Trama
Firenze 1458. Lavinia, ferma davanti alla tela, immagina come mescolare i vari pigmenti: il rosso cinabro, l’azzurro, l’arancio. Ma sa che le è proibito. Perché una donna non può dipingere, può solo coltivare di nascosto il sogno dell’arte. Fino al giorno in cui nella bottega dello zio arriva Piero della Francesca, uno dei più talentuosi pittori dell’epoca. Lavinia si incanta mentre osserva la sua abile mano lavorare all’ultimo dipinto, La flagellazione di Cristo. L’artista che ha di fronte è tutto quello che lei vorrebbe diventare. E anche l’uomo sembra accorgersene nonostante il contegno taciturno e schivo. Giorno dopo giorno, Lavinia capisce che la visita di Piero nasconde qualcosa. Del resto sulle sponde dell’Arno sono anni incerti: il papa è malato e sono già cominciate le oscure trame per eleggere il suo successore. E Piero sa più di quello che vuole ammettere. Il sospetto di Lavinia acquista concretezza quando lo zio viene ingiustamente accusato dell’uccisione di un uomo e Piero decide di indagare. Ma Lavinia questa volta non vuole restare in disparte. Grazie alla vicinanza dell’artista, che fa di tutto per proteggerla, per la prima volta comincia a guardare il mondo con i propri occhi. Perché lei e Piero sono entrati in un quadro in cui ogni pennellata è tinta di rosso sangue e ogni dettaglio è un mistero che arriva da molto lontano. Perché la pittura è un’arte magnifica, ma può celare segreti pericolosi.
Chiara Montani trascina il lettore per le vie della Firenze rinascimentale e tra le opere di Piero della Francesca, un artista che ha fatto la storia della pittura. Lo immerge nella vita di una giovane donna che vede le sue ambizioni soffocate dalle leggi non scritte del tempo. Lo cattura in un vorticoso susseguirsi di eventi in cui le ragioni dell’arte si intrecciano con quelle della politica e della religione. Un esordio che rimbomba come un tuono.
Recensione a cura di Roberto Orsi
“Per il timore che questa lettera giunga nelle mani sbagliate, non oso aggiungere altro. Appellandomi al nostro patto di fratellanza, ti chiedo solo di raggiungermi al più presto. Prego che tu possa farlo in tempo, prima che sia troppo tardi”.
Così si chiude la lettera che Piero della Francesca riceve dall’amico e maestro Domenico da Venezia il 20 Luglio 1458 in quel di Roma. L’artista di Borgo San Sepolcro, in quel momento impegnato in alcune opere nella residenza del Cardinale Bessarione, non può ignorare il richiamo dell’amico di vecchia data a cui lo lega un forte sentimento di amicizia e profondo rispetto.
La pergamena è accompagnata da una medaglia che riporta un’incisione particolare. Un solido con dodici facce pentagonali in ognuna delle quali è inscritta una stella a cinque punte, il tutto racchiuso in una forma circolare rappresentante un serpente che si divora la coda. Simbolo enigmatica, non v’è dubbio, ma non per Piero.
La medaglia e il tono drammatico della lettera di Domenico lo convincono a non perdere tempo e recarsi subito in quella città di Firenze, in cui ha giurato da tempo di non tornare più.
Un prologo davvero degno di nota quello dell’ultimo romanzo di Chiara Montani, che apre il sipario su un racconto che vede protagoniste la storia dell’arte, le grandi opere e la magnificenza creata dalle mani di meravigliosi artisti, tanto quanto i lati più oscuri dell’animo umano, i vizi, la corruzione, l’invidia e il senso di vendetta.
A Firenze, Piero della Francesca fa la conoscenza di Lavinia, uno dei personaggi nati dalla fantasia dell’autrice, la nipote di Domenico e voce narrante dell’intera vicenda. Il punto di vista della narrazione è dato dagli occhi, dalla mente e dalla bocca della giovane, cresciuta nella bottega dello zio e rimasta orfana in tenera età. L’attrazione per l’arte, per la tavolozza di colori e per le tele si fanno presto sentire, nonostante sia un qualcosa di proibito per le donne del tempo. Siamo ancora a metà del 1400 e i tempi di Sofonisba Anguissola e Artemisia Gentileschi sono ancora di là da venire (sulla prima artista ricordiamo il precedente romanzo di Chiara Montani di cui si può leggere un approfondimento qui).
“Dall’occhiata che Piero e Domenico si stavano scambiando, era evidente che fossero molte le cose che non mi erano state dette. Sentivo che il loro legame andava oltre la semplice amicizia. Era qualcosa di più profondo, di cui mi sfuggiva la natura e che affondava saldamente le sue radici in un sottobosco di segreti.”
Il racconto thriller si inserisce perfettamente nel contesto artistico di una città “in cui commercio e arte, denaro e bellezza formavano la trama e l’ordito di un arazzo unico al mondo”. Ma non ci fu solo bellezza. Al grande fermento che si respirava a metà del XV Secolo in una delle città che da lì a poco diventerà famosa in tutto il mondo conosciuto, tanto da esser battezzata come “la culla del Rinascimento”, fanno da contraltare invidie e dissapori.
Chiara Montani, tra fantastiche descrizioni di opere immortali come “La flagellazione di Cristo” o di affreschi (ahinoi) distrutti da scellerate ristrutturazioni, come quelli della Cappella di Sant’Egidio, dimostra grande capacità di appassionare il lettore nella componente thriller del racconto.
“Gli avvenimenti delle ultime settimane mi apparivano come i grani di una collana strappata, dispersi in un pagliaio. Non sarei mai riuscita a riordinarli finché non avessi sollevato almeno un lembo di tutte le verità che mi erano state taciute.”
Misteriose morti si succedono in città e su ogni scena del crimine viene ritrovato il riferimento a quel simbolo arcano inciso sulla medaglia descritta nel prologo del libro. Cosa lega Piero e Domenico al loro passato? Perché Piero ha deciso di recarsi a Firenze nonostante si fosse ripromesso di non farlo più?
Gli interrogativi si affastellano nella mente di Lavinia, la quale nel corso delle vicende avrà una evoluzione notevole. Gli avvenimenti la metteranno davanti alla necessità di scelte coraggiose, con il rischio concreto di mettersi contro personaggi potenti come Cosimo De’ Medici, il camerlengo di Santa Maria Nuova, il consiglio degli Otto tra cui il suo promesso Lorenzo Guidi.
Arte e neoplatonismo in quel periodo a Firenze viaggiano di pari passo. I princìpi di filosofi come Giorgio Gemisto, detto Pletone, affascinano le personalità del tempo, in un movimento di coscienza e pensiero che rimetterà ben presto l’uomo al centro del tutto.
L’autrice modella tra le pagine una narrazione accattivante, che non perde mai ritmo e definizione. Forte anche della sua esperienza da arteterapeuta, imprime vigore e lucidità alle sue parole quando descrive le botteghe degli artisti, le metodologie per preparare le tinture o i dettagli di un’opera. Il viaggio del lettore nella Firenze tardomedievale diventa un’esperienza dei sensi.
L’idea di legare vicende noir a protagonisti importanti della nostra Storia è sicuramente vincente e la lettura di questo romanzo ne è la conferma. Molte le opere che ancora oggi sono studiate per scoprirne i segreti più impensabili, i messaggi celati all’occhio dei posteri. “La flagellazione di Cristo” non è da meno, oggetto da sempre di tante interpretazioni e possibili verità. Che non abbia, invece, ragione Lavinia?
“Forse il segreto è smettere di cercare un significato e osservarlo semplicemente per quello che è, ponendosi di fronte alla scena con lo stesso distacco dei suoi personaggi. In questo modo la loro indifferenza non potrebbe anche essere vista come una sorta di saggezza?”
Editore : Garzanti (7 gennaio 2021)
Lingua : Italiano
Copertina rigida : 336 pagine
ISBN-10 : 8811816165
ISBN-13 : 978-8811816164
Link d’acquisto cartaceo: Il mistero della pittrice ribelle
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