Con l’augurio e l’auspicio che le librerie riaprano presto e che tutti noi amanti della lettura e acquirenti compulsivi possiamo tornare nei luoghi in cui ci sentiamo come nel paese dei balocchi, TSD rinnova l’appuntamento delle novità previste in uscita nel mese di Aprile!
Ciò che non troverete questo mese, è la data di uscita prevista: ci scuserete per questo, ma troppe ancora le incertezze, molte le comunicazioni di lanci rinviati, e noi di TSD non ce la siamo sentita di dare indicazioni di massima!
1266: quarant’anni dopo la morte del «Poverello d’Assisi», l’Ordine francescano è lacerato dalle divisioni interne. Bonaventura da Bagnoregio, in qualità di ministro generale dell’Ordine, ha completato da poco una nuova biografia di san Francesco. Durante il Capitolo di Parigi, si decide che la sua opera – che passerà alla storia come Legenda Maior – dovrà essere la versione ufficiale. Per questo motivo, lo stesso Bonaventura intima di distruggere tutti i documenti esistenti sulla vita di Francesco e di cercare frate Leone, l’ultimo sopravvissuto fra i diretti seguaci del Santo, un apostata che vaga tra i boschi in preda al delirio e che minaccia il buon nome dell’Ordine con le sue parole dissennate. Incaricato della missione è il giovane amanuense fra’ Deodato, segretario di Bonaventura, che tuttavia non ha il coraggio di distruggere i documenti e decide di trasgredire agli ordini dei suoi superiori: salva dalle fiamme i manoscritti apocrifi e intraprende un lungo viaggio per trovare Leone che, ormai vecchio e forse annebbiato dalla pazzia, gli racconterà la sua versione dei fatti. Un’avventura tra le strade d’Italia e tra polverosi manoscritti che si trasformerà in un pellegrinaggio impossibile alla ricerca del vero Francesco, dell’uomo che si cela all’ombra del Santo. “Vite apocrife di Francesco d’Assisi” è un romanzo suggestivo che ci offre una rilettura insolita e provocatoria della figura del santo, per mostrare quei meccanismi che seppelliscono la verità sotto racconti diversi e testimonianze necessariamente parziali.
Il copista
Marco Santagata
Guanda
In un freddo e nebbioso venerdì di ottobre, Francesco Petrarca si sveglia afflitto da dolori allo stomaco. Il cantore di Laura è intento a scrivere una canzone destinata a confluire nel libro delle rime. Tuttavia, la composizione si trasforma ben presto nella personale e tormentata via crucis di un uomo ormai invecchiato e logorato dalle perdite della sua vita. La morte del figlio Giovanni e del nipotino Francesco, portati via dalla peste (come prima la stessa Laura), e poi la fuga del giovane copista Giovanni Malpaghini lo lasciano sempre più solo nella casa di Padova, con l’unica compagnia della serva Francescona. Così, a mano a mano che i versi prendono forma, Petrarca si rivela una persona inquieta e contraddittoria, che ha perdutola fede fino ad essere incapace di credere alla sopravvivenza dell’anima. Con una narrazione malinconica e a tratti impietosa, Marco Santagata trasforma in romanzo la fantasia di una giornata di Petrarca, di cui restituisce un ritratto profondamente umano.
Se è vero che «una determinazione invincibile può ottenere qualsiasi cosa», come disse Thomas Fuller, è vero anche che nessuno, più di Matilda Simpkin, detta Mattie, incarna alla perfezione queste parole: ex indomita suffragetta, ha sempre lottato per il diritto delle donne a essere trattate da cittadine alla pari degli altri, non esitando mai a gettarsi nella mischia, quando necessario. Ora, però, le cose sono cambiate. È il 1928 e Mattie sente di assomigliare ogni giorno di più al veterano di una guerra che nessuno più ricorda. Certo, è membro della Lega per la Libertà delle Donne, l’ultima coda delle suffragette, e presta le sue capacità oratorie in una serie di conferenze che dovrebbero chiamare a raccolta le donne. Tuttavia, anziché essere uno squillo di tromba, i suoi discorsi si risolvono in un’occasione di divertimento per il pubblico accorso. Un giorno, però, a una di queste conferenze, si presenta Jacqueline Fletcher. Anni prima Jacko si era battuta al suo fianco nella lotta per l’emancipazione femminile, ma ora, i capelli ingegnosamente ondulati e una stola drappeggiata con cura sull’abito, rivela all’amica che, assieme al marito, sta provvedendo a reclutare giovani donne da unire all’organizzazione dei Fascisti dell’Impero. Mattie si rende conto che è tempo di ritornare alla guerra. Disgustata dalle parole di Jacko, ridiventa un’indomita suffragetta. Forma le «Amazzoni», un gruppo in cui cerca di trasmettere alle giovani donne qualcosa della storia e dei metodi del movimento delle suffragette militanti.
Cinquecento anni fa, in Italia, ci fu una esplosione di creatività che cambiò il mondo nel nome della bellezza. Il suo profeta fu Raffaello, ritenuto dai suoi contemporanei un nuovo Cristo. In questo romanzo, attraverso la voce di Margherita Luti, la celebre “Fornarina”, gli ultimi cinque anni di vita e la storia d’amore del grande pittore urbinate vengono raccontati come non era mai stato fatto prima, e ci vengono restituiti il suo ideale di bellezza e la sua figura artistica. Bellezza e amore nel Rinascimento sono assai più vicini all’idea che se ne ha oggi. Sesso e potere sono il motore della Roma di papa Leone X nella quale Raffaello è il principe dei pittori, amato da tutti e amante di tutte. Nella dolce vita della Roma del 1515-1520 ritroviamo molte storie di oggi, come quelle della divisione tra popolo ed élite, del rapporto tra sesso e potere, del #metoo, delle feste galanti, delle morti misteriose e delle nuove cortigiane. Ma la leggenda dell’amoroso Raffaello e della Fornarina testimonia la forza e il potere dell’amore e rivela chi è nascosto dietro ai volti delle Madonne dipinte dal pittore. La popolana Fornarina racconta la vita quotidiana del Rinascimento a fianco del grande pittore.
Virginia
Emmanuelle Favier
Guanda
Nell’elegante dimora signorile di Hyde Park Gate, fra tende pesanti e carta da parati scura, nasce Adeline Virginia Alexandra-Stephen. Miss Jan – come ama farsi chiamare – cresce all’ombra della cultura austera del padre e della bellezza fragile di una madre eterea. Muovendosi tra le stanze buie di quella casa e quelle più ariose della villa di famiglia sulle verdi coste della Cornovaglia, Miss Jan, penultima di otto fratelli, interroga gli oggetti alla ricerca della propria identità, e osserva il turbinio della vita intorno a lei nel tentativo di comprendere quel mondo che tanto la attrae e tanto la illude. In quelle stanze cresce, si innamora, legge, scrive e lotta contro le regole dell’Inghilterra vittoriana, che le impongono un futuro di moglie e madre. E così, nella continua ricerca di un luogo in cui costruirsi al di fuori degli sguardi altrui, Miss Jan si appresta a diventare Virginia. La prosa di Emmanuelle Favier disegna un ritratto che restituisce la malinconia amara, la solitudine, gli slanci di un animo inquieto e ribelle: un romanzo di formazione che racconta la crescita artistica e personale della Woolf, e insieme un omaggio letterario a una delle voci femminili più importanti e paradigmatiche del Novecento.
Parigi, 1794. In una zona centrale della città sorge un palazzo sede di un collegio militare. Un edificio come tanti, eppure le ricche sale affrescate da Pigalle e il vasto parco con le voliere, un tempo frequentati da rampolli di buona famiglia, nel giro di pochi mesi si sono trasformati in un carcere. Un carcere con una caratteristica unica: i prigionieri non hanno nessuna intenzione di fuggire. È lì, infatti, che nei mesi del Grande Terrore si nascondono una trentina di aristocratici e facoltosi borghesi, sul cui capo pende minacciosa la ghigliottina, e che devono la loro sopravvivenza unicamente alla Sezione Rivoluzionaria che li tiene in ostaggio – ma al sicuro – in cambio di denaro. Nelle stanze ormai in decadenza della Casa gli ospiti ripetono i riti di un mondo che fuori sta sanguinosamente crollando, uniti in un gioco di intrighi e ricatti: baroni, burocrati, principesse sotto mentite spoglie, generali in pensione, vescovi spretati; un ragazzo arrivato con i nonni che trova conforto in una giovane vedova; una ex dama di corte svampita e aggrappata al fantasma di un passato fastoso… A fare da tramite con il mondo esterno è Bertier, un parrucchiere che frequenta la Casa e che si occupa anche della testa del temibile Fouquier-Tinville, l’implacabile accusatore del Tribunale Rivoluzionario, allora in feroce competizione con Robespierre. Una testa più che mai in bilico, come in bilico sono le vite di tutti, in balia della furia dei tempi, dominati, come spesso i nostri, dall’irrazionalità. Per dirla con le parole di Bertier: «La Rivoluzione ha fatto di noi, anche noi barbieri intendo,degli uomini liberi. E sai cos’è la libertà in questo mondo disgraziato? Prendersi tutto quello che si può».
1492: Cristoforo Colombo non scopre l’America ma viene fatto prigioniero a Cuba, e il futuro non gli promette nulla di buono. 1531: gli Inca invadono l’Europa. In un romanzo di amori, conquiste, battaglie, tradimenti, tesori, Laurent Binet capovolge la storia delle scoperte: il re degli Inca Atahualpa sbarca nell’Europa di Carlo V, della riforma luterana e dell’Inquisizione, della nascita del capitalismo e della rivoluzione della stampa. Da Cuzco a Firenze, Atahualpa si allea con Lorenzo de’ Medici e si mostra molto abile nel conquistare il favore dei popoli oppressi, garantendo libertà di culto, un’equa redistribuzione delle ricchezze, un mondo con meno tasse. Il nuovo conquistatore guarda però con sospetto alle stranezze e alle contraddizioni degli europei, uomini vestiti in modo sorprendentemente misero, che combattono tra loro per un uomo crocifisso e vietano la poligamia, ma non rinunciano alle amanti. Laurent Binet sfida i generi letterari con una trama che ribalta la storia che conosciamo: cosa sarebbe successo se fossimo stati noi, gli europei, il nuovo mondo da scoprire e conquistare? Un romanzo su un passato immaginario che somiglia, in modo inequivocabile e inquietante, al nostro presente.
La celebre lettera di Raffaello a papa Leone X sulla protezione e conservazione degli edifici antichi. Il volume riprende la lettera scritta nel 1519 da Raffaello Sanzio e Baldassarre Castiglione, con la collaborazione di Angelo Colocci, e indirizzata a papa Leone X, sul tema della protezione e conservazione delle vestigia di Roma antica. La lettera (conservata nella Bayerische Staatsbibliothek di Monaco di Baviera) era allegata come prefazione alla raccolta di disegni degli edifici della Roma imperiale eseguita dal pittore su incarico del papa. La prima parte enuncia i principi e le idee che hanno portato a tale opera; la seconda illustra i dettagli tecnici dell’operazione, con la descrizione di uno strumento munito di bussola usato durante i rilevamenti, per misurare e orientare gli edifici sulla pianta. Il rigore che si evince nell’operazione è indice degli intenti filologici della ricostruzione, basata su un preciso metodo di studio che indagava anche le parti distrutte o danneggiate degli antichi edifici. Gli edifici antichi sono poi presentati in tre disegni: una pianta, un rilievo esterno con tutte le decorazioni e uno dell’interno, pure corredato di tutti i dettagli possibili. La parte più celebre è la prima, in cui viene enunciato con grande chiarezza il senso culturale di questo lavoro, partendo da una rapida sintesi della storia dell’architettura dall’epoca romana ai giorni contemporanei, all’insegna di una consapevolezza della nuova “cultura della rinascita”, rispetto alla degradazione dell’arte “tedesca” del medioevo, cioè il gotico, stile anticlassico per eccellenza. Si tratta di un’evidente percezione della “frattura” tra mondo antico e mondo contemporaneo che sta alla base dell’idea stessa di Rinascimento. Altro punto importante è la traccia delle cause della scomparsa dell’arte classica, non dovuta solo a fattori storici, come le invasioni barbariche, ma soprattutto a causa dell’incuria e dell’insipienza degli uomini, compresi i precedenti pontefici che hanno autorizzato l’utilizzo dei monumenti antichi come cave di materiale o delle statue come ingrediente per la calcina. Ma il rammarico espresso al pontefice per la condotta dei suoi predecessori nasconde anche un’esaltazione indiretta del suo mecenatismo e della sua cultura, sotto il cui patrocinio si sarebbe voluta avviare un’opera di restauro e ricostruzione.
Arepo
Massimo Ghelardi
Maratta Edizioni
Un thriller storico davvero interessante e con tutte le qualità per appassionare il lettore, soprattutto chi come me ama la storia toscana.
Anche per questo ho accettato con piacere di accompagnare con alcune brevi riflessioni questo romanzo dell’amico Massimo Ghelardi che narra della Toscana narrando della Repubblica di Pisa e soprattutto delle vicende che portarono alla costituzione in Sicilia di una numerosa comunità pisana che rivestì importantissime cariche pubbliche e titoli nobiliari nel Regno di Spagna e di Sicilia con alcune sue famiglie, in particolare la famiglia Alliata.
Nobile famiglia giunta a Pisa intorno alla metà del XII secolo dal borgo di Agliati del vicino Comune di Palaia e della cui importanza è ancora oggi testimone l’omonimo palazzo ubicato sul lungarno Gambacorti.
La Toscana e la Sicilia, ed in particolare Pisa e Palermo, intrecciano quindi le proprie storie nella realtà e nel romanzo.
Se vogliamo necessariamente inserire “Arepo” in una delle categorie in cui solitamente si suddividono i romanzi, potremmo dire che è un “thriller storico” perché nella trama esiste un delitto perpetrato ai nostri giorni nella Piazza dei Miracoli a Pisa e una conseguente indagine della polizia che trova il suo punto di appoggio nella ricostruzione degli antichi rapporti tra due città di mare: Pisa e Palermo.
Del resto Arepo è una delle 5 parole che compongono il “Quadrato del Sator”, un’antica iscrizione latina sotto forma di palindromo che costituisce un “thriller” di altri tempi, il cui preciso senso e significato simbolico ancora in oggi rimangono oscuri.
La vera storia dell’uomo che uccise la famigerata tigre di Champawat e che poi dedicò la propria vita a salvare la sua specie dall’estinzione. Nepal, 1900. Ferita alla bocca da un bracconiere, una femmina di tigre del Bengala comincia a dare la caccia a prede più facili da mangiare: gli esseri umani. Per sette anni, muovendosi nella giungla ai piedi dell’Himalaya, l’animale terrorizza la popolazione, diventando più audace a ogni uccisione. Quando il suo bottino raggiunge 437 vite, le autorità coloniali si rivolgono a Jim Corbett, un giovane inglese cresciuto nella zona. Come un detective, Corbett segue i movimenti del grande felino nella boscaglia… finché la tragica morte di una ragazzina e la pista di sangue che il predatore si è lasciata dietro non lo guidano nel cuore della foresta, dove finalmente tigre e cacciatore si incontrano. Huckelbridge segue le tracce di Corbett e ci racconta una delle più appassionanti avventure del XX secolo, inquadrandola nel contesto storico in cui si svolse: quello del devastante impatto che il colonialismo ebbe sull’equilibrio tra uomo e natura.
Dalla Mecca a Damasco, da Baghdad a Córdoba, da Gerusalemme al Cairo, da Samarcanda a Costantinopoli e Beirut… la storia della ricca e multiforme civiltà islamica raccontata attraverso le sue piú fulgide città.
Una storia lunga quindici secoli, dagli inizi nel VII secolo fino all’incredibile ascesa di Doha nel XXI secolo. La civiltà islamica è stata per molto tempo invidiata dal resto del mondo. Grazie a un susseguirsi di capitali scintillanti e cosmopolite, gli imperi islamici hanno dominato in Medio Oriente, in Nord Africa, nell’Asia centrale e nelle fasce del subcontinente indiano, mentre l’Europa indietreggiava ai margini. Per secoli il califfato era al tempo stesso vittorioso sul campo di battaglia e trionfante in quello delle idee, le sue città erano ineguagliabili per bellezze artistiche, potenza commerciale, spiritualità e raffinata cultura. Justin Marozzi si sofferma sulle dinastie piú importanti alla guida del mondo musulmano – gli Abbasidi di Baghdad, gli Omayyadi di Damasco e Córdoba, i Merinidi di Fez, gli Ottomani di Istanbul, i Moghul dell’India e i Safavidi di Isfahan – e su alcuni dei piú carismatici leader della storia musulmana, dal Saladino del Cairo e il potente Tamerlano di Samarcanda al poeta-principe Babur nel regno montano di Kabul e l’irrefrenabile dinastia Maktum di Dubai. L’autore descrive in modo brillante tutte queste grandi dinastie e le loro capitali, inquadrandole all’interno dei momenti decisivi della storia islamica: dalla rivelazione a Maometto alla Mecca e la prima crociata (1096-99) alla conquista di Costantinopoli nel 1453 e la repubblica mercantile di Beirut nell’Ottocento, per toccare infine i paradossi della Dubai contemporanea.
Il sultano Saladino ci consegna un resoconto prezioso, spogliato di qualsiasi pregiudizio, di un uomo che dopo otto secoli può ancora contare su un’eredità vibrante che mescola storia e leggenda, e ci aiuta a capire quanto possa essere ambiguo, nella contemporaneità, il travisamento della realtà storica.
La fama di Saladino in Occidente affonda le sue radici nel 1187, quando «il re vincitore» riconquistò Gerusalemme sconfiggendo i cristiani, che la detenevano da quasi novant’anni. Nonostante li avesse sconfitti, il sultano si guadagnò il rispetto e l’ammirazione dei «franchi» perché non si era lasciato andare al massacro efferato dei nemici, in stridente contrasto con le violenze brutali e ingiustificate perpetrate dagli eserciti della Prima crociata. Jonathan Phillips, uno dei maggiori esperti di storia delle crociate, parte da qui per riscoprire le origini lontane dell’eccezionale popolarità di cui godette Saladino, indagando una vasta quantità di fonti arabe ed europee. In due decenni, il fondatore della dinastia degli Ayyubidi unificò Egitto e Siria, dando vita a un impero compatto e leale che abbracciava tutto il Vicino Oriente. Affrontò la rabbia prorompente dei soldati della Terza crociata, tra le cui file spiccava Riccardo Cuor di Leone, e fu ricordato, nelle cronache coeve e nei resoconti successivi, come un uomo generoso, onesto, devoto e colto. Il suo animo quasi cavalleresco lo rese un condottiero stimato al punto da meritarsi un posto tra gli spiriti di grande valore della «Divina Commedia», impossibilitati a salvarsi soltanto perché non cristiani. Tolleranza, sobrietà e generosità furono le virtù che rinvigorirono il suo prestigio nel XIX secolo, quando la fascinazione europea verso il Medioevo fu condivisa da storia, letteratura e teatro. La sapienza militare e politica, che non risparmiò di contrastare gli eretici e gli infedeli con un obiettivo unificatore, fu invece alla base della celebrità del sultano, assurto a simbolo della resistenza e della vittoria sull’Occidente invasore, nella cultura di massa del mondo islamico. Saladino ebbe un ascendente ancora maggiore quando il nazionalismo arabo cominciò la sua ascesa e Nasser, Saddam Hussein, bin Laden cercarono di sfruttarne l’eredità richiamandosi a lui nei modi più disparati. A seconda dei casi, dunque, Saladino fu ricordato come un sovrano mite ed erudito, oppure spregiudicato e senza scrupoli.
Nel 1487 viene pubblicato il più famoso trattato sulla stregoneria mai scritto, destinato a influenzare profondamente la società europea dal XV secolo in poi: il “Malleus maleficarum”, ovvero “Il martello delle streghe”. Redatto dai domenicani tedeschi Henricus Institoris (Heinrich Krämer) e Jakob Sprenger, nominati da papa Innocenzo VIII inquisitori in Germania, il manuale si poneva come salda guida teorica nella spietata repressione della stregoneria. Consentiva di riconoscere e combattere le streghe, indicava come catturarle e processarle, e forniva precise istruzioni su come estorcere una confessione attraverso la tortura, per giungere all’inamovibile sentenza e, infine, al rogo. Nessuna strega sarebbe dovuta sopravvivere in questa spasmodica e alienata ricerca di donne concupite dal diavolo. Il testo, che ha avuto in quei secoli un’incredibile fortuna e svariate ristampe, è ancora oggi un documento preziosissimo che raccoglie e codifica le ossessioni, i pregiudizi e le superstizioni di un’epoca.
Più di ogni altro suo contemporaneo Gaio Giulio Cesare riuscì a segnare le sorti e a indirizzare i destini di un’epoca di crisi. Non a caso giunse a meritare, nella più ampia interpretazione filosofica hegeliana, l’appellativo di «individuo della Storia mondiale». I giudizi sul grande condottiero e politico romano sono sempre stati però pesantemente condizionati da quelli maturati negli ultimi anni della sua vita e, soprattutto, dopo la sua tragica morte. Questa, infatti, aveva lasciato dietro di sé troppe speranze e troppi «eredi» per consentire una valutazione equanime e complessiva dell’uomo privato e del personaggio pubblico. Ma prima ancora del consolato popolare, della conquista delle Gallie, della vittoria nella guerra civile e della dittatura, chi era stato, nella sua inquieta e concreta singolarità, l’individuo Cesare? Un bambino patrizio di salute cagionevole, il nipote di Gaio Mario, un orfano di padre, un giovanissimo marito e un sacerdote mancato, un perseguitato politico, il presunto e chiacchierato amante di un anziano monarca orientale, una recluta coraggiosa, un temibile accusatore, un vendicativo ostaggio dei pirati, un misterioso tribuno militare, un questore ambizioso, un sospetto congiurato, un edile magnifico e carico di debiti, un giudice inflessibile, un pontefice massimo, un pretore accusato di complicità con Catilina ma paladino del garantismo, un padre affettuoso, un marito tradito, uno straordinario amante e tanto altro ancora. Ed è proprio di questo «giovane» Cesare, oscurato – anche nelle fonti antiche – dal fulgore della successiva grandezza, militare e politica, che Luca Fezzi traccia il profilo caratteriale e psicologico e ripercorre passo passo il cursus honorum , in un libro che è, insieme, una ricca e documentata ricostruzione biografica e la sintesi di un capitolo cruciale della storia repubblicana di Roma.
La guerra dei Trent’anni è stata una fase di mutamenti profondi nella storia europea: da un lato una rivoluzione militare, che ha portato al modo di combattere moderno; dall’altro una rivoluzione nei sistemi di comunicazione, con giornali, pamphlet, fogli che si diffondono nei luoghi più sperduti, dando inizio alla propaganda e ai mezzi di comunicazione di massa. E molte persone semplici imparano a leggere e scrivere: se conosciamo le guerre precedenti grazie alle narrazioni di chi aveva il potere, per la prima volta il conflitto del 1618-48 ci viene raccontato anche dagli umili, e per questo ci appare ancora più crudele. È questo punto di vista che Christian Pantle esamina nel suo libro, partendo da due eccezionali documenti: il diario di un soldato, Peter Hagendorf, e quello del monaco bavarese Maurus Friesenegger. Hagendorf riferisce la guerra combattuta: nei ventitré anni di attività militare, percorse almeno 22.400 chilometri tra Germania, Italia e Francia, cambiò campo due volte, prese parte a violenze, saccheggi, vide streghe ardere sul rogo, ma seppe anche entusiasmarsi per le bellezze dei paesaggi e delle città che attraversava, e persino dedicarsi con abnegazione alla famiglia. Friesenegger esprime invece la disperazione delle popolazioni civili nel continente devastato da un conflitto che sembrava non finire mai e descrive in maniera vivida le alterne vicende della vita di paese: le sciagure al sopraggiungere degli eserciti, e le fasi di trepida pace quando le armate si allontanavano. Pantle combina i due resoconti in un’unica grande storia, offrendoci una finestra sulla vita quotidiana e sulla mentalità del XVII secolo.
New York, 1935. Ogden e Kitty Milton sono una coppia ricca e felice con tre bellissimi bambini. Kitty si divide tra la gestione dei figli e la vita mondana dell’alta società newyorkese, mentre il lavoro di Ogden, che appartiene a una famiglia di banchieri da diverse generazioni, lo porta a viaggiare frequentemente in Germania. Con l’ascesa al potere dei nazisti, le acciaierie tedesche finanziate dai Milton iniziano a produrre aerei per la Wehrmacht. Ma il pericolo che incombe sull’Europa, sottovalutato da tutti, è invisibile anche agli occhi di Ogden. Quando una terribile tragedia colpisce la sua famiglia, Ogden compra un’intera isola al largo delle coste del Maine e vi fa costruire una splendida villa dove trascorrere le vacanze. In una girandola di feste con ospiti importanti, alcol, tradimenti e bugie, i Milton cercano di dimenticare, di fingere che nulla sia accaduto. Ma il destino è pronto a presentargli nuovamente il conto… New York, oggi. Dopo due generazioni, i segreti dei Milton sono rimasti tali, ma il loro patrimonio è stato quasi del tutto dilapidato. Alla morte della madre, Evie, nipote di Kitty, insieme ai suoi cugini devono fare i conti con la mancanza di fondi per mantenere la casa di famiglia sull’isola. Le ombre del passato stanno per venire a galla. Evie dovrà affrontare il lato oscuro dei Milton, e una cosa è certa: niente sarà mai più lo stesso.
Tutti gli uomini di Machiavelli. Amici, nemici (e un’amante)
Marcello Simonetta
Rizzoli
Chi era Niccolò Machiavelli, il Segretario fiorentino, l’autore del Principe e della Mandragola? Di lui si è detto di tutto e il contrario di tutto: era un genio, un amico dei tiranni oppure un uomo coraggioso che denunciava i vizi dei potenti?
Per scoprirlo si interrogano qui i suoi contemporanei: gli amici più cari come Filippo Strozzi e Francesco Vettori, altri meno intimi come Francesco Guicciardini, gli esponenti del mondo politico fiorentino, colleghi, nemici, cardinali, uomini di lettere, e perfino un’amante, la cortigiana Barbara Salutati. La storia di Machiavelli viene così a intrecciarsi con quelle di ventitré personaggi: sono i loro occhi e le loro parole, anche indirettamente, a delineare il caleidoscopico Machiavelli, restituendo un profilo umano, contradditorio, simpatico, beffardo, tagliente, patetico e appassionato. Questo libro aggiunge un nuovo capitolo alla bibliografia machiavelliana, che a volte si ripete stancamente. In ogni pagina il lettore troverà piccole e grandi sorprese che lo accompagneranno in una promenade istruttiva e inaspettata.Tutti gli uomini di Machiavelli si chiude con un ritratto femminile. Quello raccontato è un mondo di uomini dove le donne sono ridotte a meri oggetti sessuali o a ghiribizzi letterari. Ma ride bene chi ride ultima
La lanterna nera
Alberto Frappa Raunceroy
Arkadia
I primi vagiti della scienza e del metodo sperimentale furono accompagnati da diffidenza e sospetti di pratiche occulte; le menti più acute del XVII secolo come Galileo e Keplero non ne rimasero immuni. Ma che cosa sarebbe accaduto se a tali approcci si fosse arrischiata una giovane donna? Praga, agli inizi del XVII secolo, era la capitale dell’impero governato da Rodolfo II d’Asburgo, sovrano visionario, anarchico, amante delle arti, delle scienze e dell’alchimia. Presso lo Hradschin convergevano scienziati come Tycho Brahe e lo stesso Keplero, artisti, occultisti, ma anche ciarlatani, truffatori e lestofanti provenienti da tutta Europa. Proprio in quegli anni si tenne a Praga pubblica dimostrazione delle potenzialità della “lanterna nera”; il dispositivo, antenato del cinema moderno, proiettava immagini che atterrirono gli spettatori dando origine a un’esplosione di paura. Dietro questo portento si cela la storia di Elke e della sua straordinaria impresa. Un romanzo affascinante, che conduce il lettore nel pieno del Seicento, facendogli conoscere da vicino una vicenda a molti sconosciuta.
Agosto 1471. Esausto dal lungo viaggio, un giovane frate attraversa le antiche mura che difendono la città, passa accanto alle vestigia diroccate di un passato ormai dimenticato, s’inoltra in un intrico di vicoli bui e puzzolenti. E infine sbuca in una piazza enorme, davanti alla basilica più importante della cristianità, dove si unisce al resto della popolazione. Ma lui non è una persona qualunque. Non più. È il nipote del nuovo papa, Sisto IV. È Giuliano della Rovere. E quello è il primo giorno della sua nuova vita, un giorno che segnerà il suo destino: dopo aver assistito alla solenne incoronazione dello zio, Giuliano viene coinvolto dai suoi cugini, Girolamo e Pietro Riario, in una folle girandola di festeggiamenti nelle bettole della città, per poi rischiare la morte in un agguato e ritrovarsi al sicuro tra le braccia di una fanciulla dal fascino irresistibile. È il benvenuto di Roma a quell’umile fraticello, che subito impara la lezione. Solo i più forti, i più determinati, i più smaliziati sopravvivono in quel pantano che è la curia romana. Inizia così la scalata di Giuliano, che scopre di avere dentro di sé un’ambizione bruciante, pari solo all’attrazione per Lucrezia Normanni, la donna che lo aveva salvato quel fatidico, primo giorno, e che rimarrà al suo fianco per gli anni successivi, dandogli pure una figlia. Anni passati a fronteggiare con ogni mezzo sia le oscure manovre del suo grande avversario, il cardinale Rodrigo Borgia, sia i tradimenti dei suoi stessi parenti, i Riario. Anni passati sui campi di battaglia, a imparare l’arte della guerra, e a tramare in segreto contro i Medici di Firenze, nonostante il disastroso esito della congiura dei Pazzi. E tutto per prepararsi a un evento ineluttabile: la morte di suo zio, il papa, e l’apertura del conclave. Ecco la grande occasione di conquistare il potere assoluto. Ma Giuliano scoprirà che il destino, per il momento, ha altri piani per lui…
Nell’autunno del 1849, Herman Melville si recò a Londra per consegnare il romanzo “Giacchetta bianca” al suo editore. Di ritorno in America, avrebbe scritto “Moby Dick”. “Melville. Un romanzo” immagina ciò che è accaduto nel mezzo: lo scrittore in fuga da Londra per il paese, che lotta con un angelo, si innamora di un nazionalista irlandese e, infine, affronta la sfida dell’angelo stesso: raccontare il destino dell’uomo scrivendo il romanzo che sarebbe diventato il suo capolavoro. Ottant’anni dopo la sua pubblicazione in inglese, “Moby Dick” è stato tradotto per la prima volta in francese da Jean Giono e dal suo amico Lucien Jacques. L’editore convinse Giono a scrivere anche una prefazione, concedendogli piena libertà. Il risultato fu questo saggio letterario, in perfetto equilibrio tra biografia, meditazione filosofica, romanzo, opera di sfrenata fantasia.
In un saggio rigoroso dal punto di vista sto-riografico ma godibile come un romanzo storico, Gianni Morelli racconta la Quarta Crociata, dalle sue premesse fino alla con-clusione, prendendo come spunto il mosai-co, unico al mondo, della basilica di San Giovanni Evangelista a Ravenna.Tra le Crociate, la Quarta emerge per gli intrecci sconvolgenti, quasi in fotocopia del nostro mondo di oggi: economia, militari-smo, voltafaccia, politica, ambizioni perso-nali e gesti di brutale ferocia.Combattuta tra il 1202-1204, la sua sto-ria viene narrata dai mosaici nel pavimento della navata centrale della basilica di San Giovanni Evangelista, per volere dell’abate Guglielmo nell’anno 1213.Perché a Ravenna? E come mai così in fretta quei mosaici, epicentro delle decorazioni del nuovo pavimento della basilica, magnifico cantiere figurativo di una coscienza europea che stava entrando nella fase splendente del medioevo cortese?
Edita fa uno schizzo della baracca, con i suoi arcipelaghi di sgabelli, la linea della stufa e le due panche: una per lei e una per i libri. Ecco il suo mondo.Ad Auschwitz-Birkenau c’è l’unico campo “per famiglie” in cui vivono i bambini. Come uccelli rari in gabbia, i piccoli passano le loro giornate nel blocco 31, il paravento di normalità che i nazisti hanno costruito per gli ispettori della Croce Rossa. Qui Fredy Hirsch, un trentenne ebreo tedesco, ha organizzato in una baracca che è poco più di una stalla una scuola clandestina, dotata addirittura di una biblioteca. Gli otto volumi che la compongono – fra cui la Breve storia del mondo di H.G. Wells, un trattato di Freud, Le vicende del bravo soldato Švejk, un atlante geografico e Il conte di Montecristo – sono affidati alle cure della quattordicenne cecoslovacca Edita. Squadernati, strappati e malridotti, i libri sono arrivati lì per vie segrete, e difenderli non è certo semplice. Edita è disposta anche a rischiare la vita per salvare il suo tesoro, l’unico che le permette di fuggire dal dolore e dal plumbeo grigiore del campo di sterminio. Sarà proprio la sua fiducia nel potere dei libri a consentirle di vincere l’orrore.
124 d.C. Mentre il Vallo di Adriano s’innalza sempre più maestoso a separare la brughiera del sud dalle foreste inaccessibili del nord, la tensione tra Annio, Giulia e Deirdre sembra ormai prossima al punto di rottura. Le legioni di Roma sono messe a dura prova, tra attacchi sanguinosi, campagne di riconquista e rivolte di popoli che reclamano la libertà. Tuttavia una nuova speranza inizia a germogliare tra le ceneri, là dove i canti della Britannia evocano il sogno di una terra in cui tutti possano convivere. Così Deirdre, spinta dall’amore per la sua nuova famiglia, parte alla ricerca di Drest, convinta di poter promuovere un dialogo tra romani e pitti. La Caledonia, però, è ancora avida di sangue, e il prezzo della pace si rivelerà più alto che mai. La storia di un’impresa epica: la monumentale costruzione del Vallo di Adriano, un’ardita opera di ingegneria che per anni ha visto le legioni di Roma impegnate in una guerra aspra e sanguinaria contro gli antichi abitanti delle Highlands scozzesi. Un progetto ai limiti dell’impossibile, in una terra di frontiera oscura e minacciosa, sulla quale il sangue dei legionari è stato versato a fiumi.
Maria Antonietta Torriani: scrittrice, giornalista, femminista ante litteram, scandalosa donna separata, madre mancata, aspirante suicida… difficile rinchiudere in un’unica definizione una figura così avanti rispetto al suo tempo, così insolita e sfaccettata. La sua storia potrebbe riempire molte vite: da orfana poverissima nella Novara di metà Ottocento ad animatrice dei salotti milanesi; da corrispondente di Giosuè Carducci a sposa del futuro direttore del «Corriere della Sera» Eugenio Torelli Viollier; da prima «columnist» di costume del quotidiano milanese a scrittrice di fama internazionale con il bestseller Un matrimonio in provincia, la Marchesa Colombi (così si firmava) conquistò un successo talmente solido e duraturo che i suoi romanzi sarebbero stati amati da Natalia Ginzburg e Italo Calvino . «Come aveva fatto Maria Antonietta a lasciare la provincia e fare fortuna a Milano? Come era riuscita a sopravvivere da giornalista freelance – impresa tutt’oggi proibitiva – in un ambiente dominato dagli uomini? Quanto era dilaniata dal conflitto fra la sua voglia di indipendenza e la sua passione per lo scrivere da una parte, e dall’altra il suo desiderio di maternità e di avere una famiglia “normale”?» Con queste domande, Maria Teresa Cometto apre il sipario sulla Milano ottocentesca e su una vita senza tempo. Perché passano i secoli, ma le donne libere non muoiono mai.
Elise Duval, francese emigrata a New York, è oltremodo sorpresa di ricevere un pacco da Cuba, un Paese in cui non conosce nessuno. Ed è ancora più sconcertata quando, aprendolo, si trova di fronte un fascio di vecchie lettere, scritte in tedesco e datate 1940. Chi saranno mai Viera, la destinataria, e Amanda, la donna che nelle lettere implora il suo perdono? All’improvviso, Elise si rende conto che questo è il momento che ha aspettato e temuto per tutta la vita. Perché lei aveva dieci anni quando la guerra è finita, eppure i suoi primi ricordi sono le campane che suonano a festa l’8 maggio 1945. Adesso il destino le sta offrendo una chiave per aprire la porta del suo passato. Con un coraggio e una determinazione che non credeva di avere, Elise raccoglie gli indizi disseminati nelle lettere e ricostruisce la storia di una famiglia perseguitata dal nazismo, di una donna costretta a compiere una scelta impossibile, di un legame che né il tempo né la distanza sono riusciti a spezzare. E, a poco a poco, Elise scoprirà non solo la verità sulla sua infanzia, ma anche l’esistenza di persone che non l’hanno affatto dimenticata e che non hanno mai perso la speranza di ricondurla a casa.
Berlino, 30 aprile 1945: le avanguardie dell’Armata Rossa conquistano il bunker dove Adolf Hitler ha deciso di togliersi la vita. Ma come sarebbe cambiata la storia dell’umanità se quel giorno i soldati sovietici avessero trovato Hitler ancora vivo?
Questa è la premessa da cui parte L’ultimo inganno di Hitler, un avvincente romanzo di fantapolitica che ha come protagonisti alcuni personaggi realmente esistiti dei servizi segreti americani, sovietici e vaticani. Tra questi, lo psichiatra Douglas Kelley, che lavorò per l’esercito statunitense ed era esperto di ipnosi, trucchi mentali e illusionismo.
43 d. C. La Britannia, terra dalle leggendarie ricchezze, è ormai l’ultima roccaforte incontrastata dei celti. Si tratta di un luogo pericoloso, abitato da uomini senza paura, guidati da mistici guerrieri druidi. Persino i più valorosi soldati romani guardano con un misto di paura e sospetto al misterioso popolo che abita la regione. Ma il momento dello scontro è imminente e quattro legioni romane si sono radunate in Gallia al fine di intraprendere i preparativi finali per l’invasione. Due giovani soldati vengono inviati nella coorte di addestramento sotto la spietata guida di Remus, un veterano sfregiato in battaglia. Quando l’invasione ha inizio, la potenza di Roma si abbatte con brutalità inaudita sul nemico. Uno dei guerrieri celti è costretto a fuggire dalla battaglia per intraprendere una disperata missione di salvataggio nell’isola dei Druidi, dove una fanciulla sta per essere sacrificata. I destini di quattro individui, diversi per schieramento e lignaggio, stanno per intrecciarsi e rivelare un segreto in grado di cambiare il corso della storia.Che ne pensi di questo articolo? | |
Correlati