Trama
“Pleistocenica” narra, in maniera romanzata, tre “fasi” salienti della parte finale dell’evoluzione umana, a partire dagli ultimi 75mila anni prima del passaggio al Neolitico. L’autore ispirato da reperti fossili e pubblicazioni sull’argomento ha elaborato, con alcune sfaccettature “fantasy”, la narrazione delle vicende ambientate a Blombos (Sudafrica), poi in Europa e in Medio Oriente. I protagonisti sono un gruppo sparuto di uomini e donne che, pur tra milioni di difficoltà e in un territorio selvaggio sapranno affacciarsi all’alba di una nuova era facendo unico affidamento sulle proprie capacità e sul proprio intelletto.
Recensione a cura di Laura Pitzalis
Confesso che quando mi hanno proposto di recensire il libro di
Giuseppe Calendi “ Pleistocenica” sono rimasta un po’ disorientata, (
Pleistocenica? E che è?), ma non ho esitato ad accettare sia perché non mi è mai capitato di leggere un romanzo ambientato in un periodo storico così remoto,
stiamo parlando del Pleistocene, detto anche Glaciale o Diluviale, il primo dei due periodi geologici dell’era quaternaria o neozoica, caratterizzato dalla comparsa dell’uomo, sia perché curiosa di vedere come può evolversi un romanzo che ha come protagonista l’uomo primitivo.
Ho iniziato la lettura un po’ prevenuta, ma devo dire è stata un’autentica sorpresa!
Posso considerarlo come un saggio antropologico in chiave romanzata e un po’ fantasiosa che ci spiega come la lotta per la sopravvivenza ha portato all’evoluzione della specie. L’evoluzione darwiniana, cioè la trasformazione dei caratteri delle diverse specie per adattarsi all’ambiente e garantire la sopravvivenza, è proprio quello che vuol mostrarci Giuseppe Calendi nel suo romanzo, e lo fa descrivendo le diverse condizioni di vita di un gruppo di persone in tre fasi del periodo pleistocenico a partire dagli ultimi 75mila anni prima del passaggio al Neolitico.
L’Africa è la nostra culla, perché, all’incirca sei milioni di anni fa, lì si è separata la linea evolutiva tra il genere Homo e gli scimpanzé, ma anche perché, sempre da lì, quando riti e simboli avevano da poco emesso i loro primi vagiti, una manciata di uomini caparbi e ostinati, ha superato indenne l’ultimo collo di bottiglia, sfuggendo alle morse del cambiamento climatico, l’ultima barriera che poteva costare l’estinzione […]
Il romanzo è costituito da tre episodi che si rifanno a tre fasi del Pleistocene, mostrandoci come le prime organizzazioni tribali si siano trovate esposte, nel corso delle loro incessanti migrazioni, alle più diverse condizioni di vita, passando per molti climi e cambiando molte volte le loro abitudini e le loro dimore.
Nel primo episodio siamo in Sud Africa, settantacinquemila anni fa.
Un piccolo gruppo formato da uomini donne e bambini, lottano per sopravvivere cercando un luogo più propizio per sfuggire alla stretta della desertificazione del territorio causato da un improvviso raffreddamento sopraggiunto dopo un’eruzione vulcanica.
I vecchi saggi lo chiamavano “Il grande botto”, perché le genti in fuga avevano descritto con terrore quello che avevano visto e sentito. Questo tamtam si era presto tramandato, nei vari spostamenti, diffondendosi di clan in clan.
Gik, Enam, Wink, Kenan e Thabo, gli uomini del gruppo, capitanati da Ekon il più anziano ed esperto della tribù, sono messi a dura prova dall’inaridimento del territorio che ha allontanato e disperso le prede che fuggono in altri luoghi per procacciarsi il cibo. Non c’è di che mangiare, nessun animale da catturare,
solo alberi e una natura che da madre, come l’hanno sempre considerata, è diventata un nemico che vuole ucciderli. Bisogna quindi ricorrere ai riti propiziatori. E qui Calendi con minuzia di particolari, dimostrando quanto lavoro di ricerca c’è dietro la stesura del romanzo, ci descrive vari rituali di buon auspicio che vanno da quelli più macabri come il rito sacrificale per la caccia a quelli più colorati e folcloristici per il sole e l’abbondanza.
«Voglio che sia un buon mattino, Ekon. Coloriamoci, iniziamo il rito propiziatorio per il sole e l’abbondanza. […] Le donne intingeranno le mani nel guscio e inizieranno a cospargere sul nostro corpo la mistura rosso scuro, dalle gambe alle braccia e poi sul volto, creando strisce ondulate con le dita, aggiungendo dei segni sulle mani che stringeranno le nostre lance, con la speranza che possano essere scagliate contro la selvaggina!»
In questa fase del pleistocene, essendo diventata la vita più pericolosa per gli individui isolati, diviene di vitale importanza progredire verso un’organizzazione sociale più articolata:
nascono le prime tribù.
Questo passaggio è descritto molto bene nel romanzo, con Ekon che prepara con strisce di pelle e conchiglie delle collane che consegnerà a tutti i componenti: saranno i simboli che caratterizzeranno e identificheranno il gruppo.
Ecco nascere la tribù degli uomini delle conchiglie.
Ekon […] prende un piccolo punteruolo e, dopo aver tolto e mangiato il contenuto, buca una parte del guscio, facendo attenzione a non romperlo. […] Tutti i gusci, che si erano rivelati pure una buona risorsa alimentare, vengono messi in fila e forati uno per uno. Un lavoro minuzioso e accurato, che non deve rovinare o intaccare in nessun modo quegli oggetti da trasformare in simboli che avrebbero caratterizzato tutto il gruppo.
Il secondo episodio si svolge in Europa occidentale, trentacinquemila anni fa, e qui l’autore, raccontandoci diversi episodi della vita quotidiana dei suoi personaggi , ci mostra come questa fase sia caratterizzata da una vasta produzione di manufatti, di armi per la caccia e di altri utensili per la vita di tutti i giorni. Come si riesca a sfruttare la flora, distinguendo centinaia di specie commestibili (radici, bulbi e frutti vari) da altre velenose, e la fauna locale. E’ in questo periodo che si hanno le prime rappresentazioni parietali, manifestazione della loro abilità nell’espressione artistica, che Calendi identifica in Kos, il pittore del gruppo e nei suoi piccoli alunni Jerek, Arkam, Bilk e Lek.
Straordinaria è la descrizione molto particolareggiata degli strumenti che usano per decorare le pareti di una grotta e l’esecuzione degli affreschi: tutti partecipano chi disegnando un cavallo, chi un bisonte, chi un uro.
«Lek, portami la tavoletta», un pezzo di legno piatto, ricavato dal tronco di un albero.
Un po’ più avanti, davanti all’immagine, lunghi pali di legno, legati e incrociati tra loro, fungono da impalcatura, sulla quale verrà realizzata la decorazione.[…] Il ragazzo, con molta attenzione, fa cadere poche gocce (d’acqua ) e Jerek inizia subito a preparare i colori.
Non appena sono pronti, sale su quell’improvvisato ponteggio e inizia a dare forma all’animale.
Prima il corpo, poi le orecchie, il muso, le zampe, la coda.
«Arkam dammi quel ciuffetto di ramoscelli verdi», e indica un rudimentale pennello che gli serve per rimarcare le varie parti del cavallo.
«Bilk, tu portami la bacchetta nera!» un pezzo di carboncino utile per evidenziare i contorni della figura che ha appena disegnato.
Dopo un tempo che sembra lungo e brevissimo allo stesso tempo, scende dall’impalcatura e, trionfante, dice: «Ho finito!»
Sempre in questa parte del romanzo l’autore ci fa partecipare a una cerimonia funebre per un componente del gruppo, Tupak, morto durante la caccia al cervo, anzi al Cervo Hut, visto che
la caccia per i primitivi ha un significato simbolico: l’Alce, il Cervo, il Toro sono elevati alla stregua di divinità.
Leggendo queste pagine mi sono emozionata.
Abilissimo Calendi nel tratteggiare e rendere vivi i sentimenti di fratellanza, rispetto e solidarietà tra i vari componenti la tribù. E ne abbiamo conforma nei riti, ben descritti e particolareggiati, di acclamazione per la vittoria contro Il Cervo e di commiato al loro compagno.
“Mettetelo qui”, dice Hinek. I cacciatori, con molta attenzione, adagiano il corpo di Tupak nella fossa. Obik gli apre la mano sinistra e vi appoggia il lembo della pelle di Hut e il frammento di coda. Poi la richiude. «Questi trofei di caccia saranno con lui e li stringerà per sempre, in segno della sua grande impresa!»
Bekat porge a suo figlio lo zoccolo. «Vai Jerek, mettiglielo nella mano destra.» Pelk invece sistema accanto al corpo di Tupak la sua lancia e il suo propulsore. Kos, con l’ocra, gli raffigura due piccole mani, una per braccio, e gli colora la fronte di rosso.
Terzo episodio del libro, siamo in Medio Oriente dodicimila anni fa.
Si perfezionano gli utensili per la caccia e per uso quotidiano. Ed ecco che Calendi ci presenta Murad l’artigiano: dalle sue mani si realizzano gli archi con le frecce e le bolas:
[…] Si avvicina a Murad, che ha cominciato a limare alcuni sassi.
«Questi sono più massicci, Lesk. Imbriglieranno ancora meglio le zampe dei nostri bersagli.»
Le bolas sono quasi pronte, con le pietre arrotondate da legare attraverso dei lacci a delle stringhe di pelle.
Abbiamo un’altra accelerazione nell’evoluzione quando si comincia ad addomesticare e allevare animali e a coltivare piante.
Kaly, con il fedele Gork, si avvicina a suo padre […]
«Ricordi, un po’ di tempo fa quando ho messo sotto un albero quel grande chicco di grano? L’altro giorno, ci sono ripassato davanti. Al posto del chicco, c’era una spiga. Ho preso i suoi semi e li ho conservati.»
«Saranno i primi che pianteremo, figlio mio.»
Con la diffusione della pastorizia e dell’agricoltura, s’intensificò la produzione di cibo e iniziò anche una notevole espansione demografica.
Le innovazioni portarono a un nuovo profondo cambiamento delle abitudini, che trasformò quelle popolazioni molto nomadi in gruppi stanziali.
Con questo romanzo Giuseppe Calendi da vita ad un’immaginaria storia sfruttando le conoscenze dei reperti a noi giunti e completandola con la propria fantasia.
Abbiamo dei dialoghi, che spesso sconfinano nell’assurdo, che ci possono sembrare eccessivamente moderni e dissonanti rispetto al periodo storico del racconto, in quanto non è possibile sapere con certezza se gli uomini primitivi avessero sviluppato, nella cronologia indicata nel romanzo, un linguaggio organizzato come il nostro. Ma, come spiega l’autore nella postfazione, a lui servono unicamente per rendere più chiari gli avvenimenti trattati nel libro.
Il suo scopo è di farci riscoprire il mondo quotidiano dell’uomo primitivo, la sua lotta per la sopravvivenza per la quale si è costretti a dei cambiamenti che porteranno nel corso di milioni di anni ad una selezione naturale e questa, signori, è l’evoluzione della specie!
Copertina flessibile: 89 pagine
Editore: Antipodes; (1 gennaio 2019)
Lingua: Italiano
ISBN-10: 8899751633
ISBN-13: 978-8899751630
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