero inviati degli esperti fonditori da Firenze, perché dubitava delle capacità di Leonardo di portare a termine il lavoro, ma il fallimento definitivo dell’impresa fu causato prima dallo storno del bronzo per la statua, utilizzato per realizzare cannoni, e poi dalla distruzione del modello a dimensione definitiva, completato e celebrato dai contemporanei, da parte delle truppe francesi che occuparono Milano nel 1499.
La scena in cui Leonardo salva Ludovico il Moro facendogli bere l’antidoto al veleno che aveva ingerito, è realmente avvenuta?
No, mai. E’ invece possibile (ma non sicuro, come non è nemmeno sicuro che sia stato avvelenato) che Ludovico il Moro abbia davvero avuto un ruolo nella morte del nipote Gian Galeazzo, duca di Milano, avvenuta però anni dopo rispetto a quanto mostrato nella fiction, dove muore ancora bambino.
Gian Giacomo Caprotti, detto il Salaì, è realmente esistito. Ci fu davvero un rapporto molto stretto con il Maestro Leonardo?
Molto stretto, forse di tipo quasi paterno, forse diverso. In merito alla presunta omosessualità di Leonardo ci sono molti indizi, ma nessuna certezza; l’unico dato certo è la denuncia anonima per sodomia, cui non venne dato seguito forse anche per il coinvolgimento di un Tornabuoni nella vicenda.
Tornando a Caprotti, il soprannome Salaì , ovvero Saladino, venne dato a Gian Giacomo proprio da Leonardo, con il significato di “diavoletto” (Saladino era un diavolo del “Morgante” del Pulci). Egli venne accolto in casa di Leonardo come servitore all’età di 10 anni e subito iniziò a mettersi in mostra come discolo e ladro, rubandogli 4 lire già il secondo giorno e facendo sparire più volte anche denaro dei suoi amici, che usava per comprarsi confetti all’anice, di cui era ghiotto (e infatti ”bugiardo, ladro, ostinato e ghiotto” lo definisce Leonardo in un appunto). A un banchetto cui erano stati invitati, scrive sempre Leonardo, Salaì “cenò per due e fece male per quattro”. Tuttavia Leonardo perdonava sempre il giovane, che d’altra parte rimase al suo fianco per tutta la sua esistenza. Stranamente, però, Salaì non accompagnò Leonardo in Francia, preferendo rimanere a Milano, nella casa nella vigna di Leonardo che gli fu poi lasciata in eredità. Forse era stato sostituito nel cuore di Leonardo dal più affidabile Francesco Melzi, che lo seguì a Cloux e che ebbe poi un lascito testamentario ben più cospicuo. Nel testamento Salaì viene definito “il mio servitore”.
Leonardo e Michelangelo hanno davvero avuto diverbi e contrasti durante la loro permanenza a Firenze?
Sì, alcuni scambi velenosi sono anche testimoniati da fonti contemporanee. Erano due persone molto diverse, sia per carattere (scontroso e irascibile Michelangelo, cordiale e piacevole Leonardo), sia per concezione artistica (idealistica Michelangelo, materialistica e pragmatica Leonardo). Sicuramente Michelangelo non gradì il parere di Leonardo sulla collocazione del David contro la parete di fondo della loggia di piazza della Signoria, piuttosto che davanti al palazzo.
Una scena molto simile a quella descritta nello sceneggiato per le strade di Firenze avvenne realmente. Leonardo, richiesto da amici di una spiegazione di un passo dantesco, rispose di rivolgersi per questo piuttosto a Michelangelo, che stava passando proprio in quel momento. Lo scultore, che soffriva di manie di persecuzione non da poco, credette che Leonardo lo stesse prendendo in giro e lo aggredì verbalmente, accusandolo appunto di non saper portare a termine nulla.
I due artisti furono arruolati per dipingere gli affreschi nella Sala grande del Consiglio, oggi conosciuta come Salone dei cinquecento? Cosa avrebbero dovuto rappresentare?
Sì, entrambi ottennero dal gonfaloniere Pier Soderini questo prestigioso incarico. Nella sala dovevano essere rappresentate battaglie vittoriose della Repubblica fiorentina, in particolare la battaglia di Anghiari da Leonardo e la battaglia di Cascina da Michelangelo.
In seguito, in età ducale sotto i Medici, Vasari affrescò invece battaglie vittoriose dei Medici contro i nemici. Anche in questo caso l’interpretazione del tema da parte dei due artisti fu diametralmente opposta: Leonardo rappresentò la guerra come “pazzia bestialissima”, in cui uomini e animali si lasciano trascinare da una follia irrazionale. Michelangelo vide invece l’aspetto eroico, la dedizione del singolo alla causa comune e scelse il momento che anticipa la battaglia, come nel David. Nessuno dei due portò a termine il lavoro: Leonardo aveva cominciato a dipingere, Michelangelo nemmeno questo, ma di entrambi esistettero per diverso tempo i cartoni preparatori, talmente famosi e copiati dagli aspiranti artisti da essere definiti da Benvenuto Cellini “la scuola del mondo”, e proprio per questo precocemente rovinati.
Leonardo fu al servizio di Cesare Borgia per il quale disegnò e costruì diverse macchine belliche?
Sì, è vero, macchine belliche ma soprattutto disegni per migliorare le fortificazioni. Leonardo era fieramente avverso alla guerra, ma questo non gli impedì di studiare macchine micidiali, talvolta talmente terribili da scrivere lui stesso in nota che non si dovevano mai conoscere, perché sarebbero state usate per compiere atti esecrandi, come nel caso di un prototipo di macchina sottomarina.
Già aveva progettato macchine del genere per Ludovico il Moro (anzi, si era presentato a lui principalmente proprio come ingegnere militare) e forse per questo fu chiamato da Cesare Borgia. Non sappiamo moltissimo di questo periodo, che durò circa un anno. Tra le opere più straordinarie fatte per il Borgia è sicuramente da ricordare la mappa con la veduta dall’alto di Imola, mostrata anche nello sceneggiato, una novità assoluta della cartografia per l’assoluta precisione dei rilievi.
Daniela Piazza, laureata in Storia dell’Arte e diplomata al Conservatorio, lavora come insegnante in una scuola superiore a Savona. Per Rizzoli ha pubblicato il best-seller Il Tempio della Luce (2012), disponibile in BUR, e L’enigma Michelangelo (2014). L’ultimo suo romanzo è “La musica del male” pubblicato ancora da Rizzoli nell’aprile del 2019, incentrato sulle vicende di Leonardo Da Vinci nel suo soggiorno milanese alla corte di Ludovico il Moro.
Sono Patrizia Torsini, scrittrice di thriller, e conosco Daniela Piazza ma la nostra amicizia è una cosa recente. Ho potuto apprezzare la sua cultura relativa all’arte, alla storia e alla musica che guarda caso sono tutti capi saldi del suo ultimo libro “La musica del male”. Romanzo che per la sua stesura le ha senz’altro impegnato del tempo per la ricerca completando le sue ampie conoscenze personali e quindi chi più di lei poteva chiarirci i dubbi legati a questa nuova fiction? Chiarimenti necessari a fugare dubbi per quelle persone che hanno riscontrato discrepanze tra il film e le conoscenze sul genio di Vinci.
Bella intervista, ben organizzata ed approfondita. Come sempre impeccabile su Thriller Storici e Dintorni.
Complimenti a Roberto Orsi e a Daniela Piazza.