Recensione a cura di Laura Pitzalis
Non riusciva a capire come mai aveva avuto bisogno di così tante parole per descrivere la guerra, quando ne bastava solo una: paura.
Così Gabriel García Márquez nel suo libro “Cent’anni di solitudine”.
La guerra, nello specifico la Grande Guerra, è l’argomento trattato da Nicola Pera nel suo libro “La fortezza”, e la paura il sentimento che domina in tutto il romanzo: la paura non solo della morte, non solo del nemico ma anche dell’ignoto, di quello che sarà e che non ti dicono.
… La paura che ci sta prendendo di uscire da una buca in terra per tornare in un’altra buca in terra. La paura del dolore, del sangue, della morte che resta sospesa in ogni nostro discorso … L’idea che dobbiamo muoverci non per coraggio, ma per paura.
E poi la paura delle ingiustizie che devi sopportare perché in caso contrario non sarebbe stato il nemico ad ammazzarti. A quel tempo, tra chi comandava le azioni di guerra, prevaleva l’idea che i soldati fossero carne da macello, che dovessero andare contro le mitragliatrici senza fiatare, al massacro. Qualsiasi insubordinazione veniva repressa con le decimazioni, una pratica esclusiva del Regio Esercito italiano, che consisteva con la fucilazione di dieci uomini sorteggiati.
Questo è raccontato molto bene nel romanzo, e reso ancora più cruento e aberrante perché a raccontarlo è uno, innocente, che è stato sorteggiato. Viviamo quindi in prima persona il terrore e contemporaneamente la ribellione verso un’ingiustizia che, purtroppo, avrà la sua nefasta conclusione. Un vero e proprio pugno allo stomaco.
Il romanzo è diviso in tre parti: L’arrivo, L’attesa, La guerra. Nella prima tutto è tranquillo, bisogna costruire una fortezza in una situazione di calma, il fronte è lontano, i soldati non combattono ma fanno i manovali. Poi, alla caduta del fronte, si passa al periodo dell’attesa: la guerra sta arrivando, loro la sentono, sentono i rumori, all’inizio sembra un tuono, sono quasi contenti che sia un tuono, ma poi si rendono conto che c’è qualcosa di diverso, la guerra è arrivata da loro. E allora ci troviamo trasportati fra quei ragazzi, e ci troviamo immersi nel dramma corale vissuto dai molti personaggi che abitano la fortezza, immersi nel fango delle trincee e nella realtà della guerra, quella vera, quella degli orrori del conflitto ma anche della sconsideratezza degli ordini dei superiori e del loro cinismo che arriva a ordinare gli assalti non per il nobile obiettivo di difendere il proprio paese ma per il personale narcisismo di pochi. Delle proprie e vere commedie teatrali a beneficio degli ospiti dello Stato Maggiore a discapito della vita di ignari e giovanissimi soldati.
Lo dicevano tutti che quel coglione di Galli ci usava per fare contento qualcuno dello stato maggiore … Noi uscivamo urlando «Savoiaaa» come dei dannati, ma con un occhio alle buche dove tuffarci, ai muretti dove nasconderci e intanto si lasciavano andare avanti quelli che erano appena arrivati al fronte. Usciti da scuola in tempo per farsi un’ultima corsa nei prati, strabuzzare gli occhi e andare giù. Non potevamo farci nulla se non guardarli morire e aspettare che gli ospiti di Galli fossero contenti.“
Un romanzo che ci dà un quadro d’insieme logico ed emotivo di quanto avvenne in Italia durante la grande guerra. Un romanzo che testimonia fatti e vicende, situazioni e comportamenti che l’autore fa interpretare sul vivo del loro prodursi.
Elemento centrale del romanzo, però, non sono i fatti, le azioni di guerra ma la storia delle persone, una storia di situazioni e di luoghi. Ė un romanzo corale, direi polifonico, formato da tante voci individuali, che “cantano una melodia” con caratteristiche personali, che non sono mai preponderanti ma che si amalgamano per ottenere un unico suono.
La voce dei personaggi nel primo capitolo è un’introduzione, come se si dovessero presentare al lettore raccontando la loro storia e la raccontano in prima persona. Sono contadini, operai, analfabeti ma anche maestri di scuola, studenti universitari, irredentisti.
Nicola Pera la fa raccontare con un linguaggio essenziale, antieroico e comunicativo che nelle azioni più concitate diventa vivace, blasfemo, duro ma che non risulta volgare perché rispecchia, con un verismo straordinario, la situazione del momento.
Quello che accomuna tutti i personaggi, caratterizzati splendidamente grazie a una descrizione prettamente introspettiva, è un certo dualismo: quello che si vede, che si capisce, a volte, non è come sembra. Tra i tanti, il vecchio colonnello Alfieri, che deve fare i conti con un passato agghiacciante in Etiopia, o il tenente De Finis con un segreto giovanile che chiede giustizia. O ancora i due compaesani che sono stati chiamati per fare una guerra , ma che in effetti la guerra che combattono è tra loro due. E poi le donne. Solo due ma che, pur non comparendo spesso, riempiono il romanzo. Ada, che dirige l’infermeria, anche lei con un passato che ha deciso la sua esistenza e Gisella, una donna forte , una meretrice e madre, una che ha perso tutto nella fortezza e l’unica che si porterà il peso di quegli atroci eventi anche dopo la fine di questi.
Un libro da leggere e da scoprire soprattutto per l’umanità che traspare in ogni pagina. Al di là del colore delle divise e della lingua parlata, i soldati sono uguali. Giovani catapultati verso un destino di morte che loro non hanno scelto, con sentimenti, paure e dubbi che sono gli stessi da una parte all’altra del fronte.
È facile allora diventare amici, scambiarsi delle confidenze, delle speranze, e ci sentiamo tutti uguali. Anche i nemici. Non ho dubbi che se un soldato austriaco capitasse qui in mezzo a noi, gli offriremmo da bere, lui ci darebbe un po’ del suo tabacco e riusciremmo a parlare in una lingua universale fatta di gesti, di foto di famiglia tenute nel portafoglio come santini, di morose lontane di cui non abbiamo più notizie. Le facce dei loro prigionieri, dei loro morti sono uguali a noi. Ragazzi con gli occhi aperti per lo spavento di non conoscere il loro destino, dei cadaveri contratti dal dolore come i nostri.
Il finale del romanzo, e non quello della guerra che tutti sappiamo com’è andata a finire, è qualcosa di eccelso, che mi ha fatto emozionare tantissimo.
Ė una forma di epitaffio, anche questo corale dove le innocenti vittime della guerra ci esortano a raccontare a tutti le loro storie e a non dimenticarle.
Ci siamo fatti uccidere per non uccidere più, ed è stata la nostra ultima scelta e non la rimpiangiamo … Ricordate la follia di quella guerra che tanto è piaciuta ad alcuni e tanto c’è costata … Adesso che conoscete le nostre storie , raccontatele a tutti … Fateci tornare a dormire insieme, nel silenzio del fiume, e non dimenticateci.”
Sublime.
Trama
Durante la Grande Guerra alcune reclute vengono trasferite in una caserma periferica, lontana dalla prima linea, sulle rive del Piave. Il prezzo da pagare per evitare i pericoli del fronte è quello di ubbidire all’ossessione del colonnello Alfieri di voler costruire una vera Fortezza per pareggiare un suo antico e inconfessabile debito di guerra, a qualsiasi costo. I lavori procedono con fatica tra insoddisfazione, incidenti e sabotaggi, in un equilibrio instabile, dove nulla è come appare e che si rompe solo al crollo del fronte a Caporetto. Da quel momento, le giornate di soldati e ufficiali vengono scandite dall’attesa del nemico e dal rumore dell’esercito austro-ungarico che avanza, mentre termina l’illusione di essere lontani dalla guerra. L’inganno della Fortezza stessa, e delle persone che la abitano, diventa chiaro a tutti. Italiani e austriaci.
Editore: GM.libri; prima edizione (9 luglio 2020)
Lingua: Italiano
Copertina flessibile: 320 pagine
ISBN-10 : 8855280104
ISBN-13 : 978-8855280105
Link di acquisto cartaceo: La fortezza