Articolo a cura di Roberto Orsi
Continua il Blog Tour dedicato al libro “La donna dei sigari” di Alessandro Testa, Edizioni Il Vento Antico. Siamo giunti alla quarta tappa dopo quelle che sono state pubblicate nei giorni scorsi, in cui abbiamo avuto modo di conoscere meglio il contesto storico in cui le vicende narrate nel libro sono incastonate.
Il mio compito è di mostrarvi come in questo libro si parli dell’altra faccia della guerra, quella che non si combatte in prima linea sui campi di battaglia.
L’altra guerra
Io sono l’altro, sono quello che spaventa… sono quello che ti dorme nella stanza accanto, il contrario di te stesso… Quello che il tuo stesso mare lo vede dalla riva opposta.
Ho deciso di aprire questo articolo con il testo di una recente canzone di Niccolò Fabi,
“Io sono l’altro”, perché credo che restituisca precisamente il concetto che voglio esprimere, anche se rapportato a un’epoca diversa. Se non l’avete mai ascoltata vi consiglio di farlo perché con poche semplici frasi suscita sensazioni e ispira pensieri di forte impatto emotivo.
Il nemico che ti fronteggia, in fondo guarda le tue stesse cose solo dalla prospettiva opposta.
La guerra segue logiche tutte sue, dettate da chi è al comando di una nazione e dispone di un esercito, coinvolgendo tutta la popolazione, nessuno escluso, direttamente o indirettamente. Sempre che una logica la abbia.
Ma le opposte fazioni sono formate da esseri umani, gli uni uguali agli altri, solo con una divisa che fa capo a una diversa bandiera. Non credo sia possibile rendere l’idea di ciò che potevano provare due soldati nemici, senza averlo provato sulla pelle. Mettersi nei panni di “quell’altro”, catapultato in una realtà che non ha voluto, con l’unico pensiero di tornare a casa il prima possibile da chi lo sta aspettando, ma obbligato a rimanere per ordini di derivazione superiore.
Tuo zio Manfred dice che la guerra è cosa da uomini, e che noi donne non dovremmo metterci bocca; ma in guerra non muoiono solo i soldati, ci sono anche donne, bambini, vecchi, malati. La guerra non distingue eroi e vigliacchi, non risparmia vite sulla base della loro età. La guerra distrugge e cancella.
Ecco il concetto di “
altra guerra” che prepotente viene fuori in queste parole dell’autore. La guerra non si combatte solo sui campi di battaglia, non si misura solo sulla quantità di cannonate sparate o di edifici abbattuti.
La guerra è una condizione sociale che coinvolge tutti. Uno stato mentale, di disagio, di incertezza sul futuro e di incomprensione, molto spesso, su ciò che davvero accade. Provate a immaginare come dovesse essere difficile avere notizie certe delle sorti del conflitto. Non c’era
google a cui chiedere, al tempo. Ci si basava sulle notizie trasmesse alla radio o scritte sui giornali. Peccato che spesso queste fossero “pilotate” dal regime, semplicemente per mantenere alto il morale delle truppe e della popolazione.
L’altra guerra è quella vissuta dai protagonisti del romanzo di Alessandro Testa, che non si sofferma sulle più famose battaglie o manovre militari, ma ci racconta le vicende di personaggi comuni che convergono in un paesino del centro Italia come Roccaspina. Là dove si pensava che
“tanto la guerra durerà solo pochi mesi”.
Nell’orrore della guerra nulla è definito o definitivo.
Il nemico di ieri diventa l’alleato di domani.
Le vite di Ardito, detto Tuccio, carabiniere locale, Harald un tedesco ufficiale di polizia e Vincent italoamericano arruolato nell’esercito per il conflitto, si intrecciano grazie a una trama ben congegnata dall’autore.
Passo il mio tempo guardando la foto che ci siamo fatti a Rostock, quando fummo ospiti di mia cugina: sarà la lontananza, ma sembri talmente bello e felice da non essere vero. Mantieniti così. Soprattutto, mantieniti vivo.
Sopravvivere, è l’unico obiettivo, il dogma che spinge avanti l’essere umano in una follia collettiva troppo grande per essere davvero compresa e accettata. L’idea di rivedere la propria famiglia, la propria amata, i propri figli. Un concetto che troviamo in questo caso non solo nei soldati al fronte ma in chi aspetta a casa il loro ritorno. Quelli che la guerra l’hanno vissuta da lontano, ma in modo altrettanto doloroso.
I romani cercano di ignorare la guerra; vanno al cinema, affollano i giardini e le ville, oppure siedono tra le rovine e guardano le stelle. Nessuno sembra fare caso alle mille uniformi, agli innumerevoli mezzi militari, alle troppe insegne. Era la guerra certo, ma la guerra avrebbero dovuto combatterla i soldati al fronte, non i bimbi o le donne.
Si arriva quasi alla negazione dell’evidente. Per sopravvivere e passare oltre, si cerca di far finta di niente. Si deve occupare la testa con altri pensieri. E allora si cerca la normalità andando al cinema o passeggiando nelle ville della città, pur contornati da soldati e mezzi militari e una situazione che peggiora mese dopo mese.
Ma le difficoltà non sono uguali dappertutto e Harald, l’ufficiale tedesco trasferito su suolo italiano, proprio nei pressi di Roccaspina, si sorprende della qualità della vita che lo aspetta in un paesino di campagna come quello.
La campagna sembra soffrire un po’ meno della città le ristrettezze della guerra, perché i contadini riescono a mettere da parte una buona percentuale delle derrate destinate ai mercati, così mentre a Roma fanno la fila per il pane, in campagna abbonda persino il vino buono.
Un racconto che si snoda in un’epoca non così lontana come può sembrare. Se ci pensiamo bene, sono passati meno di ottant’anni, il mondo è cambiato in modo molto sensibile ma diversi punti di contatto si trovano ancora. La storia si ripete nel corso del tempo, ma queste sono pagine che non devono ripresentarsi, per questo è fondamentale parlarne e parlarne ancora.
Il ricordo, anche se doloroso, non deve sbiadire mai.Che ne pensi di questo articolo? | |
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