Articolo a cura di Armando Comi
La tolleranza è una conseguenza necessaria della nostra condizione umana. Siamo tutti figli della fragilità: fallibili e inclini all’errore. Non resta, dunque, che perdonarci vicendevolmente le nostre follie. È questa la prima legge naturale: il principio a fondamento di tutti i diritti umani.
(Voltaire, “Trattato sulla tolleranza”)
François-Marie Arouet, conosciuto come Voltaire (1694-1778) è l’emblema dell’illuminismo. Una mente dedita all’arte come alla filosofia, alle voci enciclopediche come agli aforismi. Voltaire incarna innanzi tutto la volontà, propria dell’illuminismo, di non fermarsi dinanzi a nessuna delle opinioni comuni, ma di spingere la ragione sempre oltre, per allargare i confini della conoscenza e per porla al servizio della società. Ed è proprio questo atteggiamento che fa essere Voltaire il pensatore della tolleranza per eccellenza, lo scrittore delle condanne contro la tortura e contro la pena di morte, contro la guerra e contro i fanatismi. Insomma il tipico liberale illuminista.
La sua filosofia non ha unicamente il tono della serietà trattatistica, i suoi scritti sono farciti di ironia, spesso amara, ma brillante.
Voltaire non è un religioso, prende in giro ogni forma di credenza magica o superstiziosa, a maggior ragione ridicolizza ogni radicalismo che venga da un credo. Attenzione perché Voltaire non è ateo, infatti il filosofo francese è un deista, convinto che Dio sia il grande fabbricatore del mondo e delle sue regole, regole che tuttavia, una volta “programmate”, sono in grado di muovere la natura senza il Suo intervento.
Le religioni del libro invece, ovvero i tre grandi monoteismi (giudaismo, cristianesimo e islam) sono solo invenzioni umane atte a giustificare un orizzonte di potere istituzionale che prevede la sottomissione dei fedeli.
I misteri religiosi e i tabù imposti dai sacerdoti servono solo a governare le masse ignoranti. Niente di più. Non esistono miracoli, non esistono fenomeni paranormali, ci sono solo persone colte e potenti che vogliono farci credere nell’esistenza di forze sovrannaturali, forze che solo caste di sacerdoti e di politici possono tenere sotto controllo e amministrare. Questa è la religione posta sotto i riflettori dell’illuminismo. I moniteismi sono solo tecniche di controllo sociale, metodi di assoggettamento per masse che altrimenti si ribellerebbero ai poteri costituiti. Se, ad esempio, un povero ha fame, e un poliziotto gli ordina “non rubare”, il povero potrebbe tranquillamente trovare una strategia per non farsi cogliere in fragrante e rubare lo stesso il cibo. Ma se il comandamento “non rubare” viene pronunciato da un Dio, allora la paura della punizione divina soggiogherà l’affamato meglio di qualsiasi poliziotto. Per Voltaire il comandamento “non rubare”, non può che venire da una casta ricca, che ha paura di perdere i propri beni.
Ma qual è la forma di governo più illuminata?
La risposta dipende dal contesto storico e sociale.
Certamente non la democrazia gestita dal popolo. Il popolo, secondo Voltaire è spontaneamente fanatico e intollerante, non è capace di pensare al bene comune. Il popolo è naturalmente violento e facilmente corruttibile. Non verrebbe niente di buono dall’affidare il potere a tutti. Occorre invece che ci siano dei rappresentanti. E soprattutto occorre che i poteri non siano concentrati nelle mani di un’unica persona, ad esempio un monarca assoluto. Un solo uomo, come un re, non può allo stesso tempo fare le leggi, essere capo dell’esercito e al contempo essere massima autorità giudiziaria. Potere legislativo (fare le leggi), potere esecutivo (far rispettare le leggi) e giudiziario (stabilire chi ha trasgredito le leggi), devono essere separati e controllarsi reciprocamente. Il potere legislativo deve andare al parlamento, quello esecutivo in mano al governo e quello giudiziario ai giudici. Questi saranno gli obiettivi politici della rivoluzione francese.
Ma se la democrazia rappresentativa è una prospettiva irrealizzabile in un preciso momento storico? Se ad esempio si viene fuori da un periodo di evidente fallimento delle istanze democratiche?
Ecco che allora occorre un sovrano illuminato. Voltaire sostiene che l’obiettivo politico deve essere un popolo che sta bene.
Il pensatore della Rivoluzione francese non si spingerà a parlare di “diritto alla felicità”. Il “diritto alla felicità” fu infatti inserito nella costituzione americana, che, ad oggi, è l’unica costituzione che intente garantire la felicità dei propri cittadini. Si tratta, secondo alcuni teorici, di un errore. Ad esempio la felicità di un serial killer sarà uccidere, e nessuna costituzione dovrebbe garantire una felicità del genere. Infatti in una società di massa non è impossibile trovare felicità parziali che urtano contro le leggi, ad esempio il diritto ad essere felici commettendo un omicidio. L’esempio è estremo, serve solo ad aprire qualche considerazione.
Il modello di sovrano illuminato di Voltaire è Federico II di Prussia, un sovrano che ad esempio attua una riforma della scuola. Una riforma della scuola è esattamente il genere di riforma che lascia per lo più indifferente il popolo, ma che in realtà ne migliora la qualità della vita. Se chiedessimo al popolo “quale riforma vorresti?” probabilmente sentiremmo parlare di “pena di morte”, “meno tasse”, “più comodità o intrattenimenti”. Tuttavia non si tratta di riforme destinate a creare benessere, ma a tamponare problemi o a creare violenza. Insomma questa è la strada del fanatismo.
Voltaire ha paura della pancia del popolo, per lui è meglio avere al potere un sovrano razionale piuttosto che una folla irragionevole e ignorante. Un popolo violento e ottuso condurrà inevitabilmente a una dittatura. Allora meglio un sovrano illuminato.
Nel Trattato sulla tolleranza Voltaire sceglie di giocare a carte scoperte e dichiara che non c’è nessuno che è capace di rispettare le regole in modo perfetto. Ci sarà sempre, rispetto alle regole, qualcuno che sbaglia e qualcuno che obbedisce in modo impeccabile. Chi si crede impeccabile in genere arriva a pretendere la condanna di chi sbaglia. Tuttavia è facile che prima o poi anche gli impeccabili sbaglino, e allora saranno loro a dover essere condannati, visto che prima erano loro a condannare.
Alla luce di queste considerazioni Voltaire non dice che bisogna perdonare chi infrange la legge, ma di non usare nessuna forma di tortura o di violenza, perché l’errore del trasgressore potremmo compierlo anche noi. Non ci sono uomini superiori ad altri in ogni cosa. Un atleta è superiore in velocità a un ministro, un ministro è superiore in conoscenza della legge a un fornaio, un fornaio è superiore a un politico nelle tecniche dell’impasto, ecc. In una società c’è sempre qualcuno superiore o inferiore a un altro. È solo una questione di prospettive, ma non esiste il cittadino superiore in assoluto o il cittadino inferiore in assoluto. Siamo tutti in un rapporto reciproco di superiorità o inferiorità. Ecco allora la parola chiave: tolleranza.
Quando scrive contro la pena di morte, Voltaire spiega il perché l’eliminare un trasgressore non sia qualcosa di utile.
Primo motivo: uccidendo un criminale si perde forza lavoro che lo Stato può impiegare in opere pubbliche.
Secondo motivo: lo Stato diventa violento, cioè si riduce alla stregua del criminale che sta condannando. Voltaire non vuole uno Stato criminale. Se lo Stato uccide non sta condannando, ma si sta vendicando.
Terzo motivo: l’errore è umano. Un giudice può sbagliare, come tutti. Ognuno di noi può commettere un errore sul lavoro. Alcuni di questi errori sono facilmente rimediabili, altri meno. Ma come si può rimediare alla morte di un individuo che magari scopriamo essere in realtà innocente?
Contro la tortura invece Voltaire spiega che l’uomo non può ridursi ai livelli di un animale, Un torturatore, secondo Voltaire, è un individuo che perde i tratti umani per assumere tratti disumani. E un uomo disumano non può essere legittimato da una società illuminata, ecco perché Voltaire ripudia la tortura.
Inoltre dinanzi al dolore, il torturato confessa pur di non sentire più i tormenti. E questo è due volte dannoso: in primo luogo perché il torturato non dirà il vero, in secondo luogo perché il vero criminale la farà franca, in quanto il torturato si è auto incolpato.
Contro la guerra, Voltaire argomenta che la guerra è spesso il frutto di un capriccio politico, e che nella maggior parte dei casi serve a creare nuovi confini e non ad aprire quelli vecchi. Il risultato di una guerra è spesso un nuovo nemico, qualcuno da odiare. Nell’ottica di Voltaire l’odio contro un proprio simile è qualcosa di irrazionale, contrario agli ideali illuministici. L’intolleranza e l’odio sono nemici della ragione. Una riflessione razionale ci porta a valutare la pace come una condizione migliore della guerra, allora, si domanda Voltaire, perché alimentare odi e intolleranze che portano inevitabilmente ai conflitti?
Voltaire, Trattato sulla tolleranza, capp. XI, XXIII
Ma come! sarà dunque permesso a chiunque di credere soltanto alla propria ragione, e di pensare soltanto ciò che questa, illuminata o errante, gli suggerirà? Certo che sí, purché costui non turbi l’ordine: infatti, se non dipende dall’uomo il credere o il non credere, dipende certamente da lui il rispettare gli usi della patria; chi poi affermasse che il non credere nella religione dominante costituisce un crimine, si farebbe egli stesso accusatore dei primi cristiani suoi padri, e giustificherebbe proprio coloro che egli accusa come persecutori.
Si risponderà che c’è una grande differenza, che tutte le altre religioni sono opera degli uomini, e che la Chiesa cattolica apostolica romana è, sola, opera di Dio. Ma, ragionando in buona fede, la nostra religione, per il fatto che è divina, dovrebbe forse imporsi con l’odio, con la persecuzione, l’esilio, la confisca dei beni, la prigione, la tortura, il delitto e per giunta rendere grazie a Dio per tali delitti? Quanto piú la religione cristiana è divina, tanto meno toccherà all’uomo imporla. Se Dio l’ha fatta, Dio la sosterrà anche senza di voi. Ricordate che l’intolleranza non produce che ipocriti o ribelli: quale funesta alternativa! Infine, vorreste far difendere dal boia la religione di un Dio che dal boia è stato ucciso, e che non ha predicato se non la dolcezza e la pazienza?
Considerate, vi prego, le spaventose conseguenze del diritto di intolleranza. Se fosse permesso spogliare dei suoi beni, gettare in prigione, uccidere un cittadino il quale, in un certo grado di latitudine, non professasse la religione ivi ammessa, in forza di quali eccezioni potrebbero essere esentati dalle stesse pene i capi dello Stato? La religione impegna ugualmente il monarca come il mendicante: cosí, piú di cinquanta fra dottori e monaci, sono giunti ad affermare l’orribile mostruosità secondo cui sarebbe lecito deporre, uccidere i sovrani che non professano la religione della Chiesa dominante: ma i parlamentari del regno hanno costantemente cassato queste abominevoli decisioni di abominevoli teologi […].
Non mi rivolgerò dunque piú agli uomini; ma a te, Dio di tutti gli esseri, di tutti i mondi e di tutti i tempi: se è permesso a deboli creature perdute nell’immensità e impercettibili al resto dell’Universo, osare di domandarti qualcosa, a te che tutto hai donato, a te i cui decreti sono immutabili quanto eterni, dégnati di considerare pietosamente gli errori connessi alla nostra natura; che questi errori non siano per noi fonte perenne di calamità. Tu non ci hai dato un cuore perché ci odiassimo, mani perché ci sgozzassimo; fa’ che sappiamo aiutarci vicendevolmente a sopportare il fardello d’una vita penosa e breve; che le piccole differenze intercorrenti fra i vestiti che coprono i nostri deboli corpi, fra i nostri imperfetti linguaggi, fra tutte le nostre ridicole usanze, fra tutte le nostre leggi imperfette, fra tutte le nostre opinioni insensate, fra tutte le nostre condizioni cosí disparate agli occhi nostri e cosí uguali ai tuoi; che tutte le lievi sfumature distinguenti quegli atomi chiamati uomini, non siano segnacoli di odio e di persecuzione. Che coloro i quali accendono ceri in pieno giorno per celebrarti sopportino coloro che si contentano della luce del tuo Sole; che coloro i quali ricoprono le loro tonache con una tela bianca per significare che bisogna amarti, non odino coloro i quali affermano la stessa cosa ricoperti da un mantello di lana nera; che sia considerata la stessa cosa l’adorarti servendosi di un’antica lingua, o adoperandone una piú recente; che gli uomini rivestiti di abiti rossi o violetti, che dominano su una piccola parte del piccolo ammasso di fango di questo mondo, che posseggono qualche tondeggiante frammento di un certo metallo, godano senza orgoglio di ciò ch’essi chiamano grandezza e ricchezza; e che gli altri uomini li sopportino senza invidia: tu sai infatti che in tali vanità non c’è nulla da invidiare né di cui inorgoglirsi.
Possano tutti gli uomini ricordarsi che sono fratelli! Aborrire la tirannia esercitata sulle anime, cosí come hanno in esecrazione il brigantaggio, che sottrae con la violenza il frutto del lavoro e della pacifica industria! Se i flagelli della guerra sono inevitabili, almeno non odiamoci, non straziamoci a vicenda nei tempi di pace, e impieghiamo l’istante della nostra esistenza a benedire ugualmente in mille lingue diverse, dal Siam alla California, la tua bontà che ci ha donato quest’istante!