Narrativa recensioni

Vicarìa. Un’educazione napoletana – Vladimiro Bottone

Trama Napoli, 1841. Il Reale Albergo dei Poveri è un’opera mastodontica nata con l’ambizione di risanare le sette piaghe cittadine, ma divenendone, di fatto, l’ottava. Reclusorio di vecchi inabili, donne perdute e infanti destinati a perdersi, viene chiamato dai napoletani il Serraglio poiché dalle sue mura è pressoché impossibile fuggire. A scappare ci prova, tuttavia, Antimo, un bambino di sette anni. La causa della sua fuga è un «peccato che grida vendetta al Signore». Nascosto in una cesta di vimini, sotto un mucchio di paglia usata e lenzuola sporche, Antimo è sul punto di guadagnare l’uscita quando, scoperto, va incontro a una triste fine. Gioacchino Fiorilli, giovane commissario di Vicarìa, uno dei quartieri più malfamati della città, viene incaricato delle indagini sul caso. Di bell’aspetto, i baffi curati e la divisa elegante, Fiorilli si ritrova a fare i conti con una Napoli popolata di funzionari corrotti, medici senza scrupoli e sinistri personaggi in bilico tra luce e ombra, nobiltà d’animo e miseria. Recensione a cura di Roberto Orsi Vicarìa è uno di quei romanzi che rimane impresso. Un pugno nello stomaco, di quelli che lì per lì ti sorprendono, ti annichiliscono, ma poi ti fanno pensare. “C’è del marcio in Danimarca”, una delle frasi più celebri dell’Amleto, perfettamente adattabile al contesto di questo romanzo storico di Vladimiro Bottone: sostituite solamente il paese scandinavo con la città di Napoli. La Napoli della metà XIX Secolo, con i suoi quartieri più malfamati, fa da scenografia a una storia che a tratti lascia senza respiro per crudeltà. Il Reale Albergo dei Poveri, o come veniva comunemente chiamato “Reclusorio” o “Serraglio”, è una delle più grandi costruzioni settecentesche d’Europa. Un edificio, nato per ospitare le grandi masse di poveri del Regno dei Borboni, che iniziò ben presto ad accogliere gli orfani della Santa Casa dell’Annunziata per offrire loro i mezzi di sussistenza primaria e insegnare un mestiere che li avrebbe resi autonomi. Nell’immaginario collettivo l’Albergo dei Poveri diventa una specie di carcere, “serraglio” appunto, da cui deriva l’epiteto di “serragliuoli” per tutti i ragazzi ivi rinchiusi. La prima scena del libro è da mozzare il fiato. Non si tratta di spoiler perché è già scritto nella sinossi, ma la morte di Antimo, un bimbo di sette anni che tenta di evadere dal Serraglio, lascia davvero a bocca aperta. E già da quelle prime pagine, si può intuire lo spessore di questo libro. Vladimiro Bottone rende perfettamente l’idea di un’atmosfera pesante e satura di corruzione. Un contesto in cui il più forte, o spesso anche solo il più furbo, la fa da padrone ed esce vincitore. Il problema è che non si tratta di un gioco, stiamo parlando di vite umane, considerate di valore inferiore perché beffate da un destino avverso che non ha concesso loro pari dignità di chi sta fuori dal Serraglio. Così, pubblici funzionari, medici e poliziotti banchettano sulle vite altrui, sfruttando quella posizione di potere che permette una libertà di manovra tanto subdola quanto corrotta.
L’esistenza al Serraglio è tale e quale: si possiede la vita di chi ti sta sotto
La morte del piccolo Antimo nella sua versione ufficiale non convince l’ispettore Gioacchino Fiorilli del Commissariato di San Carlo all’Arena. Con un forte senso del dovere e profonda giustizia, Fiorilli vuole andare a fondo alle indagini e capire cosa si muove nelle acque torbide in cui annega la vita al Serraglio. Far affiorare la verità in un lago di melma non è un compito facile. Ci si sporca le mani, come minimo. E si pestano i piedi alle persone sbagliate. Il commissario indaga nei vicoli bui dei quartieri napoletani, tra donne dai facili costumi, bische clandestine, gioco d’azzardo e malaffare. L’autore ci presenta una Napoli genuina e reale. Le atmosfere sono rese perfettamente dalle sue parole, con una prosa fantastica, decisamente evocativa, impreziosita dai tanti termini dialettali soprattutto nei dialoghi tra i personaggi. Napoli è la grande protagonista di questo romanzo. Napoli, città di magia e di superstizioni. Città che ha sempre avuto una forte predisposizione verso la cabala e i numeri. Il gioco del lotto, un rito che si ripete regolarmente. Da un lato, l’attesa spasmodica di un’estrazione e di una possibile vincita quale panacea di tutti i mali per i cittadini. Grande fonte di incassi per lo Stato, dall’altro. Due facce della stessa medaglia che ruota su un terreno molto pericoloso. Vladimiro Bottone ha la grande capacità di rendere i personaggi perfettamente riconoscibili, rimangono impressi nella mente del lettore con le loro caratteristiche principali. Con il potere e la capacità di decidere le sorti e il destino degli altri, si ergono ad arbitri di vita. Posizioni di privilegio che garantiscono quell’immunità necessaria per muovere il fondale, quel fango che rende ancora più torbide le acque in cui si naviga. Quindi ci troviamo ad analizzare il personaggio del dott. De Consoli, abile a barcamenarsi tra una serata mondana tra personaggi di spicco dell’alta borghesia napoletana, e le nefandezze perpetrate ai danni dei poveri rinchiusi del Serraglio, abile giocatore capace di soddisfare le richieste del direttore del collegio. O ancora, il lettore scopre di provare simpatia per l’ispettore Pennariello, compagno di indagini di Fiorilli, uno sbirro che è cresciuto tra i malavitosi, quando in giovane età era un borseggiatore, facente parte di quelle bande di mariuoli capaci di sottrarti il portafoglio dalla giacca nel tempo di una fermata di tram. Sa come muoversi Pennariello, tra i vicoli della mala napoletana. Conosce tutti o quasi, sa dove prendere le informazioni e utilizzarle secondo la sua convenienza. L’ispettore Fiorilli brancola nel buio mentre le morti misteriose nel quartiere di Vicarìa continuano intorno a lui.
Era lui ad attaccare in giro la morte, come una specie di untore? E se fosse stato peggio, invece? Se fosse tutto un continuo di allucinazioni, dotate di una loro paurosa coerenza? In tal caso lui sarebbe stato sulla via di Sant’Eframo, quella del manicomio.
Un libro incredibile per potenza e taglio stilistico. Ti entra dentro durante la lettura, alcuni passaggi lasciano un senso latente di angoscia che scolpisce il libro nella testa e lo rende identificabile. Un incastro perfetto per una trama che spazia dal giallo al noir con una facilità di racconto disarmante. La penna di Vladimiro Bottone scorre davanti ai nostri occhi Uno di quei libri di cui non scordi la trama anche a distanza di tempo, perché rimane come una ferita che brucia sulla pelle.
Il Serraglio faceva e sfaceva. Il Serraglio ti permetteva di scappare e poi, quando meno te l’aspettavi, ti veniva a pigliare, per l’ultima volta. Il Serraglio era padrone delle pietre come degli uomini. Della vita come della morte.
  Copertina flessibile: 487 pagine Editore: BEAT (9 novembre 2017) Collana: BEAT Lingua: Italiano ISBN-10: 886559428 ISBN-13: 978-8865594285 Link di acquisto cartaceo: Vicarìa Link di acquisto ebook: Vicarìa  
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