Trama
Sicilia, 1947. In un remoto paese dell’isola, giunge dalla Toscana una giovane vedova di guerra, Aurora Lorenzini, insieme alla figlia Bianca. Le accompagna Nino Riganò, noto avvocato del posto nonché chiacchierato promesso sposo della forestiera. Per madre e figlia sarà l’inizio di una nuova vita. Guerra, dopoguerra, boom economico e infine i giorni nostri come sfondo per un affresco familiare che abbraccia oltre mezzo secolo e quattro generazioni.
Recensione a cura di Laura Pitzalis
Aurora Lorenzini. È lei la vedova forestiera del romanzo di
Alessandra Delogu. Una donna dirompente, coraggiosa, con idee ben chiare per come deve svolgersi la sua vita, ma che nulla può contro il destino. La sua vita è una vita d’amore e di rinunce, ma anche d’esperienze ed eventi, una vita che si svolge tra la Toscana e la Sicilia in un periodo storico che va dal conflitto mondiale fino ai nostri giorni.
Il romanzo è un’appassionante saga familiare che si snoda per ben quattro generazioni e il filo conduttore è sempre lei Aurora, l’indomabile, la determinata, la caparbia ma soprattutto “stravagante” agli occhi degli abitanti di Furnari, un paesino siciliano vicino a Messina, dove è giunta per contrarre, dopo cinque anni di vedovanza, un nuovo matrimonio con Nino Riganò, noto avvocato del posto. Porta i pantaloni, guida la macchina, non veste a lutto e … “
Vita da straniera fa”.
“ Vestita a lutto è?”
“No, aveva dei pantaloni chiari e un maglione azzurro. Forse al nord non si usa …”
“Da quanti anni è vedova?”
“Dicono da cinque”
“Presto si è consolata”.
È un romanzo dalla forte voce femminile, perché sono proprio loro, Aurora, Bianca, Margherita – nonna, figlia nipote – che spiccano, con la loro forza e la loro fermezza a non arrendersi davanti agli eventi tragici della vita. Una microcomunità intorno alla quale ruotano i numerosi personaggi del romanzo, dei quali, Alessandra Delogu, ci trasmette ogni sfumatura caratteriale facendoli emergere dalle pagine con una potenza così reale che mi sembra di averli sempre conosciuti.
Non posso non amare il babbo di Aurora, Sauro Lorenzini, irriducibile seguace della fede fascista, uomo “tutto d’un pezzo”, estremamente coerente e rigoroso, che non cede mai a compromessi, caustico e un po’ spudorato nella sua inconfondibile inflessione toscana, ma in fondo un uomo con le sue debolezze e fragilità.
Aurora provò un repentino moto di tenerezza verso il padre, in quell’inedita veste di uomo fragile e bisognoso di sostegno. Lui che aveva sempre disprezzato qualsiasi forma di umana debolezza, bollandola, senza possibilità di replica, come dimostrazione di pusillanimità, sotto quel diluvio di bombe appariva indifeso e spaventato non meno della piccola Bianca.
Splendido il personaggio di Cloti, la cugina di Aurora, la “rossa”, come veniva scherzosamente definita per il colore dei capelli e delle lentiggini che le coprivano buona parte del viso. Disinibita sia negli atteggiamenti sia nel frasario, solare e dispensatrice di allegria e vitalità, è la persona che più è stata vicina ad Aurora nei periodi più tragici, il punto di riferimento e porto sicuro in cui rifugiarsi durante la tempesta.
“La vedova forestiera” è un palco dove si aprono e chiudono sipari che cambiano colore, dall’azzurro della spensieratezza, al rosa del piacere fino al nero… per poi diventare bianchi come la pace, la tranquillità. Serenità che però non è felicità. Vivere comporta fare delle scelte e spesso si fanno quelle più convenienti e semplici. Ė per questo che il lettore percepisce, dalla prima all’ultima pagina del romanzo, una nenia che a volte viene offuscata ma che è sempre presente come un’ombra che secondo l’intensità della luce è più o meno nitida, ma c’è sempre. Questa nenia è la solitudine.
Talmente sola che furono i vigili del fuoco, chiamati dalla Cei al terzo giorno di totale silenzio, a trovarla cadavere. Era ancora sdraiata sul letto con indosso un’elegante camicia da notte di raso color prugna, l’espressione serena sul volto che l’assenza di trucco mostrava in tutto il suo pallore.
Non mi è semplice esporre quanto mi sia piaciuto questo romanzo, quanto mi abbia coinvolto, commossa. Come sia riuscito a travolgermi, nel bene e nel male, e a sconvolgermi con descrizioni d’atmosfere, di luoghi, di fatti, di sentimenti. Forse perché, più volte, ho ripercorso delle mie situazioni che hanno saputo mettere in moto tanti ingranaggi della mia persona e dei miei sentimenti.
In questo romanzo, Alessandra Delogu non si è limitata a mettere su carta stralci di vita vissuta. In questo romanzo c’è anche la Storia vera e propria, dove il focus principale è l’anno 1943: l’arrivo degli alleati, il bombardamento di Pisa, 31 agosto, giorno in cui ci furono enormi devastazioni con la morte di 952 persone, i Lungarni semidistrutti, i ponti crollati, la stazione rasa al suolo e il quartiere di Porta a Mare polverizzato.
E noi attraverso gli occhi di Aurora, vediamo tutto questo, e captiamo la paura, l’ansia, disperazione dei sopravvissuti, sentiamo il vociare confuso, le grida soffocate, le invocazioni d’aiuto.
Fu solo in quel momento che Aurora, sollevando lo sguardo verso il cielo, scorse una gigantesca nube di fumo e polvere proveniente dalla zona sud della città, dall’altra parte dell’Arno. Come un cane rabbioso il pensiero della madre sepolta sotto le macerie la aggredì nuovamente e, stritolandole lo stomaco, la fece quasi svenire.
Fantastica la parte siciliana del romanzo dove l’autrice ha saputo esprimere un grande affetto per la sua terra. Il modo in cui ha saputo cogliere gli aspetti delle abitudini e del carattere dei siciliani dell’epoca è fantastico, così come i luoghi, i colori, gli odori, descritti attraverso dialoghi serrati, inframmezzati da un linguaggio dialettale che non rallenta la lettura ma dà una carica d’autenticità e d’ironia che fa scattare, il più delle volte, il sorriso:
E suo marito ci cuntò mai du terremotu di Messina del 1908? Terribile fu. I miei nonni, che allora abitavano ‘dda, per miracolo si sabbarunu. […] Parria che la terra sutta a’ pedi si scotolasse, come facemu noi con la tovagghia dopu manciato.
Più volte, nel romanzo, vengono messe in risalto le diverse usanze e modi di essere della Toscana e della Sicilia, ma senza confronti né giudizi, accostando attualità e tradizione, evidenziando la tipicità di ciascuna esistenza senza mai cadere nel luogo comune.
Ho trovato geniale il modo in cui Alessandra Delogu incastra il passato con il presente, raccogliendo ricordi e parafrasi in diari, lettere, incisi che inserisce armoniosamente nel racconto.
Un lungo viaggio pieno di ricordi, pensieri ed emozioni
che mi ha coinvolta profondamente per la lucidità e l’intensità del suo contenuto esaltato da una prosa semplice ma curata.
È un romanzo potente, non fine a se stesso, ma che trasmette un forte messaggio che si installa nel lettore descrizione dopo descrizione: la vita è un susseguirsi di cambiamenti più o meno decisivi, più o meno lieti. Tutto trema dentro e fuori di noi, come un terremoto che ci può travolgere e seppellire sotto le macerie o ci risparmia rendendoci più consapevoli e , soprattutto, più forti.
[ Margherita]: La morte ha il suono di un campanellino. Quando il cancro ormai le aveva divorato anche le corde vocali , quel tintinnio lontano fu, infatti, l’ultimo saluto che nonna mi rivolse dall’altro capo del telefono il giorno stesso che morì. […] Per mia madre, invece, la morte ha il suono inquietante di una storia che le raccontava mia nonna quando era piccola. Narrava di un’onda alta e schiumosa che durante la guerra s’innamora perdutamente di un giovane ufficiale, imbarcato su un sommergibile, e un giorno decide di rapirlo, trascinandolo in fondo al mare per trasformarlo in un bellissimo pesce […]
Copertina flessibile: 320 pagine
Editore: Arpeggio Libero (1 gennaio 2015)
Collana: Delectatio
Lingua: Italiano
ISBN-10: 8899355037
ISBN-13: 978-8899355036
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