le arancine di riso grosse ciascuna come un melloneQuindi questo cibo da strada ante litteram è femmina? Eh, stiamo attenti a dire certe cose che per qualcuno potremmo essere marchiati come eretici: lo scisma tra occidente e oriente, tra fautori del maschile e sostenitori del femminile è sempre in atto. I fautori del maschile, infatti, fanno notare che in lingua sicula il frutto dell’arancio non è l’arancia, ma l’aranciu. E in effetti i dizionari dialettali, a partire dal Biundi (1857), registrano il termine al maschile, ma bisognerà attendere il 1942 per la prima attestazione del termine “arancino” nella lingua italiana, nel Dizionario moderno del Panzini. Quanto alla forma, invece, possiamo tranquillamente dire che per quella conica non c’è Storia, ovvero, sarebbe una innovazione piuttosto recente, forse ispirata alla figura dell’Etna oppure creata a scopo pratico, dal momento che i catanesi impugnano l’arancino tenendolo dalla punta, come fosse un cono gelato. Che sia questo l’unico legame rimasto coll’arancino inteso come dolce? Come sia o come non sia, che sia tondo o a cono… anche l’arancino o arancina ha la sua Storia.
Viene dalla Trinacria una palla che resiste ai secoli…
Hanno un diametro compreso tra gli otto e i dieci centimetri e sono rivestite di una corazza dorata.
Non si sparano, ma possono considerarsi un’arma di… conquista.
Sono femmine… ma sono anche maschi.
Non ci siete ancora arrivati? Sono le arancine o arancini, questo lo vediamo.
Dichiariamolo subito così ci togliamo il pensiero: fonti storiche sulla loro reale origine non ce ne sono, almeno a tutt’oggi.
C’è chi dice che si tratti di un prodotto di origine popolare, apparso per caso nelle cucine e inventato per riciclare gli avanzi; qualcun altro sostiene che le primissime arancine siano nati dalle sapienti mani delle monache nei loro conventi; e c’è chi invece dice che sia tutto merito degli aristocratici.
Tutto potrebbe essere giusto, tutto potrebbe essere errato, ma a noi di TSD piace avere comunque le mani nella Storia, e così scaviamo nelle tradizioni.
Da dove viene l’idea del riso condito con zafferano e carne?
La tradizione ci rimanda al periodo di dominazione che la Sicilia subiì da parte degli arabi, tra il IX e XI secolo. Durante i banchetti infatti, i saraceni usavano (e usano ancora) porre a centro tavola un capiente vassoio colmo di riso aromatizzato con zafferano e insaporito con verdure, carne e altri aromi. I commensali allungano la mano, appallottolano il riso nel pugno e lo gustano dopo averlo condito con carne di agnello.
E fin qui sarebbe un “normale” pasticcio di riso condito che così com’è forse non farebbe molta gola. Perché, siamo franchi, ciò che rende l’arancino quel godurioso cibo che tutti oggi conosciamo come tale è la panatura e successiva frittura. E questo, di sicuro, non è opera degli arabi! La panatura è la vera anima dell’arancino, quella che lo veste di un manto croccante e dorato e che avvolge la palla e la tiene ben solida una volta fritta. Ebbene, sapete a chi la dobbiamo? Chi ne è stato l’inventore? Il sovrano svevo Federico II (cui TSD ha dedicato uno speciale in due articoli che potete leggere qui), particolarmente ghiotto di questo pasticcio di riso al punto da volerne godere anche durante le lunghe battute di caccia, facilitandone così il trasporto durante viaggi e spostamenti.
E il pomodoro? Come entra il pomodoro negli arancini? Di sicuro dopo, dato che comincia a essere coltivato a scopo alimentare nel Sud Italia solo (si fa per dire) all’inizio dell’Ottocento. Ed è nell’Ottocento che, per la prima volta, troviamo questo gustoso cibo citato nel primo dizionario, quello del palermitano Buldi, che lo definisce una vivanda “dolce” di riso fatta alla forma della melarancia.
E questo, signore e signori, come avviene nei migliori thriller e gialli storici che si rispetti, è un vero e proprio colpo di scena: l’arancino, quello di derivazione araba, e con l’intervento di Federico II prima e del pomodoro dopo, nell’Ottocento è un dolce di riso!
No no, calmi non vi agitate: la dolcezza non dura a lungo e la trasformazione in specialità salata avviene quasi subito.
E veniamo al nome: come si passa da polpetta di riso, pasticcio/timballo di riso ad arancino, nome già di per sé evocativo dei profumi che connotano questo cibo?
Nel XIII secolo Giambonino da Cremona, uno tra i maggiori traduttori dall’arabo del Medioevo, nel Liber de ferculis et condimentis – dedicato alla gastronomia araba – spiega che tutte le polpette preparate in quella cultura prendevano il nome dai frutti cui somigliavano, per forma e dimensione. Ecco, quindi, l’assimilazione all’arancia (in arabo naranj) anzi, a una piccola arancia, da cui la scelta del femminile “arancina”. Ed è femmina pure il catanese Federico De Roberto che ne I vicerè scrive: