L’intervista di TSD – Tatiana Cavola
Bentrovati lettori di TSD! È tempo di una nuova ospite nel nostro salotto. Oggi siamo in compagnia di Tatiana Cavola.
Mentre le sistemiamo i microfoni e regolarizziamo le casse affinché nulla vi possa sfuggire della sua intervista, ve la presentiamo.
Tatiana Cavola è nata a Roma nel 1988, ma quando era molto giovane si è trasferita fuori porta, in un paesino chiamato Valcanneto, vicino Cerveteri e Ladispoli. Si è laureata col massimo dei voti in Letterature e Traduzione Interculturale nel 2012 nell’Università di Roma Tre, conseguendo poi due master in Didattica delle Lingue e Letteratura, Arte e Informatica, per poi diventare professoressa di Lingua e Letteratura Inglese nel liceo linguistico di Bracciano. Si è appena sposata e attualmente vive a Cerveteri con il marito. Penelopea. La Regina di Itaca è il suo romanzo d’esordio.
Ciao Tatiana e grazie per aver accettato questa intervista.
Partiamo dal principio. Si dice che uno scrittore debba essere innanzitutto un lettore. Tu che lettore sei?
Sono una lettrice appassionata, entusiasta, curiosa e che ama spaziare. Credo sinceramente che non si possa scrivere se prima non si è avidi lettori, esattamente come non si può essere grandi chef senza essere fondamentalmente dei golosi. Io ho iniziato a leggere quando avevo 4 anni e devo essere veramente grata ai miei genitori e a mio nonno paterno per avermi circondata di libri dalla nascita. A casa mia i libri sono sacri e credo di aver avuto pochi giorni di vita quando mio padre mi regalò il primo: “Raccontami una storia”, un libro di favole e filastrocche, una al giorno.
Fin da bambina, non uscivo di casa senza un libro, in modo da poter leggere in qualsiasi momento. È un’abitudine che ho conservato anche da adulta, nella mia borsa c’è sempre qualche volume. Sono una fan del cartaceo: vogliamo parlare del fascino della carta? La sensazione di tenere un volume in mano, sentirne il peso, sfogliarne le pagine (ruvide e rigide se è nuovo, lisce e consumate se è stato sfogliato molte volte), annusarne la fragranza. Sì, lo ammetto, faccio parte di quel gruppo di persone che adorano l’odore di un libro. Ogni volta che me ne regalano uno, la prima cosa che faccio è aprirlo per inspirarne il profumo, non importa se sia appena stampato oppure vecchio di decenni, adoro sentire che odore abbia, perché è unico e inconfondibile. Racconta la storia del libro quasi quanto il racconto stesso.
Vogliamo parlare poi dell’aspetto emotivo? Sfido chiunque a regalare un ebook e scriverci una dedica personalizzata. Regalare un libro è regalare un momento, un mattoncino di vita che rimarrà per sempre con chi lo riceve. Io conservo ancora libri che ho ricevuto da bambina o da adolescente e che erano dei miei nonni, dei miei amici di allora o di persone che hanno attraversato la mia vita in un dato momento. Ogni volta che li vedo o che li rileggo mi ricordo di quelle persone o di episodi che sono legati a loro.
Parlaci del titolo del tuo libro: come nasce Penelopea?
In realtà il titolo è nato in classe, parlando con degli studenti. Stavo spiegando il romanzo “Pamela” di Samuel Richardson, del quale all’epoca fu pubblicata una versione satirica intitolata “Shamela” di Jonathan Swift. L’autore giocava sulla parola “Shame” (vergogna) e aveva mantenuto il suffisso finale per fare un richiamo all’originale. Un’alunna, che sapeva che stavo scrivendo il romanzo ma che brancolavo nel buio alla ricerca di un titolo, suggerì che avrei potuto fare un qualcosa di simile, anche se non si trattava di un’opera satirica.
In fin dei conti l’Odissea è incentrata su Odisseo, quindi sembra appropriato che ci sia il nome di Penelope in un’opera che spera di rimettere questa figura al centro degli eventi.
Perchè dare voce a Penelope? Da dove è nato l’amore per questo personaggio?
È stato un percorso lungo, fatto di piccole coincidenze.
Anni fa lessi “La torcia” di Marion Zimmer Bradley, che è tuttora il mio libro preferito, in cui l’autrice raccontava le vicende della guerra di Troia dal punto di vista di Cassandra, ma con un’interpretazione Fantasy che trovai assolutamente geniale e innovativa. In seguito, l’ultimo anno dell’università mi fecero studiare “La tejedora de sueños” di Antonio Buero Vallejo in cui si propone una Penelope molto diversa dalla donna mansueta e passiva che ci ha tramandato Omero e ricordo che già all’epoca mi sembrò molto più verosimile che una donna abbandonata dal marito si rifacesse in qualche modo una vita piuttosto che stare lì ad attendere i suoi comodi facendo la calzetta.
Poi, qualche anno dopo, una mia studentessa si stava lamentando delle parafrasi dell’Odissea che le aveva assegnato il professore di Lettere, cosa che per me era inconcepibile dato il mio amore per i poemi omerici e per la mitologia greca in generale, così iniziammo a dibattere sulla figura di Penelope, e scoprii che la maggior parte delle studentesse non credeva che le cose fossero veramente andate come ci racconta la tradizione omerica. La loro reazione mi spiazzò, perché si lanciarono in una sfilza di improperi molto poco lusinghieri nei confronti di questa figura che percepivano come debole e remissiva. Per i maschietti ovviamente era un’altra storia…
Ho visto nei loro occhi la disillusione per la scarsa verosimiglianza dei racconti omerici e soprattutto tanta tanta noia e non potevo accettare che i personaggi che io avevo tanto amato da piccola generassero solo noia e scherno nelle nuove generazioni.
Come molte cose che faccio da quando sono diventata un’insegnante, il libro è nato in classe, dai miei ragazzi e per i miei ragazzi.
Quanto ti è servita la lettura dell’Odissea per immaginare il tuo personaggio?
Ovviamente ho letto l’Odissea, così come la “Biblioteca” di Apollodoro e anche altri, perché volevo inserire alcuni episodi particolarmente famosi, ma di base la mia Penelope non ha nulla a che vedere con l’originale. Fin dall’inizio mi era chiaro che non avevo intenzione di scrivere un’opera che fosse troppo fedele all’ Odissea, anche perché non va dimenticato che l’autore (o autori, secondo alcuni) era pur sempre un uomo e oltretutto figlio del suo tempo, con una determinata concezione della donna. Volendo mostrare la complessità di una psiche femminile, non potevo affidarmi troppo ad Omero. Per di più, non avevo la pretesa di essere storicamente corretta in maniera pedissequa. Alcune cose sono vere, altre no, ma è questo il bello di un’opera di fantasia. Odio leggere dei romanzi storici in cui la fedeltà al fatto predomina sul senso della trama. Se avessi voluto leggere un trattato di storia greca, avrei letto un saggio sull’argomento. Se si legge un romanzo, si accettano anche alcune licenze dell’autore.
Inoltre, volevo mostrare come un fatto possa essere falsato storicamente per la posterità, riscrivendo la verità ad uso e consumo degli interessi di qualcuno. Bisognerebbe sempre cercare di andare a fondo nelle cose e negli eventi, se possibile ascoltando tutte le versioni e confrontandole.
Ultimo, ma non meno importante, volevo dimostrare ai miei studenti che quando un autore scrive qualcosa, non va sempre inteso nel senso letterale della cosa. Ho provato a mostrare un’altra possibile interpretazione della famosa tela di Penelope, in cui lei non solo non tesse (la mia Penelope odia tessere), ma la tela diventa una metafora inventata da Omero per sminuire alcune importanti riforme fatte da Penelope negli anni della reggenza.
Stando alla tua teoria, secondo te non è possibile un sacrificio per amore? Penelope, in fin dei conti, non è stata con le mani in mano in assenza di Ulisse…
L’amore ha un ruolo fondamentale nella storia della mia Penelope. È una donna capace di grandi sacrifici e che farebbe qualsiasi cosa per proteggere coloro che ama. Di fatto, sacrifica una gran parte di sé stessa per la sua famiglia e per il senso del dovere. Sacrifica le sue aspirazioni e ambizioni personali per il bene di un’isola che non è neanche la sua madrepatria, dal momento che colui che avrebbe dovuto occuparsene se n’è andato in cerca di gloria.
Credo quindi che Penelope in realtà sia l’emblema di coloro che sacrificano sé stessi sull’altare dell’amore, senza in realtà ricevere nulla in cambio. Non solo le infinite scappatelle di Ulisse sono celeberrime e ampiamente accettate da Omero in poi, ma nell’Odissea non si fa cenno neanche una volta alla remota possibilità che questa donna potesse avere da ridire su un marito che sparisce per vent’anni, abbandonandola con un figlio neonato da crescere e un’isola a cui badare. Oltretutto dopo aver rischiato di uccidere il suddetto figlio nel tentativo di evitare di andare in guerra. Tuttavia, i riferimenti al tradimento di Penelope con Antinoo ci sono, anche se mimetizzati (neanche troppo bene), e quelli alla sua scarsa abilità di gestione delle ricchezze del marito non si contano nemmeno.
Dici che su Penelope sono state dette tante bugie: ce ne vuoi dire almeno una? qual è la più grande fake news circolata su di lei?
La più grande è sicuramente il mito della fedeltà e castità ventennale di Penelope. Già nell’Odissea è Omero stesso a fare menzione degli sguardi che lei lancia ad Antinoo o del fatto che era “il suo preferito fra tutti”. Di fatto ci lascia intendere che non è che proprio morisse dalla voglia di veder tornare il marito, tuttavia non era accettabile che una donna facesse fare ad un eroe la figura del tradito. Penelope doveva diventare l’emblema della moglie fedele, che bada alla casa e fa la calzetta in attesa del ritorno del marito, che invece è ovviamente libero di condurre i propri affari come meglio crede. E così è stato. La realtà dei fatti è stata distorta e piegata ad uso e consumo della narrazione ai posteri e quindi noi, per più di 2000 anni, ci siamo dovuti sentir dire che Penelope montava e smontava la tela struggendosi nell’attesa.
Fra l’altro, il poema omerico non si dilunga affatto sulla reazione di Penelope quando scopre che il marito è tornato (il che è di per sé interessante) ma anzi, si chiude poco dopo con la versione omerica di un bel “vissero per sempre felici e contenti”, lasciando però aperti tutta una serie di interrogativi: cosa è accaduto fra Ulisse e Penelope dopo la morte dei Proci? Come hanno reagito i padri dei principi uccisi da Ulisse? E Telemaco?
Non è un caso che molti altri autori, già nell’antichità, hanno fatto speculazioni o fornito dei finali alternativi. In alcuni casi Ulisse scaccia Penelope in quanto moglie adultera, secondo altri la uccide, secondo altre versioni ancora mettono al mondo altri 2 figli ma poi lui sente di nuovo la smania di viaggiare e la abbandona di nuovo. Probabilmente non sapremo mai qual è la verità.
Potere, affermazione, orgoglio: quale caratteristica secondo te è maggiormente preponderante in Penelope?
Nessuna delle tre. Ho cercato di rappresentare una donna concreta, a cui di base non interessano le dispute politiche, le rivendicazioni femministe e che non si può permettere di essere orgogliosa in un periodo in cui alle donne non è neanche concesso esserlo, ma che si trova a gestire il potere quasi per caso, essendo nata in una famiglia nobile e avendo poi sposato un re. Molto spesso maledice il suo destino, perché rivestire un ruolo di potere implica moltissimi sacrifici e rinunce. Compie delle scelte e ne affronta le conseguenze a testa alta. Cade e si rialza. Prova, a volte fallisce in altre ha successo, impara e la volta seguente fa meglio. È, si base, una donna qualsiasi.
Credo che Penelope stia fondamentalmente cercando quello che qualsiasi persona, uomo o donna, vorrebbe: amore, libertà e felicità. Le tre cose secondo me sono interconnesse, perché non credo si possa essere felici se non si ha qualcuno da amare e che ci ricambia allo stesso modo, ma se non si ha anche la libertà di essere sé stessi e di esprimerci tramite parole e azioni.
Penelope è alla ricerca di tutto ciò in un mondo e in un’epoca che certo non la favoriscono, ma probabilmente se potesse scegliere andrebbe a vivere in una capanna lontano da tutti con la persona che ama e che a sua volta la ama e la accetta così com’è, non in quanto principessa di Sparta, regina di Itaca, moglie, madre, trofeo, simbolo o chissà cos’altro.